SCHEDA FILM

TRAPPOLA PER UN KILLER

Anno: 1989 Durata: 94 Origine: CANADA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:NORMALE A COLORI

Tratto da:-

Produzione:RICHARD SADLER, ROBERT J. LANGEVIN

Distribuzione:CHANGE FILM DISTRIBUZIONE (1990) - MULTIVISION, VIDEOPIU' ENTERTAINMENT

TRAMA

Nel 1926 un giovane canadese (Ted Beaubien) recatosi in Cina con la fidanzata, l'ha vista uccidere da una delle fazioni in lotta e si è proposto di rispettarne la memoria e l'ideologia continuandone l'impegno politico. Occorrono armi e Ted, riuscito a rientrare in Patria, le cerca a Montreal. Qui suo padre è morto, il fratello George è un tipo superficiale e traffichino, la madre è stata assunta come governante in casa di un senatore (Wilson) gretto e conservatore come pochi, mentre l'attuale capo della polizia nutre sospetti verso Ted. Per trovare le armi e spedirle, Ted conosce (e se ne innamora) Maude (che gestisce un locale di lusso, in cui si danza, si gioca e, al caso, si intessono affari loschi) e contatta un gangster (Aiello) disposto alla vendita, sempre aiutato da George. Ma la faccenda è complessa: George muore con una coltellata; Robert Lochman (il fratello della fidanzata di George) viene sequestrato a scopo di ricatto e Ted si offre (previa tangente) di portar lui il denaro dato dal padre del ragazzo (Lochman senior). Anche Robert muore unitamente a Maude, avida di danaro e piena di odio proprio verso Wilson, che l'aveva violentata appena quattordicenne. E Wilson è anche colui che ha ordinato l'assassinio di George. Finalmente le armi possono essere imbarcate e spedite a destinazione. Ted, lasciato il denaro alla madre, torna in Cina per consegnarle a Mao-Tze Tung. Ma una notte, una mano criminale tronca nel sonno la vita del giovane canadese.

CRITICA

"Un ignoto regista dal nome non aulico, Nardo Castillo, ha diretto questo pasticciaccio senza la minima invenzione, seguendo i binari morti di un dialogo alquanto sfilacciato (Arnie Gelbart) e costringendo l'operatore Alain Dostie all'effetto notte convinto che così avvenga il miracolo del genere nero. Non avviene invece assolutamente nulla, l'azione è meccanica, il ritmo narrativo è confuso, la storia senza interesse. Nel ruolo curioso dell'amico dei rossi, Kevin Costner, ora passato alla regia con un film sugli indiani, conferma i suoi cine-ideali democratici, ma senza aggiungere neppure un'espressione al suo carnet: è serio, fisso, disattento, e si concede un mezzo busto di nudità in una casta scena di seduzione, ancora una volta presunto innocente che distribuisce buoni sentimenti in omaggio di fronte ai soliti intoccabili." (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 27 Maggio 1990) "Quanta nostalgia di avventure cinematografiche d'epoca in questo film che fa da cornice a un ritratto un po' sbiadito di eroe. Il fascinoso Costner ha il fisico giusto per indossare giubbotti di pelle e smoking impeccabili e la faccia perfetta per ostentare un'espressiva fissità malinconica. Ci sono comandanti barbuti di navi mercantili che approdano nelle nebbie, guerre lontane, camion pieni di whisky proibito, locali in cui si beve in libertà grazie a una maschera, negre che cantano blues, orchestre che suonano tanghi e fox trot, misteriose tenutarie di case da gioco, loschi uomini politici legati ai sindacati della mala, poliziotti corrotti che picchiano i rappresentanti dei nuovi partiti di sinistra. Il tutto in una Montreal da dagherrotipo. (...) Alla fine le armi, sottratte all'arsenale militare, arrivano in Cina, ma l'eroe stanco ha perso anche l'ultima illusione. E lo spettatore con lui." ('La Stampa', 27 Maggio 1990) "Ted, con il faccino da duro per bene di Kevin Costner, a Montreal nel 1922, cerca armi per sostenere la resistenza cinese contro i nazionalisti. Non è assolutamente un killer, e la trappola del titolo riguarda la confusa combriccola di lestofanti che gli stanno intorno, non lui. Il titolo inglese è 'Gunrunner', che significa coerentemente trafficante d'armi: la dice lunga sulla cura dell'edizione italiana, doppiata malamente e proiettata con fastidiose fosforescenze sui colori chiari. Kevin Costner sta al centro di un'avventura tra le più sconclusionate della stagione, dimostrando di brancolare nella scelta degli script come altri colleghi poco accorti. Vestito con anacronistici pantaloni di velluto e giubbotto di pelle, Ted viene presentato da una voce fuori campo che spunta senza necessità e senza criterio, se non quello di tentare di ridurre la confusione: evidentemente, concluso il maldestro montaggio, l'ignoto regista Castillo deve aver capito poco pure lui, e ha tentato la carta dell'insert narrativo. (...) Provate, non a capire cosa accade, ma almeno a non farvi irritare dal dilettantismo del racconto, dallo sbandamento degli attori, dall'immotivata cornice storica, perfino dagli errori di grammatica nei raccordi delle inquadrature. E se c'è qualcosa da salvare, non è Costner." (Silvio Danese, 'Il Giorno', 1 Giugno 1990)

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