Nel nome del padre1971

SCHEDA FILM

Nel nome del padre

Anno: 1971 Durata: 105 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Marco Bellocchio

Specifiche tecniche:PANORAMICA, 35 MM - EASTMANCOLOR

Tratto da:-

Produzione:FRANCO CRISTALDI PER VIDES CINEMATOGRAFICA

Distribuzione:INC (1971); CINECITTÀ LUCE (2011) - DELTAVIDEO, VIDEO CLUB LUCE, GRUPPO EDITORIALE BRAMANTE - DVD: ISTITUTO LUCE (2008)

ATTORI

Yves Beneyton nel ruolo di Angelo Transeunti
Renato Scarpa nel ruolo di Padre Corazza, vice rettore
Laura Betti nel ruolo di Madre di Franco
Aldo Sassi nel ruolo di Franco
Lou Castel nel ruolo di Salvatore
Piero Vida nel ruolo di Bestias
Gérard Boucaron nel ruolo di Bocciofili
Marco Romizi nel ruolo di Camma
Edoardo Torricella nel ruolo di Padre Matematicus
Livio Galassi nel ruolo di Marsilio
Christian Aligny nel ruolo di Rettore
Rossano Jalenti nel ruolo di Beato
Ghigo Alberani nel ruolo di Diotaiuti
Tino Maestroni nel ruolo di Tino
Gisella Burinato nel ruolo di Lisetta
Luisa Di Gaetano nel ruolo di Statua della Vergine
Claudio Besestri nel ruolo di Muscolo
Orazio Stracuzzi nel ruolo di Remondini
Gianni Schicchi nel ruolo di Ghiaccio
Guerrino Crivello
Marino Cenna
Simone Carella
 
 

SCENEGGIATORE

Bellocchio, Marco
 

MUSICHE

Piovani, Nicola
 

SCENOGRAFIA

Fago, Amedeo
 

COSTUMISTA

Job, Enrico

TRAMA

La fragorosa sequenza di un canto penitenziale e le immagini d'ambiente collocano la vicenda in un collegio di lusso, anno scolastico 1958-1959. Vi è rinchiuso Angelo Transeunti per aver restituito a suo padre calci e schiaffi e pesantissimi insulti. Il personaggio resta coerente in ogni circostanza: teorizzatore del superuomo, hitleriano in sedicesimo, strumentalizza i compagni, fa espellere il vile prefetto Diotaiuti, induce un compagno a uccidere la madre isterica e seccatrice; mentre un altro si suicida, mette a soqquadro il collegio; mascherato da cane si aggira per i locali portando a spalla il cadavere di un sacerdote, il professor Matematicus; esprime il suo disprezzo per gli inservienti, un'accozzaglia di rottami della società che subiscono in collegio l'estremo sfruttamento gabellato per carità cristiana e redenzione. D'accordo con le sue teorie circa il potere che ha bisogno della paura, riesce a realizzare uno spettacolo grottesco e blasfemo che disgusta gli insegnanti, terrorizza il gruppo dei piccoli collegiali e diverte gli altri. Sembra, e crede di essere, il dominatore, ma gli tengono testa il vicerettore, padre Corazza, sufficientemente illuminato da capire la fatiscenza dei vecchi metodi, e troppo debole per instaurarne di nuovi; Salvatore, il capo degli inservienti, che punta su rivendicazioni più modeste e concrete; in qualche modo anche il gruppo dei collegiali, nevrotici, ipocriti, viziosi, velleitari, già rassegnati a non contar mai nulla. Immagini e voci dei funerali di Pio XII si inseriscono più volte quale annotazione storica, e, si pretende, emblematica di un'epoca non seppellita, oscurantista e repressiva.

CRITICA

"E' vero che per la sua dimensione autobiografica, il film è strettamente legato ai precedenti ('I pugni in tasca' e 'La Cina è vicina'): c'è il tema dell'adolescenza e, sia pur di scorcio, quello della provincia emiliana; c'è l'aggressione contro l'educazione cattolica da Controriforma, la denuncia di un certo tipo di istituto familiare borghese, la crescita disagiata e deformata in un ambiente reazionario, e la rivolta; c'è la prospettiva rivoluzionaria d'una riscossa degli oppressi, e la critica, i dubbi sul ruolo della borghesia (se stesso?) Si potrebbe, al limite, parlare di trilogia, ma 'Nel nome del padre' che la chiude segna sugli altri due un progresso, o meglio, una maturazione che è politica ma anche espressiva." (Morando Morandini, "Tempo", 3 gennaio 1972) "Conscio che la materia del contendere offriva precario fondamento alla sua furibonda invettiva, Bellocchio s'è illuso di sopperirvi abbandonandosi all'amplificazione, alla deformazione grottesca e terrificante, all'invenzione di un collegio assurdo e inesistente, tra quelli almeno di segno cattolico. Ha fatto di peggio, se possibile, generalizzando e radicalizzando come se tuttti i collegi cattolici fossero di quello stampo e tutti, appunto, perché cattolici. (...) Dal crudo realismo del primo film, il regista è passato ad un espresionismo allegorico-simbolico facilmente riferibile a precedenti pittorico-architettonici, teatrali e cinematografici. Rimane la rabbia di un autore che non ha raggiunto, o ha perduto, il dominio del materiale utilizzato e non nasconde un raggelante disprezzo per coloro stessi che presenta quali vittime delle situazioni denunziate." ("Segnalazioni cinematografiche", vol. 74, 1973)

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