SHANGHAI TRIAD - LA TRIADE DI SHANGHAI1995

SCHEDA FILM

SHANGHAI TRIAD - LA TRIADE DI SHANGHAI

Anno: 1995 Durata: 109 Origine: CINA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:PANORAMICA A COLORI

Tratto da:TRATTO DAL ROMANZO DI LI XIAO

Produzione:SHANGHAI FILM STUDIO (SHANGHAI), ALPHA FILMS, UGC IMAGES, LA SEPT CINEMA (PARIS)

Distribuzione:MIKADO FILM (1996)

TRAMA

Nel 1930, giungendo dalla campagna, l'adolescente Shuisheng, introdotto dallo zio Liu Shu alla corte di Tsang, padrino della triade di Shangai, viene addetto al servizio personale della giovane Xiao Jinbao fidanzata del vecchio padrino e stella del suo café-chantant. Il ragazzo, timido e impacciato dal minuzioso e complesso rituale, commette una gaffe dopo l'altra e viene umiliato in ogni modo dalla capricciosa donna, che ha una burrascosa tresca segreta con Song, braccio destro del padrino impegnato a far pace con il temibile Yu. Gli uomini di questi irrompono una notte nella casa di Tsang e fanno strage, e Liu Shu si sacrifica per salvare la vita al padrino che, ferito, si rifugia con Xiao Jinbao, il ragazzo e l'anziano cugino su un'isoletta. Qui, a contatto con la semplice civiltà contadina rappresentata da una vedova e dalla figlioletta A Jao, Shuisheng fa amicizia con la ragazza e suscita l'interessamento della cantante. Xiao inizia a trattare più umanamente il ragazzo, confidandogli le sue origini contadine e giungendo a donargli alcune monete. La sera arriva Song con altri uomini e Shuisheng, sentendo due sicari pianificare l'assassinio di Xiao Jinbao, corre ad avvisarla. Il padrino però è già al corrente del tradimento sia di Song, in realtà in combutta da tempo con Yu, sia di Xiao Jinbao. Fa seppellire vivi entrambi ed essendosi Shuisheng interposto per difendere Xiao il giorno dopo lo fa appendere per i piedi. Poi irretisce la piccola A Jao con la promessa di portarla a Shangai per farla diventare cantante di varietà.

CRITICA

La triade di Shangai è un film più visionario che realistico, più elegante che emozionante, e si risolve in un meraviglioso album di immagini, in cui fanno spicco la bellezza di Gong Li, gli occhi attoniti del ragazzino, la crudele freddezza del grande attore Li Baotian, e un massacro sanguinoso che Zhang fa intravvedere come un gioco di ombre cinesi: affascinante ma lontano. (La Repubblica, Irene Bignardi, 12/2/96) A ben vedere affiora una certa coerenza con i film precedenti di Zhang, da Sorgo rosso a Yu Dou, da Lanterne rosse al capolavoro La storia di Qiu Yu: apologhi contro l'oppressione del potente sul debole, in qualsiasi modo ed epoca si manifesti, anche se stavolta il regista ha scelto di operare nella convenzione. Tanto è vero che Shangai Triad non assomiglia né a un film cinese né a un prodotto made in Hollywood, ma a C'era una volta in America di Sergio Leone. La derivazione balza agli occhi di fronte ai toni spenti, evocativi e malinconici dell'immagine; e anche per l'analoga riluttanza ad adottare i ritmi americani. Gong Li sa come inserirsi con grazia in una cornice manieristica: e tuttavia, nel ricordo dell'indomita Qiu Yu, farebbe meglio a seguire le orme della Magnani anziché della Minnelli. (Corriere della Sera, Maurizio Porro, 12/2/96) Per la prima volta Zhang Yimou lavora per una produzione a maggioranza occidentale (francese). Per la prima volta la vittima della Rivoluzione culturale eternamente in lotta con le autorità del suo paese, guarda a un modello tutto occidentale come il gangster film (si racconta che durante la preparazione la troupe studiasse dilingentemente i classici, da Piccolo Cesare a Quei bravi ragazzi. Non risulta abbiano preso in considerazione il nuovo thriller made in Hong-Kong, ma dovendo girare una storia ambientata negli anni Trenta si capisce perché). Per la prima volta Zhang e Gong Li non raccontano tradizione, segregazione e violenza, bensì lusso, artificio e atrocità, con un'insistenza sugli intrighi e la condizione femminile che ci riporta a Lanterne rosse. Ma La Triade di Shangai è anche il primo film di Zhang girato "in soggettiva", anzi in duplice soggettiva. La prima parte vista attraverso gli occhi di Shuisheng, un ragazzino di campagna che finisce al servizio della cantante Bijou, amante di un potentissimo signore dell'oppio (dettaglio non secondario: siamo negli anni Trenta e oltre che al crimine il suo perfido padrino deve la sua fortuna alle atrocità commesse contro i comunisti per conto di Chang Kai Shek). La seconda parte slitta invece dalla parte di lei. (Il Messaggero, Fabio Ferzetti, 13/2/96) Certo, lo spettacolo c'è, le cifre gangster sono dosate con abilità per provocare le consuete tensioni e quando è di scena una strage la si vede rappresentata con tutti gli accenti affannati e i ritmi vorticosi in cui si è specializzato da anni il cinema di Hollywood; con l'aggiunta - per quello che riguarda l'autonomia culturale di Zhang Yimou - di una polemica implicita, ma non proprio segreta, contro il mondo fastoso e vizioso di una città in preda alla droga e alla prostituzione messo a confronto con l'onesta mentalità delle campagne rappresentata dal ragazzino candido all'inizio fino all'ingenuità; e con una seconda aggiunta: quel figurativismo sontuoso che, con i colori, i costumi e le scenografie, sembra volerci restituire le magie e il fascino dei tempi di Lanterne rosse. Senza, però, arrivare, con gusto a risultati davvero convincenti, salvo, forse, sul piano dell'intrattenimento: che non è comunque da sottovalutare. Come Bijou ancora una volta c'è Gong Li, inarrivabile non solo nei suoi capricci da diva da cabaret con citazioni, quasi di Liza Minnelli, ma, come sempre, nelle pagine intense e drammatiche che domina con l'autorità abituale. Il Padrino è Li Baotian, con tutta la ferocia necessaria espressa con mimica salda e durissimo realismo. (Il Tempo, Gian Luigi Rondi, 11/2/96)

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