SCHEDA FILM

Sepolti vivi

Anno: 1989 Durata: 91 Origine: SUDAFRICA Colore: C

Genere:HORROR, THRILLER

Regia:-

Specifiche tecniche:NORMALE A COLORI

Tratto da:ispirato al racconto omonimo di Edgar Allan Poe

Produzione:BRETON FILM PRODUCTIONS LTD

Distribuzione:EAGLE PICTURES (1990) - VIDEOGRAM, FONIT CETRA VIDEO

TRAMA

Janet, una giovane insegnante di scienze, viene assunta in un istituto femminile dove vengono curate con nuovi metodi le ragazze con forti squilibri nervosi. L'insegnante si trova subito coinvolta in una serie di misteriose sparizioni delle giovani pazienti e decide di indagare. Le ricerche la porteranno nei sotterranei dell'edificio dove l'attende una orrenda verità.

CRITICA

"La regia del francese emigrato Gérard Kikoine, di cui ricorderete un 'Dr. Jekill' con Anthony Perkins, ha puntato naturalmente sull'orrore, qua e là, però, è riuscito anche a mettere in moto certi meccanismi di suspense cui i patiti del genere potranno aderire senza troppe difficoltà: specie all'inizio, prima della scoperta del cimitero sotterraneo, quando ancora Janet esita fra le sue angosce e il dubbio che, in tutto quel groviglio di misteri, possano essere provocate solo dalla sua immaginazione turbata. I meccanismi, però, a un certo punto si scoprono troppo (i piani dello psichiatra ce li raccontano molto prima del finale) e l'intervento del fantasma, non sognato ma vero, tanto che funziona da deus ex machina, rischia di precipitare tutto nel ridicolo: anche se proprio non si ride. Gli interpreti sono Robert Vaughn ('Bullit', 'Superman III', 'Delta Force'), nelle perfidie ambigue dello psichiatra molto più pazzo delle sue assistite, Donald Pleasence, come sempre un po' laido ma pronto qui a collocarsi alla fine tra i personaggi buoni, e la bionda Karen Witter nelle vesti di quella che scopre tutto rischiando per un momento anche la vita. Cito anche il fantasma: è John Carradine, arrivato alla sua cinquantaduesima ed ultima interpretazione. Che non è, purtroppo, il suo canto del cigno." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 19 Luglio 1990) "Il bello del film, che per il resto è un horror di consumo come gli altri - con in più solo la bellezza vaporosa levigata, da top model, delle ragazze - è nel confondere realtà e allucinazione in un groviglio nodoso, fatto di visioni, di immaginazioni, di eventi mostruosi. Ad un certo punto nella clinica si perde completamente la bussola della normalità. Nessuno sembra più normale, non si capisce chi è la creatura ragionevole e chi il mostro. Molto buio, molto sotterraneo, molto costruito secondo i desideri maschili, questo film che ci mostra, in pratica, un castello sadiano con fanciulle belle come modelle di 'Playboy' alla completa mercè di un Signore e Padrone/psichiatra che le punisce, le atterrisce, le fa morire di paura, fino a murarle vive o a seppellirle vive in una bara di calce. Un film perfettamente sadico, che appaga desideri maschili di possesso e di imprigionamento femminile, ma che si mantiene sul filo della malizia, dell'intravedere, dell'eros subito tagliato: chissà, forse ne esiste anche una versione hard." (Giovanni Bogani, 'La Nazione', 23 luglio 1990) "'Sepolti vivi' è dedicato a John Carradine nella sua ultima, fugace apparizione sullo schermo. Non sorprende, che il grande caratterista caro a Ford abbia concluso una lunga carriera (50 anni e quasi 200 titoli) con un horror di serie B. Il 'Bardo del boulevard' - così era chiamato per la sua abitudine a declamare Shakespeare mentre passeggiava - è stato più volte il Conte Dracula e la sua figura allampanata e saturnina ne ha fatto l'ideale interprete di tanti ambigui personaggi del terrore. Nel film di Kikoine, Carradine è il genitore defunto e fantasmatico di Gary (Robert Vaughn), che ha ereditato il repressivo manicomio paterno trasformandolo in casa di cura per ragazze disadattate. (...) 'Sepolti vivi' non si preoccupa di esplorare la misteriosa zona dove le dimensioni si confondono, anche se è messo arbitrariamente sotto il segno di Poe. E' un filmetto di repertorio, con sangue, urli e lieto fine." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 21 luglio 1990)

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