Toy Story 3 - La grande fuga2010

SCHEDA FILM

Toy Story 3 - La grande fuga

Anno: 2010 Durata: 109 Origine: USA Colore: C

Genere:ANIMAZIONE

Regia:Lee Unkrich

Specifiche tecniche:-

Tratto da:-

Produzione:WALT DISNEY PICTURES, PIXAR ANIMATION STUDIOS

Distribuzione:WALT DISNEY STUDIOS MOTION PICTURES, ITALIA

TRAMA

Andy sta per andare al college mentre i suoi fedeli amici giocattoli verranno portati in un asilo, dove saranno costretti a giocare con bambini indomabili dalle piccole dita appiccicose. Spinti dal motto tutti per uno-uno per tutti, l'eterogeneo gruppo deciderà di pianificare 'la grande fuga'.

CRITICA

"Signore e signori, ecco a voi un film con la F maiuscola: Toy Story 3. La grande fuga. Lasciamole da parte le critiche fuori luogo giunte da femministe americane, che avrebbero visto in alcuni personaggi tendenze sessiste e omofobe. Probabilmente si sono dimenticate di quando erano bambine e i giocattoli erano solo oggetti attraverso i quali divertirsi e sognare. E divertirsi e sognare è proprio ciò che propone agli spettatori questo film di animazione che se non è un capolavoro poco ci manca. Ma ormai non è neppure più una notizia, visto che la Pixar ci ha abituati a prodotti vicini alla perfezione. E questo terzo, a lungo atteso, capitolo della fortunata saga - che quindici anni orsono con la Disney apriva le porte dell'animazione verso nuove frontiere grazie alla computer grafica - non delude le attese. Rivelandosi anzi il film migliore della serie non solo per qualità realizzativa, arricchita da un uso del 3D mai debordante, ma soprattutto per una sceneggiatura brillante che unisce magistralmente, come accadde per il primo pioneristico Toy Story, innovazione, creatività, umorismo e capacità di emozionare; un mix ben calibrato in cui trovano ancora spazio gustose citazioni cinematografiche, che supera il severo giudizio dei piccini e piace anche agli adulti. La formula vincente non è cambiata: non semplici racconti per bambini - raffinati ma pur sempre ancorati a schemi narrativi elementari - bensì storie che seguono le regole del cinema recitato, con la capacità di attingere ai classici e tuttavia andando coraggiosamente oltre, per mettere tecnica e fantasia al servizio di copioni svincolati anche dai consueti canoni dei cartoon. Non a caso dal 1995 questa produzione è il punto di riferimento imprescindibile, a cui si sono richiamati i vari 'Shrek' e 'L'era glaciale' nonché i successivi lungometraggi Pixar, da 'Alla ricerca di Nemo' a 'Wall-E' fino a 'Up'. E questo per aver saputo comporre racconti capaci di far sorridere, di commuovere. E di far riflettere, affrontando temi importanti, quali il valore dell'amicizia e della solidarietà, la paura di sentirsi soli o rifiutati, l'ineluttabilità del diventare grandi, la forza che scaturisce dal sentirsi una famiglia. I film della serie, in un crescendo narrativo non sempre scontato quando si tratta di sequel, raccontano tutto questo attraverso i vari passaggi della vita di Andy, il ragazzino cui appartengono i giocattoli che prodigiosamente si animano quando non ci sono persone nei paraggi, dal simpatico sceriffo Woody al pupazzo spaziale Buzz Lightyear (Buzz "annoluce"), passando per la cowgirl Jessy, Mr e Mrs Potato, il cane Slinky, il dinosauro Rex, paurosissimo. Il leitmotiv è quello dell'abbandono; un abbandono che sottintende un doloroso nuovo equilibrio fino a un ritorno tanto improbabile quanto desiderato. Così, se nel primo episodio - 'Il mondo dei giocattoli' - Woody, fino ad allora il pupazzo preferito di Andy, teme di essere soppiantato dall'ultimo arrivato Buzz con le sue meraviglie tecnologiche, nel secondo - 'Woody e Buzz alla riscossa' - è proprio il ranger spaziale a dover salvare lo sceriffo messo per errore in vendita in un mercatino dalla mamma di Andy. Undici anni dopo, in questo terzo episodio, Andy, ormai diciassettenne, sta per partire per il college. Per i suoi giocattoli il rischio è quello dell'abbandono definitivo. Il ragazzo deve svuotare la sua stanza e decidere cosa fare dei vecchi amici di giochi: metterli in soffitta, buttarli nella spazzatura o regalarli a un asilo. Ed è proprio qui che finiscono, per un malinteso. (...) tra gag esilaranti e trovate strepitose, tra momenti di tenera commozione, di suspense e di geniale umorismo, la storia - diretta da Lee Unkrich e sceneggiata da Michael Arndt, premio Oscar per quel gioiellino che è 'Little Miss Sunshine' - si sviluppa nella pianificazione e nell'attuazione della grande fuga. E, senza dover accentuare le caratterizzazioni già ben esplicitate negli episodi precedenti, il racconto regala altri personaggi azzeccatissimi, come il bambolotto dietro il quale si cela un cinico aguzzino, il clown triste che svela un passato drammatico e, soprattutto, Ken e Barbie, sciocchi e, ovviamente, trendy, protagonisti peraltro di un grazioso siparietto sentimentale. Insomma, la premiata ditta Lasseter & co. realizzano un altro bellissimo film: avventura di grande intensità emotiva, in cui le vicende dei giocattoli, grazie alla loro capacità di agire e pensare come umani in puro stile Disney, diventano una metafora utile per parlare di sentimenti veri. "Tu hai un amico in me", recita il brano che fin dal primo episodio accompagna i titoli di coda (conditi con gli esilaranti finti ciak sbagliati inseriti per la prima volta in un film di animazione). Perché l'amicizia è il vero collante di quest'improbabile ma affiatato gruppo di pupazzi." (Gaetano Vallini , 'L'Osservatore Romano' 9 luglio 2010) "Andate a vedere 'Toy Story 3' e poi fatevelo spiegare dai bambini: l'avranno sicuramente capito meglio degli adulti, a giudicare da un paio di reazioni deliranti che il film ha suscitato negli Usa. Paese, notoriamente, pieno di pazzi. (...) Paese di pazzi, dicevamo, 'Toy Stoty 3' non è nemmeno tra i 6 migliori cartoons della Pixar, almeno secondo noi, ma è un film toccante e a tratti cupo, per un motivo che fra poco proveremo a spiegare. (...) La cosa più importante di 'Toy Story 3', almeno secondo noi, è che la storia si svolga quando l'ex bambino Andy sta per andare al college. E' un modo di interrogarsi sul mistero del crescere, e su quel che succede al nostro 'io' bambino (di cui i giocattoli sono un simbolo) quando lo abbandoniamo. Non è un caso che il primo 'Toy Story' sia uscito nel 1995, e che i bimbi di allora oggi siano ventenni e più. 'Toy Story' è scritto, disegnato, pensato per loro." (Alberto Crespi, 'L'unità', 2 luglio 2010) "Un successo atteso e meritato, accompagnato però da alcune polemiche da una rivista americana. Polemiche per davvero poco giustificate. (...) Sembrano perciò difficili da capire le accuse della giornalista statunitense Natalie Wilson che afferma: 'In 'Toy Story 3' solo un giocattolo su sette nuovi è donna: la percentuale rischia di danneggiare i bambini che, vedendo certi film, crescono interiorizzando le idee stereotipate su come gli uomini e le donne dovrebbero essere', aggiungendo accuse di 'omofobia e misoginia'. Polemiche che non riescono, però, a oscurare la bellezza del film che, attraverso le gag, lascia alla storia quello che ognuno, piccolo o grande che sia, desidera: legami sinceri, amicizie fedeli e anche il grande desiderio di una famiglia unita capace di litigare, ma anche di ritornare indietro per spegnere con un sorriso i malumori." (Emanuela Genovese, 'Avvenire', 3 luglio 2010) "Se c'è un genere che dà l'impressione non soffrire la crisi generalizzata di idee e di risultati che sembra aver attanagliato Hollywood (nonostante l'exploit di 'Avatar' i primi sei mesi del 2010 non promettono molto di buono oltreatlantico e la stagione estiva, solitamente ricca di successi, si sta rivelando un sonoro flop: 11 per cento in meno di ricavi, 20 per cento in meno di pubblico. Finora), se ci sono dei film che dimostrano come creatività e fantasia possono essere ancora di casa al cinema, nonostante la marea di remake e riadattamenti che invade gli schermi, quelli sono i film d'animazione. (...) L'ultima conferma viene da questo 'Toy Story - La grande fuga' che se non è un capolavoro poco ci manca e che riprende i personaggi del film di Lasseter di quindici anni fa (e del sequel del '99: 'Woody & Buzz alla riscossa') per aggiornare le avventure senza tradirne lo spirito. Ma soprattutto senza dare assolutamente l'impressione di riciclare in qualche modo vecchie idee o spunti abusati. Lo si capisce subito dal rispetto per lo scorrere del tempo. (...) C'è insomma la capacità di passare da un cinema d'invenzione a uno di emozione a un altro ancora di riflessione senza perdere mai di vista il piacere dell'avventura e della sorpresa (e del gusto della parodia, come nell'introduzione in puro stile blockbuster o nei divertenti rimandi alla 'Grande fuga' di Sturges). In nome di un cinema che non vuole mai abdicare all'intelligenza e alla fantasia, forse perché si rivolge al pubblico più esigente e sofistico che esista: quello dei bambini." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 7 luglio 2010) "L'unico problema di 'Toy Story 3' è il numero. Vasti (e giustificati) sono i pregiudizi sui sequel: con quel 3 appiccicato in fondo, nessuno vorrà credere che il terzo episodio è al livello del primo se non superiore, invece è proprio così. Mai visto una squadra di creativi estrarre tante idee, divertimento e emozioni da un insieme definito di elementi. Anche se a dire il vero le novità non mancano. (...) Così il problema della crescita e dell'abbandono (a ogni crescita corrisponde una perdita) si complica con folli peripezie che costringono ogni personaggio, compresi i nuovi, a esplorare i limiti della proprio 'personalità' che non si esaurisce certo col design e le caratteristiche tecniche (ci sono giochi ri-programmabili, come imparerà a sue spese il povero Buzz Lightyear, impegnato in una performance schizoide semplicemente irresistibile. Ma ci sono anche giocattoli-attori, con tutte le fisime del caso, e qui il divertimento si fa sofisticato). Perché il soggetto vero in fondo è questo: capire chi si è veramente (di cosa si è capaci), cercando al tempo stesso di capire chi sono e di cosa sono capaci gli altri (giocattoli). Ma il film non sarebbe la meraviglia che è se questo tema fosse ostentato, mentre il genio della Pixar consiste proprio nel travasare un'intelligenza e un'acutezza superiori a quelle di film ben più blasonati, in meccanismi narrativi perfetti. Vedere per credere la scena in cui Mr. Potato si reincarna (faticosamente) in una tortilla molle. O il flirt fra Ken e Barbie, che tanto ha irritato un gruppo di femministe americane particolarmente ottuse. Si dice sempre che non ci sono più film per tutti. Errore, Ci sono eccome. Ma oggi più che mai sono film d'animazione." (Fabio Ferzetti, 'Messaggero', 7 luglio 2010) "Secondo l'infallibile formula della Pixar e della sua mente, John Lasseter (...), 'Toy Story 3-La grande fuga' è fatto per piacere in uguale misura ad adulti e bambini. Che vi ritrovano un motivo d'identificazione in comune. Quale? Fin dalla prima puntata la serie è traversata da un'idea, un'ossessione che prima o poi riguarda tutti, dai bimbi di fronte alla nascita del fratellino all'adulto in ambasce per amore o per il posto di lavoro: l'angoscia di essere rifiutati, dimenticati, di venire smaltiti. (...) Scritto da Michael Arndt (lo sceneggiatore di 'Little Miss Sunshine') e diretto da Lee Unkrich, il terzo episodio della saga si piega alla moda del 3D, ma senza abusarne: la tecnica tridimensionale è messa al servizio della storia, piuttosto che diventarne la ragione; a volte, quasi la dimentichi. Il fatto è che Unkrich realizza le scene secondo l'estetica dei cartoon classici: di quella Disney, insomma, con la quale ora la Pixar è consociata. Divertente e commovente dall'inizio alla fine, 'Toy Story 3' è particolarmente spassoso nelle scene con Barbie e Ken. Lei era la bambola della sorella di Andy; lui fa parte della banda dell'asilo, anche se gli altri lo sfottono (non sei un giocattolo, sei un accessorio... una borsetta con le gambe). Sulla rivista Mr. Magazine un gruppo di femministe americane ha creduto bene di stigmatizzare il film come sessista e omofobo, proprio a causa delle scene con la coppia new entry. La bionda Barbie sarebbe troppo sottomessa; Ken, un modaiolo criptogay. Si direbbe la crociata di gente che, da piccola, non ha mai avuto giocattoli." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 9 luglio 2010) "Chi - crescendo - gettava i giocattoli, dimostra di non averli meritati e, soprattutto, lascia capire che diverrà ciò che è: uno dei tanti adulti aridi, di quelli che si disferanno di genitori e amici (intesi come alleati) appena saranno inutili. (...) Sotto la patina sempre più sottile del monoteismo, esiste un diffuso animismo indo europeo, che dà un'identità non solo ai giocattoli, ma anche alle biciclette, alle motociclette, alle auto. Sono le metamorfosi degli animali domestici. Solo chi li produce e li smercia riesce a considerarli un aggregato di plastica, gomma e metallo. L'impronta della Pixar che si è impressa sul marchio Disney ha tenuto conto che i tempi avevano reso il pubblico sempre meno rurale e sempre più urbano. Ma che le sue esigenze di tenerezze non erano calate, anzi. (...) Se negli anni successivi alle crisi del 1929 Walt Disney aveva ricalcato lo Scrooge di Charles Dickens nel personaggio di Paperone, dopo le crisi del 2008 John Lasseter segue - inconsapevolmente? - le tracce di Hector Malot ('Senza famiglia') e di Victor Hugo ('I miserabili'). Lasseter è dunque il più inatteso continuatore di Marx? Visto il suo ormai notevole potere economico è semmai il più originale continuatore dell' industriale Engels..." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 9 luglio 2010)

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