SCHEDA FILM

Stalingrad

Anno: 1992 Durata: 138 Origine: GERMANIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO, GUERRA

Regia:-

Specifiche tecniche:PANORAMICA A COLORI

Tratto da:-

Produzione:ROYAL - BAVARIA B.A. E PERATHON FILM

Distribuzione:FILMAURO (1993) - FILMAURO HOME VIDEO

TRAMA

Nel 1942, l'Armata germanica del dittatore Adolf Hitler è penetrata nell'Unione Sovietica: obiettivo dei tedeschi è Stalingrad, centro industriale sul Volga. Durante una pausa di una cruenta battaglia due militari tedeschi, Fritz Reiser e Manfred "Rollo' Rohleder, insieme al tenente Hans Von Witzland ed al beniamino della compagnia Gegé Muller, sentono dalla radio trasmittente Hitler annunciare la presa di Stalingrad: loro sanno che la battaglia per la conquista di Stalingrad è per loro uno dei combattimenti più terribili di tutti i tempi. Mentre i soldati tedeschi lottano nelle strade della città, l'Armata Rossa ha già circondato tutta la zona. I soldati della VI Armata hanno precise istruzioni impartite dai loro generali: difendere a costo della vita la città occupata. Per Fritz, "Rollo', Hans, Gegé ed i loro compagni comincia, nel gelo dell'inverno, una disperata e crudele lotta per la sopravvivenza. La sconfitta della VI Armata tedesca costituisce la svolta militare decisiva della seconda guerra mondiale.

CRITICA

"La follia e la paura, la coscienza e il disgusto, la spavalderia e la pietà. Tutta la gamma degli stati d'animo è rappresentata in questa condizione estrema. C'è il giovane ufficiale di natali aristocratici che si ribella agli ordini, la beffarda lucidità di quello che prima di tutti aveva previsto l'epilogo del nazismo, il sottufficiale che vuole vivere e diserta, il capitano che sa ma non dimentica dovere e responsabilità, il soldatino che piange davanti agli orrori e alle mostruosità che il mondo non conoscerà mai. La retorica dell'eroismo non potrà riscattare l'essenza sporca e schifosa della morte, delle amputazioni nel corpo e nell'anima. Anni luce lontano dalla forza di 'Orizzonti di gloria' e dall'asciuttezza di 'Full Metal Jacket' Kubrick è stato il più grande narratore di guerre che il cinema abbia avuto - ma anche dalla barocca claustrofobia di quel capolavoro che è 'I dannati di Varsavia' di Wajda - anche lì i componenti di una pattuglia sperduta di fronte alla fine di ogni speranza - questo 'Stalingrad' si alimenta di retorica dalla prima all'ultima immagine; senza aggiungere un pensiero o un'emozione, che non sia quella del pugno nello stomaco, a ciò che da altre stature artistiche è stato già definitivamente espresso." (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 18 settembre 1993) "Vilsmaier confeziona un prodotto di crudo ed esuberante (con tanto di incursioni nell'horror: arti mozzati con comparse veramente amputate, sangue a fiotti, cancrene a non finire) sia nella ricostruzione delle battaglie, dei bombardamenti e degli scenari di devastazione (locations in Cecoslovacchia) che nelle stesse psicologie dei protagonisti. Tra quei Fritz, Otto e Hermann, soldati rapiti dalla nazi-follia in giovane età, scorgiamo introspezioni un po' sbrigative. Il buon tenente più idealista che nazista con il senso dell'onore e della solidarietà sviluppatissimi, il vigliacco che si riscatta, il cinico che si spara un colpo di rivoltella in bocca, il comandante ottuso stile Sturmtruppen. Guerra d'antieroi: schietti uomini d'armi ridotti a carne da macello e ufficiali profittatori che se ne fregano delle truppe. Hitler è lontano, la Russia è vicina, la Germania un pallida madre." (Fabio Bo, 'Il Messaggero', 20 settembre 1993) "Un film di guerra con personaggi visti da vicino insomma un po' com'era stato anni fa 'U-Boot 96' di Wolfgang Petersen con l'intenzione scoperta, però, di lasciare alla guerra stessa l'occasione per farsi polemicamente e moralmente riprovevole: con una sequela di orrori, con ferite, amputazioni e cadaveri sempre iperrealistici, con una continua angoscia di fondo all'insegna del mors tua vita mea e con ritmi in cui all'affanno si aggiunge sempre la desolazione più totale: messi anche più in evidenza da immagini che, pur tenendosi al quotidiano, concreto, sulla linea di certi diari di militari poi caduti in combattimento, tendono a impennarsi e ad infiammarsi: fino a una visionarietà funebre e scabra. Un film, perciò, nonostante l'anniversario, un po' fuori tempo e, pur con innegabili riti linguistici, solo in parte riferibile, sul piano dello spettacolo, a celebri modelli americani come 'Full Metal Jacket' di Kubrick e 'La croce di ferro' di Peckinpah, penso però che potrà egualmente interessare: se non da un punto di vista storico - i riferimenti in questo senso, insisto, sono vaghi - certo, da un punto di vista umano: la guerra dalla parte di chi la sta perdendo, e senza averla voluta." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 21 settembre 1993)

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