Silent Souls2010

SCHEDA FILM

Silent Souls

Anno: 2010 Durata: 80 Origine: RUSSIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Aleksei Fedorchenko

Specifiche tecniche:BETA DIGITAL, DCP, SCOPE, 35 MM

Tratto da:dalla novella "Ovsjanki" di Aist Sergeyev

Produzione:IGOR MISHIN, MARY NAZARI PER MEDIA MIR FOUNDATION

Distribuzione:MICROCINEMA (2012)

ATTORI

Igor Sergeyev nel ruolo di Aist
Yuriy Tsurilo nel ruolo di Miron
Yuliya Aug nel ruolo di Tanya
Victor Sukhorukov nel ruolo di Vesa
Ivan Tushin nel ruolo di Aist bambino
Vyacheslav Melekhov
Larisa Damaskina
Yuliy Tushina
Leisan Sitdikova
Olga Dobrina
 

SOGGETTO

Sergeyev, Aist
 

SCENEGGIATORE

Osokin, Denis
 

TRAMA

Alla morte di sua moglie, Miron chiede all'amico Aist di accompagnarlo nel viaggio che dovrà fare per compiere il rito d'addio alla donna amata, secondo le tradizioni della cultura dei Merja, un'antica etnia del Lago Nero, regione del centro-ovest della Russia.

CRITICA

"I Merja, chi erano costoro? Popolazione ugro-finnica, già stanziata sul Lago Nero nel centro-ovest della Russia, e poi inglobata dagli slavi. Eppure, vivono ancora, e vive pure questo film rituale, nonostante il filo conduttore sia un cadavere da tumulare. Tranquilli, la morte se ne sta in disparte, il mood è soave, lo spirito contemplativo, musiche e fotografia (Osella a Venezia 2010, nonché Signis e Navicella) distendono, mentre gli zigoli - specie di passeri giallastri - non stanno a guardare. (...) Un motivo in più per lasciarsi sorprendere e irretire da questa intensa quiete, appoggiata sulla triade Amore, Morte, Acqua: del resto, con l'andazzo in sala, quando vi ricapita? (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 11 maggio 2012) "Un film russo. Premiato dalla critica internazionale alla Mostra di Venezia di due anni fa. L'ha diretto Aleksei Fedorchenko, un regista che da qualche tempo si dedica alla riscoperta delle varie etnie, anche le più remote, presenti o ricordate nei tanti territori della Federazione Russa. Qui immagina di ricostruire i miti, gli usi e i costumi di un gruppo etnico ugro-finnico, i Merya, estinti come comunità almeno quattrocento anni or sono. Lontana comunque dalle sue intenzioni l'idea di un documentario antropologico, il tentativo preciso, invece, di affidare alla gente di oggi, in quella zona occidentale della Russia che confina con la Finlandia, sentimenti che la dimostrino ancora radicata, nel quotidiano, a lontani usi ancestrali. (...) Tutto semplice, tutto piano, tutto raccolto. Pochi dialoghi, salvo la voce fuori campo dell'amico che ci spiega dei Merja e rievoca il proprio passato. Un silenzio rotto quasi soltanto da quegli uccellini che davano il titolo all'edizione originale del film, 'Ovsyanki' (da tradursi 'zigoli', qualcosa come i nostri passeri) che hanno quasi il valore allegorico di interlocutori dato che l'amico di Miron, dopo averne acquistati due, ha voluto portarseli in viaggio dentro a una piccola gabbia. Il loro cinguettio, così, si alterna a nenie e canti frutto di quella stessa antica cultura di cui ogni momento del film è idealmente partecipe, riuscendo a coinvolgerci con finezza all'insegna di un delicato intimismo. Gli interpreti sono sconosciuti qui da noi, ma hanno facce che non si dimenticano. Fra il simbolico e il reale." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo Roma', 25 maggio 2012) "Un uomo in bici corre su di una strada costeggiata di alberi e, al di là di essi, da squarci di campi persi fino all'orizzonte. Due uccellini in gabbia sono ben ancorati alla bicicletta, e anch'essi corrono nei campi ma senza volare. La voce profonda di un uomo ci dice che gli zigoli, questo è il nome degli uccelli, sono molto diffusi in Russia, sono piccoli e di colore giallo-verdi, uccelli comuni e semplici, come le persone che abitano la comunità di quei villaggi russi. Poco dopo lo stesso uomo è in accappatoio e scrive parole sconosciute di un'antica lingua ugro-finnica su di un computer, unico mezzo moderno in una casa semplice e vecchia. La stessa voce narrante di prima, la sua, ci dice che quest'uomo ha quarant'anni, non ha famiglia e lavora in una cartiera locale, in una zona remota e sperduta della Russia. La macchina da presa ora si muove leggermente, indietreggiando, come ad aprirsi verso qualcosa di più grande che comprende la storia di quest'uomo e della sua gente, eredi lontani di un popolo scomparso, uno dei tanti affluenti confluiti nel grande Volga russo. (...) Presentato a Venezia, vincitore di diversi premi, 'Silent Souls' è un film sospeso e profondo, un canto funebre magico e meravigliosamente fotografato. Andate in sala a vederlo, merita il grande schermo." (Dario Zonta, 'L'Unità', 25 maggio 2012) "Bizzarrie della distribuzione: se in certi weekend sgomitano sugli schermi i film d'azione, altri sommano le uscite di pellicole dai ritmi lunghi, arcani, magari dominati dalla presenza della voce narrante. È il caso di questa settimana (...), in cui esce anche il film del russo Aleksei Fedorchenko, in concorso a Venezia 2010. Cinema di poesia e cinema antropologico-culturale si fondono nel viaggio di Miron e dell'amico Aist, che accompagna il vedovo a rendere l'estremo addio alla moglie Tanya secondo il rito atavico dell'etnia Merja, sciolta da secoli ma le cui tradizioni permangono nella modernità. Fanno parte della compagnia due zigoli, animucce silenziose in forma di uccellini eppure destinate a un ruolo importante nel rituale. Malinconico ed evocativo fin dalla voce 'over' che invade (forse troppo) il sonoro, un film pieno di fede nel valore terapeutico dei ricordi e nel sentimento dell'Amore (...). Un po' fuori del tempo, magari, ma un piccolo regalo per il pubblico delle anime silenziose." (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 25 maggio 2012)

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