Anno: 1997 Durata: 110 Origine: ITALIA Colore: C
Genere:DRAMMATICO
Regia:Roberto Benigni
Specifiche tecniche:-
Tratto da:-
Produzione:MELAMPO CINEMATOGRAFICA
Distribuzione:CECCHI GORI DISTRIBUZIONE - CECCHI GORI HOME VIDEO - BLU-RAY: CG HOME VIDEO (2010)
Roberto Benigni | nel ruolo di | Guido |
Nicoletta Braschi | nel ruolo di | Dora |
Giustino Durano | nel ruolo di | Zio Eliseo |
Giuliana Lojodice | nel ruolo di | Direttrice didattica |
Sergio Bini | nel ruolo di | Ferruccio |
Alessandra Grassi | nel ruolo di | Maestra |
Amerigo Fontani | nel ruolo di | Rodolfo |
Andrea Nardi | nel ruolo di | Tappezziere |
Carlotta Mangione | nel ruolo di | Eleonora |
Claudio Alfonsi | nel ruolo di | Amico Rodolfo |
Francesca Messinese | nel ruolo di | Signora opera |
Francesco Guzzo | nel ruolo di | Vittorino |
Franco Mescolini | nel ruolo di | Ispettore P.I. |
Giancarlo Cosentino | nel ruolo di | Cameriere Ernesto |
Gil Baroni | nel ruolo di | Prefetto |
Gina Rovere | nel ruolo di | Giorgia |
Giorgio Cantarini | nel ruolo di | Giosue' |
Giovanna Villa | nel ruolo di | Segretaria del comune |
Hannes Hellmann | nel ruolo di | Caporale tedesco |
Horst Buchholz | nel ruolo di | Dottor Lessing |
Lydia Alfonsi | nel ruolo di | Guicciardini |
Marisa Paredes | nel ruolo di | Laura |
Massimo Salvianti | nel ruolo di | Poliziotto cartolibreria |
Nino Prester | nel ruolo di | Bruno |
Pietro De Silva | nel ruolo di | Bartolomeo |
Raffaella Lebboroni | nel ruolo di | Elena |
Verso la fine degli anni Trenta in Toscana, due giovanottelli lasciano la campagna per trasferirsi in città. Guido, il più vivace, vuole aprire una libreria nel centro storico, l'altro Ferruccio fa il tappezziere ma si diletta a scrivere versi comici e irriverenti. In attesa di realizzare le loro speranze, il primo trova lavoro come cameriere al Grand Hotel, e il secondo si arrangia come commesso in un negozio di stoffe. Camminando, Guido si innamora di una maestrina, Dora, e, per conquistarla inventa l'impossibile. Le appare continuamente davanti, si traveste da ispettore di scuola, la rapisce con la Balilla. Ma Dora si deve sposare con un vecchio compagno di scuola, e tuttavia non è soddisfatta perché vede molto cambiato il carattere dell'uomo. Quando al Grand Hotel viene annunciato il matrimonio, Guido irrompe nella sala in groppa ad una puledro e porta via Dora. Si sposano ed hanno un bambino, Giosuè. Arrivano le leggi razziali, arriva la guerra. Guido, di religione ebraica, viene deportato insieme al figlioletto. Dora va da un'altra parte. Nel campo di concentramento, per tenere il figlio al riparo dai crimini che vengono perpetrati, Guido fa credere che loro fanno parte di un gioco a punti, in cui bisogna superare delle prove per vincere. Così va avanti, fino al giorno in cui Guido viene allontanato ed eliminato. Ma la guerra nel frattempo è finita, Giosuè esce, incontra la madre e le va incontro contento, dicendo "abbiamo vinto".
"La novità di 'La vita è bella' è l'esplosione di un talento recitativo che finora non si era palesato in tutto il suo fulgore. È vero che il copione scritto con Vincenzo Cerami ardisce e non ordisce, nel senso che sbilancia alla maniera dell'ultimo Chaplin la farsa verso il cinema di idee; ed è vero che Benigni regista rivela un'inedita autorevolezza anche nell'avvalersi degli apporti sapienti (per citare solo tre nomi) di Danilo Donati, scenografo, Tonino Delli Colli, operatore e Nicola Piovani, musicista. Il tentativo, invero, acrobatico, è di coniugare il frù frù di Lubitsch che percorre la prima parte (magari con l'occhio al grottesco antinazista 'Vogliamo vivere') con la spoglia eloquenza di Rossellini nella raffigurazione del lager: ma cuciti insieme dal filo rosso di una follia tutta benignesca, magari corroborata dall'attraversamento dell'universo di Fellini (...).Peccato che l'impaginazione del film, lodevolmente asciutta, sacrifichi un po' i personaggi minori. Tuttavia ciò che tiene insieme "La vita è bella", lo giustifica e ne esalta la qualità poetica è la presenza scoppiettante e ispirata del protagonista: romanticamente buffo nei colloqui con la "principessa" Nicoletta Braschi al suono della 'Barcarola' di Hoffmann, paternamente protettivo nel duetto con il piccolo Giorgio Cantarini. Nel quale trova finalmente un senso l'ormai vetusto slogan sessantottino L'immaginazione al potere". (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 19 dicembre 1997) "La vita è bella, quinto film e mezzo del nostro Charlot Benigni in veste di regista, non è un 'bel' film. Ma è un film - appassionato, divertente, commovente, sincero - con una qualità rara nel cinema di oggi: ha un'anima. E ha un'idea fortissima che porta avanti di slancio e nobilmente la sua storia qualche volta stiracchiata e ansimante: la vita è fantasia, per sopravvivere ci vogliono fantasia e amore (...). Il nostro Charlot di Vergaio aspira forse a fare troppo. Ma ha fatto tantissimo. Sulla scorta della sceneggiatura scritta con il suo abituale e abilissimo complice Vincenzo Cerami ha costruito un personaggio e un apologo che sarà difficile dimenticare: la maschera tragicomica di un giusto alle prese con l'indicibile orrore dell'olocausto che si ribella, appunto, non dicendolo, non riconoscendolo, non dandogli l'importanza attribuitagli dal persecutore". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 18 dicembre 1997) "Benigni vince la scommessa del tragicomico, con una sceneggiatura elaboratissima e sottile, con un lungo incipit disseminato di segnali fastidiosi e inquietanti, con la sua recitazione sempre un po' straniata, sperduta, sorpresa (ma che altra reazione può avere uno, davanti alla sola idea del massacro di una razza?), e con quella del bambino, che sta sempre in bilico tra la paura e l'eccitazione del gioco, tra la fiducia nel babbo (che ostinatamente ride) e la sensazione che, invece, qualcosa non funzioni. E, in almeno due scene, piega alla tragedia la sua genialità monologante: la finta, disperata traduzione dal tedesco, all'arrivo nel campo, quando trasforma le regole della sopravvivenza in quelle del gioco, e, prima, nella scuola, l'illustrazione del manifesto della razza ariana, per la quale prende a prestito particolari anatomici della propria, inarrivabile bellezza. Un film che lascia il segno". (Emanuela Martini, 'Film Tv', 1 gennaio 1998)
Incasso in euro