Un gelido inverno - Winter's Bone2010

SCHEDA FILM

Un gelido inverno - Winter's Bone

Anno: 2010 Durata: 100 Origine: USA Colore: B/N

Genere:DRAMMATICO

Regia:Debra Granik

Specifiche tecniche:RED CAMERA, HD, 35 MM (1:1.85)

Tratto da:romanzo "Un gelido inverno" di Daniel Woodrell (Fanucci Editore)

Produzione:ANNE ROSELLINI E ALIX MADIGAN YORKIN PER WINTER'S BONE PRODUCTIONS, ANONYMOUS CONTENT

Distribuzione:BOLERO FILM (2011) - DVD E BLU-RAY: CG HOME VIDEO (2011)

ATTORI

Jennifer Lawrence nel ruolo di Ree
John Hawkes nel ruolo di Teardrop
Kevin Breznahan nel ruolo di Arthur
Dale Dickey nel ruolo di Merab
Garret Dillahunt nel ruolo di Sceriffo Baskin
Sheryl Lee nel ruolo di April
Lauren Sweetser nel ruolo di Gail
Tate Taylor nel ruolo di Satterfield
 

SOGGETTO

Woodrell, Daniel
 
 
 
 

SCENOGRAFIA

White, Mark
 

COSTUMISTA

Hofherr, Rebecca

TRAMA

La 17enne Ree è alla disperata ricerca del padre scomparso. L'uomo, che ha un processo in corso ed ha impegnato la casa di famiglia per pagare la sua cauzione, se non si presentasse al processo lascerebbe Ree, la madre malata e i fratelli più piccoli in mezzo a una strada. Per salvare la famiglia e scoprire che fine abbia fatto suo padre, Ree metterà a repentaglio la sua stessa vita, scontrandosi contro un muro di omertà, menzogne, sotterfugi e minacce.

CRITICA

"In lizza per gli Oscar, vincitore a Torino, 'Un gelido inverno' scalda le ragioni del cinema: formato indie, stile Sundance, registro drammatico, delega la paternità a una ragazza-coraggio (la brava Jennifer Lawrence) che cerca di tenere in piedi casa e famiglia, mentre il padre si dà alle metanfetamine nel profondo Missouri. Radicalità tematica, echi thriller e linguaggio scabro, è l'altra faccia dell'America, quella del white trash, quella già a cara a Cormac McCarthy, quella fessa e livida della provincia. C'è spazio anche per la fiaba, ma nera, nerissima, perché 'Have a nice day' è solo una scritta di plastica, buona per avvolgere resti umani, e il mondo là fuori è feccia. Arriverà la salvezza?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 17 febbraio 2011) "Film coraggioso, scomodo, senza uscite di sicurezza, pronto all'Oscar dopo aver vinto a Torino. Lo merita la Lawrence, 17enne che fra i monti del Missouri cerca il padre spacciatore scomparso e s'immola alla famiglia. Debra Granik inquadra una comunità tribale di ruvidi mostri senza sconti, con l'aggravante invernale. La natura è uno specchio, neorealismo country all'americana: una sceneggiatrice si chiama Anne Rosselini (con una elle). Pathos e pietas di serie A." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 18 febbraio 2011) "Piacerà a quelli che amano le storie all'americana fatte come sanno farle solo gli americani. Nel paese dei fumetti di 'Abner' la brava Debra Granik racconta benissimo l'odissea di un'Alice nel paese (si fa per dire) delle meraviglie. Sempre sul punto di essere divorata, eppure alla fine vincente, anche su un branco di montanari che sembra uscito dal 'Tranquillo weekend di paura'." (Giorgio Carbone, 'Libero', 18 febbraio 2011) "Gran Premio della Giuria al Sundance, vincitore del Festival di Torino, quattro candidature agli Oscar nei premi principali (...), 'Un gelido inverno' ispirato al romanzo di Daniel Woodrell (Fanucci Editore) è il secondo film di Debra Granik. (...) 'Winter's Bone' (titolo originale) si muove a cavallo tra il naturalismo un po' prevedibile del suo film precedente (una storie di miseria e tossicodipendenza) e la terrorizzante suggestione gotico/sudista di 'Un tranquillo week end di paura' e/o del 'Southern Comfort' di Walter Hill. È in quella combinazione che stanno il fascino e la stranezza di 'Winter's Bone'. Da parte sua, la regista ha citato come influenze il mitico documentario (sui minatori) di Barbara Kopple 'Harlan County USA' (...), 'Import/Export' di Ulrich Seidel (...), 'Bloody Sunday' di Paul Greengrass e il lavoro dei Dardenne." (Giulia D'Agnolo Vallan, 'Il Manifesto', 18 febbraio 2011) "Un film memorabile, secco come una scudisciata e toccante come una ballata popolare. Questo è 'Un gelido inverno', americano e indipendente, candidato a quattro Oscar, girato in digitale con meno di due milioni dollari, molto premiato al Sundance Festival di Robert Redford. Non è una storia allegra, non si ride mai, si parla di indigenza rurale, di famiglie spezzate, e il titolo italiano, ripreso pari pari da quello del romanzo di Daniel Woodrell edito da Fanucci, addolcisce inutilmente il senso dell'originale, che recita: 'Winter's Bone', ossa d'inverno. Tuttavia è un film da vedere, come omeopatica alternativa al commedificio imperante, al pari di titoli sfortunati come 'Another Year' o 'La donna che canta'. (...) A tratti viene da pensare a 'Un tranquillo week-end di paura', a quel mondo primitivo e selvaggio, tipicamente redneck, che rifiuta una certa idea di civilizzazione. Ma 'Un gelido inverno' non è una metafora darwiniana sul rapporto tra gente di città e gente di campagna, il tono è quasi documentaristico, fotografia a luce naturale, musiche ridotte all'osso o integrate in senso diegetico nella storia (...), scene di vita quotidiana, come scuoiare gli scoiattoli, cucinare lo stufato, sparare ai cervi, strimpellare il banjo sotto il portico. Il mondo dei cosiddetti hillbillies, ma descritto senza i consueti cliché, dall'interno, lasciando che il giudizio morale, non consolatorio, scaturisca da fatti, discorsi, superstizioni. Jennifer Lawrence, bionda, gli occhi chiari, di una bellezza ruspante esaltata dai consunti abiti montanari, fa di Ree un'eroina minorenne che non sarà facile dimenticare. A diciassette anni, lontane dal dorato mondo di Ruby, Iris e le altre, si può essere anche così: con la testa sulle spalle, responsabili, dignitose." (Michele Anselmi, 'Il Riformista', 18 febbraio 2011 ) "C'è un'America che il cinema delle majors raramente racconta. È quella della provincia profonda, lontana da tutto, inaccessibile nelle persone prima ancora che nei luoghi selvaggi. Un territorio neppure sfiorato dal sogno americano. È l'America che da un pezzo ha perso la sua innocenza quella raccontata da 'Un gelido inverno' (Winter's Bone), notevole opera seconda di Debra Granik, moderno western, un po' road movie e un po' noir, giustamente arrivato con quattro nomination di prestigio alla notte degli Oscar, dopo aver vinto il gran premio della giuria del Sundance Festival e la palma del miglior film alla rassegna di Torino nel 2010. Una conferma di come il cinema indipendente abbia ormai intrapreso una strada autoriale capace di sfornare prodotti di ottima qualità con budget minimi. Tratta dal romanzo di Daniel Woodrell (edito da Fanucci), la pellicola visivamente richiama in qualche modo l'universo dei fratelli Coen e narrativamente i luoghi e i personaggi di Cormac McCarthy, senza dimenticare le atmosfere ansiogene di 'Un tranquillo weekend di paura', di John Boorman. Un mondo duro, aspro, dunque, quello dei Monti Ozark, in Missouri. 'Badlands', direbbe Bruce Springsteen; terre cattive, in cui è difficile vivere. Soprattutto se si è donna, si hanno diciassette anni, pochi dollari, un padre ricercato per droga, e si deve badare a due fratelli più piccoli e a una madre malata. Ma è il destino di Ree Dolly, resa adulta troppo in fretta dal peso di responsabilità che non le competerebbero. (...) Tra diffidenza e minacce, anche da parte di alcuni familiari, Ree comincia così la sua ricerca del padre tra le pieghe più nascoste di una comunità quasi interamente dedita alla produzione di cocaina. Una comunità volutamente chiusa in un isolamento che non è solo geografico, protetta com'è da boschi e montagne inaccessibili, ma soprattutto psicologico, in quella riservatezza che nel crimine diventa complicità, reciproca garanzia di difesa da qualsiasi fattore esterno. E anche Ree costituisce un pericolo. La ricerca del padre, che si è macchiato della colpa più grave, il tradimento, rischia di metterla a parte di segreti che non dovrebbe conoscere. Tuttavia per salvare casa e famiglia la ragazza affronta omertà e violenza, mostrando coraggio, determinazione e un'insperata forza di volontà nel doloroso viaggio che la porterà a confrontarsi con il male che ha corroso il suo mondo. Dramma familiare virato sostanzialmente al femminile - le donne del clan si mostreranno le più dure e risolute nel contrastare la ragazzina, ma alla fine saranno loro, in un rigurgito di materna sensibilità, ad aiutarla - 'Un gelido inverno' si presenta come un impietoso sguardo sulla remota e violenta provincia americana. Ma è anche una terribile analisi delle dinamiche familiari che si autoalimentano in tale contesto, dove la famiglia stessa sembra perdere ogni legame affettivo per compattarsi attraverso vincoli che poco hanno a che fare con il sangue. Qui sull'amore prevale la paura. Ciononostante la giovanissima protagonista - che pure tra timori e ansie ama il padre, non condannandolo per il suo comportamento sconsiderato, vergognandosene semmai per il tradimento, senza tuttavia rinnegarlo - si aggrappa a uno sbiadito ricordo di famiglia per trovare la forza necessaria ad abbattere il muro di inquietante e misteriosa reticenza che sembra avvolgere il destino del genitore. Inquietudine e mistero che Granik, grazie alle fredde tonalità di una fotografia asciutta e rigorosa, a dialoghi essenziali, a una colonna sonora non invadente e a una narrazione mai didascalica, riesce a rendere senza bisogno di affondare i colpi. Il clima di paura che soffoca l'ambiente sembra così pervadere l'intera pellicola, mostrando un microcosmo che vive di una sua discutibile morale, con un rigido codice non scritto ma rispettato da tutti. Eroina suo malgrado, Ree - nell'interpretazione della rivelazione Jennifer Lawrence, giustamente candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista - si contrappone a tutto questo per amore dei suoi fratelli e della madre, ma anche per una forma di riscatto da un mondo opprimente e da un'umanità che ha smarrito se stessa. E in tal senso 'Un gelido inverno' è, nonostante tutto, un film aperto alla speranza. Perché anche laddove l'uomo sembra aver perso ogni riferimento morale, dove il piccolo mondo appare lurido, incolore e malvagio, c'è pur sempre uno spiraglio, una via d'uscita." (Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 28 febbraio/1 marzo 2011)

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