Class Enemy2013

SCHEDA FILM

Class Enemy

Anno: 2013 Durata: 112 Origine: SLOVENIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Rok Bicek

Specifiche tecniche:DCP, CINEMASCOPE (1:2.35)

Tratto da:-

Produzione:AIKEN VERONIKA PROSENC, JANEZ LAPAJNE PER TRIGLAV FILM, IN COPRODUZIONE CON SLOVENSKI FILMSKI CENTER

Distribuzione:TUCKER FILM (2014)

ATTORI

Igor Samobor nel ruolo di Robert
Natasa Barbara Gracner nel ruolo di Zdenka
Tjasa Zeleznik nel ruolo di Sasa
Masa Derganc nel ruolo di Nusa
Robert Prebil nel ruolo di Matjat
Voranc Boh nel ruolo di Luka
Jan Zupancic nel ruolo di Tadej
Dasa Cupevski nel ruolo di Sabina
Doroteja Nadrah nel ruolo di Mojca
Spela Novak nel ruolo di Spela
Pia Korbar nel ruolo di Marusa
Dan David Mrevlje Natlacen nel ruolo di Primoz
Jan Vrhovnik nel ruolo di Nik
Kangjing Qiu nel ruolo di Chang
Estera Dvornik nel ruolo di Sonja
Peter Teichmeister nel ruolo di Bidello
 
 

SCENOGRAFIA

Modrej, Danijel
 

COSTUMISTA

Borak, Bistra

TRAMA

In un liceo sloveno, le relazioni tra il nuovo professore di tedesco e i suoi studenti si complicano quanto più vengono a galla le diversità inconciliabili fra i loro modi di intendere la vita. In seguito al suicidio di una studentessa, i compagni accusano l'insegnante di avere una forte responsabilità nella morte della ragazza. Il clima di tensione generato dalla grave accusa dà così vita a opposte dinamiche dai confini sempre più sfuggenti.

CRITICA

"E' un continuo e sfibrante braccio di ferro quello che si instaura in classe (una generica quarta di un generico liceo sloveno) tra chi sta nei banchi e chi in cattedra, che poi riverbera e trova nuova eco sul terreno culturale e su quello dei comportamenti, accompagnando lo spettatore dentro una specie di spirale dove risentimenti, frustrazioni, certezze e preconcetti si mescolano in una miscela micidiale. (...) dopo aver messo lo spettatore di fronte alle «forze» in campo con il massimo di oggettività possibile, il film continua a registrare lo scontro sempre più acceso senza voler tifare per alcuno dei contendenti. (...) La scommessa (vinta) del 29enne regista è quella di non parteggiare per nessuno e di mostrare i due campi avversi come treni destinati a scontarsi inevitabilmente, mentre tutt'intorno genitori, preside e psicologa scolastica (a cui la sceneggiatura ha riservato con una certa cattiveria il ruolo più ingrato e frustrante) sembrano preoccupati solo di inseguire il proprio tornaconto e non scalfire l'accomodante immagine pubblica dell'istituto. Il risultato è quello di un universo scolastico che diventa specchio del mondo che lo circonda, costruito con controllati piani sequenza e intensi primi piani dove si riflette un po' lo sguardo sociale del regista («Sloveni, se non uccidete voi stessi, uccidete gli altri», dice l'unico alunno straniero della classe), ma dove emerge soprattutto la voglia di sottolineare il rischio che nasce dall'essere troppo sicuri delle proprie idee. Lo sono i ragazzi, costretti a fare i conti con la propria superficialità (quando non cattiveria e qualunquismo) e spinti a scoprire che Sabina aveva ben altre ragioni per il suo gesto, ma lo è anche il professore che alla fine del film appare meno tetragono e «disumano» ma che sembra comunque non voler capire che l'insegnamento non è solo trasmettere nozioni. Lasciando alla fine tutti sconfitti e però avendo offerto allo spettatore lo spunto per cercare dentro di sé il proprio «nemico di classe»." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 7 ottobre 2014) "Ci sarà una ragione se ogni volta che un regista, generazione dopo generazione, si cala l'elmetto e torna nella trincea della scuola, ne esce un film vivo, vibrante, traboccante di energie e di domande senza risposta. Che per giunta non sono mai le stesse perché la scuola è un sismografo infallibile di tutto ciò che è in gioco in una comunità in un dato momento storico, sul piano del potere e dei modelli a cui obbedisce quella comunità. Ovvero della loro legittimità. Ieri 'La scuola' di Luchetti, 'La classe' di Cantet, e anche il meno risolto 'La mia classe' di Gaglianone. Oggi 'Class Enemy' dello sloveno Rok Bicek, 29 anni, scoperto alla Settimana della Critica di Venezia. Un film in cui non si spreca una scena, una faccia, un gesto, senza che accada qualcosa di irrimediabile. Come sempre negli anni della formazione, quando tutto accade per la prima volta e lascia tracce indelebili. Non solo in chi è lì per imparare ma in chi dovrebbe insegnare, se è degno del suo mestiere. (...) La spirale che si mette in moto ricorda quella del 'Sospetto' di Vinterberg, ma lo sguardo di Bicek è più ampio e sfumato. Oltre ai ragazzi, mai giudicati ma solo osservati nella loro ingenua arroganza (non priva di ragioni), sfilano infatti i professori e in una breve scena sarcastica i genitori, che portano di colpo tra quelle mura il rumore del mondo. Lo spunto di partenza sarà autobiografico, ma il neoregista lo ha elaborato a dovere. Di Bicek risentiremo parlare." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 ottobre 2014) "Diretto da un regista sloveno non ancora trentenne e presentato alla Settimana delle Critica di Venezia, un esordio intelligente che scarta ammirevolmente tutti gli stereotipi dello 'school movie'. Non solo per l'ottima composizione del cast, assortimento di attori professionisti e studenti scelti nelle scuole. La sua forza sta nell'assumere diversi punti di vista, mostrando anche le ragioni di un insegnante severo perché prende il suo compito molto seriamente. Così che il vero colpevole diventa il sistema educativo (non solo) sloveno, proiezione di una society dove permissivismo fa rima con indifferenza, generando effetti depressivi sui giovani." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 9 ottobre 2014) "Nemico di classe è un dramma scritto nel 1978 da Nigel Williams, ambientato nell'aula devastata di una scuola della periferia di Londra dove se ne stanno barricati, abbandonati a se stessi, sei sedicenni in rivolta. Ispirandosi nel titolo e nello spunto di base a quel testo - trasferito nel 2007 in cornice bosniaca in un lodatissimo spettacolo di Pasovic - l'interessante esordiente sloveno Rok Bicek lo trasforma, portando l'azione in un liceo borghese di Lubiana (...). Bicek segue con buon controllo le fasi in crescita dello scontro e lo scioglimento finale, tenendo conto delle motivazioni di ognuno, ma è chiaro che con la sua trasparente intransigenza è proprio Zupan il vero maestro di vita." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 9 ottobre 2014) "Per i Marx ed Engels del Manifesto del Partito comunista, le due classi erano borghesia e proletariato, ma oggi? Lasciamo perdere pure Sorel, Brecht e il letterale - e teatrale - 'Nemico di classe' di Nigel Williams, e andiamo al cinema, con un film che non capita ogni weekend: 'Class Enemy', folgorante (sul serio) esordio dello sloveno Rok Bicek, classe 1985. (...) Sullo schermo, un rapporto di causa-effetto apparentemente semplicissimo: un nuovo professore di tedesco, una classe che esplode. Eppure, la tavolozza umana di Bicek non ha bianco e nero, ma tutte le sfumature del caso, i chiaroscuri psicologici, le ambiguità etiche, le relazioni politiche tra bene e male: chi è il colpevole, soprattutto, c'è un colpevole? Apparentemente, anche qui, non ci sono dubbi: Robert (Igor Samobor, superstar in Slovenia, le signore gradiranno assai...), il professore tutto d'un pezzo, marziale si direbbe, 'nazista!' replicano gli studenti. La classe dove sostituisce una cara - e un tot svanita - collega in gravidanza è neutra, comune: ragazzi e ragazze diversi tra loro, eppure, come tutti. Il ribelle, il secchione, la punkettona, gli stereotipi, meglio, i tratti distintivi sono ordinari, forse, a dare nell'occhio è solo Sabina (Dasa Cupevski), che suona Mozart al pianoforte. (...) La sinossi, ovvero la guerra con la cattedra a far da barricata, non è inedita, ma il titolo non è solo un evocativo, elegante e furbo gioco di parole: un nemico di classe qui c'è davvero. Già, ma chi è? Se Sabine è il capro espiatorio, la preside - direbbe Lenin - l'utile idiota, sicuri che Robert sia la nemesi? No, troppo cattivo, troppo 'nazista' per essere davvero tale, ma la forza del film qui risiede: Robert non ha inquadrature in soggettiva, Robert è oggetto degli studenti, correlativo oggettivo della loro ribellione, eppure nonostante non abbia voce drammaturgica - a parte la straordinaria presa scenica - stiamo con lui, meglio, gli concediamo il beneficio del dubbio. Bicek (...) cita Haneke, Mungiu e Zvyagintsev tra i propri maestri e non paiono nomi a caso, soprattutto il primo: 'Amo la sua spietata dissezione dell'animo umano, e cerco di rappresentarla anche nei miei film'. Ci è quasi vicino (...) ma anche libero da illustri assonanze Bicek va bene, benissimo: non ha solo la dialettica, ma la didattica della lotta di classe. E al posto di strillare Occupy qualcosa, lui ha deciso di sgombrarci il cervello: non è da tutti, eh?" (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 9 ottobre 2014) "Professori, i veri nemici? Con il suo esordio, uno dei più intensi degli ultimi anni, Rok Bicek, regista sloveno classe 1985, confeziona un bellissimo film sui conflitti intergenerazionali. I 'teacher drama', secondo la definizione classica dei modelli filmici americani, affascinano, interrogano e coinvolgono pubblici generazionali ampi. E 'Class Enemy', candidato sloveno per l'Oscar al miglior film straniero (...), riesce in pieno, senza vincitori né vinti, a trasformare le distanze in domande. (...) nel cast bravi e giovani attori non professionisti (...). Girato in pochi esterni e quasi interamente in stanze e luoghi pieni di muri (come per sottolineare l'assenza di spazi e di comunicazione), 'Class Enemy' crea un microcosmo reale dove i personaggi mettono a nudo limiti e desideri, libertà sottintese e rigidità devianti. E le responsabilità diventano non più facili sentenze, ma tortuosi sentieri che riconducono a una maggiore presa di coscienza dell'essere umano e delle sue innumerevoli scelte. Con 'Class Enemy' il genere dei 'teacher drama' continua a mettere al centro i complessi rapporti intergenerazionali e intragenerazionali. Relazioni conflittuali mai banali che da sempre hanno ispirato registi e sceneggiatori di tutto il mondo. Regalando documentari e film belli, forti, inquietanti (...) quello che colpisce di questi film eccelsi (padre di tutti 'Zero in condotta' di Jean Vigo) è la presenza di un significativo denominatore comune. Diari, racconti, esperienze, incontri, interviste (anche in 'Class Enemy' quasi tutti gli eventi narrati sono stati vissuti in prima persona dal regista Bicek) di chi ha amato e vissuto la bellezza e l'amarezza dell'insegnamento sono spesso il motore principale di queste storie, cariche di realismo, sempre vecchie ma sempre nuove." (Emanuela Genovese, "Avvenire", 9 ottobre 2014) "Sorprende sempre per chi ha frequentato il liceo prima del '68 in cui ti davano del lei perché eri la futura classe dirigente, vedere in che stato è ridotta la scuola e ancora di più Io sconforto dei professori (già Luchetti ce ne ha offerto lo scenario dalle cronache di Starnone). Ma anche cogliere un identico tipo di sensibilità incandescente degli adolescenti di qualunque epoca, pronti comunque a contrapporsi al «sistema». (...) Realizzato dall'esordiente Rok Bicek non ancora trentenne, accolto con grande favore alla Settimana della critica di Venezia dello scorso anno, rappresentante della Slovenia agli Oscar, ricrea un microcosmo in cui interagiscono due diverse generazioni, i professori e soprattutto gli alunni che sono lo specchio della nazione in fieri. (...) Quando un'alunna dall'aria sempre assente e malinconica si suicida, la classe in maniera feroce si coalizza contro il professore soprannominato «il nazista» accusandolo di essere responsabile del gesto proprio a causa della sua durezza. Si mobilita compatta contro un nemico ed è proprio questo aspetto ad essere espresso in maniera interessante perché segue un criterio di psicologia di gruppo che può essere esteso ad altri ambiti della società (la guerra ormai finita da un pezzo aleggia sullo sfondo del film) quando si svegliano istinti primitivi, poco educati a distinguere le sfumature. Bisogna dire che nelle cinematografie dell'est è stato uno stereotipo assai frequentato mettere in scena la morte di un amico per far scattare problematiche di responsabilità e occasione di maturazione adolescenziale, costante dei romanzi di crescita al cinema. Così in 'Class Enemy' questo è il punto di partenza, poi i ragazzi non fanno i conti con le loro responsabilità se non quando sono messi con le spalle al muro, a rischio di perdere l'anno, mentre tutta la carica emotiva è indirizzata a individuare il nemico, metterlo sotto processo, rendergli la vita impossibile. I ragazzi non guardano neanche più alla realtà delle cose, si procede per stereotipi (...). I genitori convocati all'ennesima infrazione alla condotta ripropongono gli stessi comportamenti come a mostrare che il processo di maturazione anche per loro è rimasto bloccato a un certo punto. (...) Anche il regista ha lasciato la scuola poco tempo prima: un po' racconta episodi della sua esperienza scolastica, riprende figure di professori, il primo della classe che è simile dappertutto, una calamità, imbranato nello sport, seduto al primo banco e qui si chiama anche Primus, un po' fa la morale, ma soprattutto costruisce con questi materiali un meccanismo che supera le mura dell'edificio scolastico per entrare nel vivo delle dinamiche della società con le sue pulsioni di aggressività più o meno represse." (Silvana Silvestri, 'Il Manifesto', 9 ottobre 2014) "(...) interessante anche se controverso film del regista sloveno. (...) Quando la macchina da presa entra nella scuola i risultati sono sempre interessanti sia che si giochi sul terreno della commedia di costume come faceva Daniele Luchetti in «La scuola», o in quelli più costruiti e chirurgici del magnifico «Entre les murs» («La scuola») di Laurent Cantet (Palma d'oro a Cannes), o «La mia classe» di Gaglianone o, ancora recente «la scuola di Babele» di Julie Bertuccelli. Anche se più che un film «sulla scuola», questo di Bicek è un film sull'elaborazione del lutto: «la morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive» è il titolo di un tema che l'insegnate propone ai ragazzi sulla scorta di un aforisma di Thomas Mann. Che poi tutto non sia solo bianco o nero ma che ci sia, sempre, un'ampia zona grigia tra le due posizioni, non dovevamo certo aspettare questo film per scoprirlo. E però il sottile gioco di svelamenti, di ribaltamenti di posizione, di epifanie che la narrazione mette in gioco ad essere molto interessante almeno sul piano del dibattito. Film per insegnanti quanti altri mai, «Class Enemy» tiene il punto proprio lì dove registra l'ambiguità della sfera istituzionale apparentemente aperta, in realtà di un meschinità sconcertante (si vedano le figure della preside e della povera psicologa)." (Andrea Frambosi, 'L'Eco di Bergamo', 16 ottobre 2014)

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