SCHEDA FILM

LA TRISTEZZA E LA BELLEZZA

Anno: 1985 Durata: 93 Origine: FRANCIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO, SENTIMENTALE

Regia:-

Specifiche tecniche:PANORAMICA A COLORI

Tratto da:DAL ROMANZO "UTSUKUSHISA TO KANASHIMI TO" DI YASUNARI KAWABATA

Produzione:PIERRE NOVAT PER PACIFIC PRODUCTIONS, G.P.F.I., FRANCE 3 CINEMA

Distribuzione:WILLIAM ITALIANA (1986) - GENERAL VIDEO, CENTER VIDEO

TRAMA

Hugo, cinquantenne romanziere che vanta un best-seller letterario, tratto da personali vicende passionali del passato, vivacchia un rapporto infelice e annoiato con la moglie da cui ha avuto Martin, il figlio ora laureando. L'aridità ispirativa lo spinge a ritrovare Lea, l'amante di un tempo, ora affermata scultrice, al fine di riceverne stimoli per la prossima opera. La rintraccia e ottiene un appuntamento, al quale però si presenta Prudence, bella e ambigua allieva di scultura della donna, che lo conduce da lei. Gelosa del ridestarsi di un sentimento di Lea per Hugo, Prudence - che è legata a Lea da un'oscura passione - decide di "punire" Hugo per le sofferenze causate all'amante (fra cui la morte della figlia neonata) e, per conservarsi l'esclusiva della passione di Lea, riesce a sedurre successivamente padre e figlio, trascinando quest'ultimo - al quale forse si è affezionata - a tragica morte in una folle regata in motoscafo sul lago di Ginevra.

CRITICA

"Con meriti abbastanza interessanti, anche poi, dal punto di vista della rappresentazione visiva. Inutile aspettarsi degli equivalenti dello stile di Kawabata tutto immagini e fiamme, e colori e cornici, c'è però un garbo visivo, con delle attenzioni cromatiche, con un gusto preciso per le composizioni. Anche qui con l'ingenuità di ambientare a un certo momento una scena in un giardino giapponese di Parigi, per avere ponticelli e alberelli, in genere però con delicatezza e fervore, tanto da stupire che il regista sia solo ai suoi esordi. Altro merito, l'interpretazione. Otoko, che adesso si chiama Lea, è Charlotte Rampling, con una ambiguità che ricorda più il romanzo del film, dove invece la sua relazione con la ragazza è data in modo solo indiretto e non definito; con molte tensioni dolorose, con occhi fondi, consci e nello stesso tempo perduti. Heiko, ritradotta Prudence, è Béatrice Agenin, un viso nuovo, non a caso quasi giapponese, levigato, smaltato, ma anche, non di rado bifronte: capace spesso sia di farsi ammirare sia di fare paura (come avrebbe dovuto essere sempre, ma soprattutto nel finale). Lo scrittore è Andrzej Zulawski. Molto più credibile come attore che non come regista. Una nota di biasimo per le musiche. Hanno tutto il tronfio che Kawabata non voleva e che la sceneggiatura, nei suoi momenti più intensi, si è impegnata a evitare." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 19 Gennaio 1986) "La giovane regista esordiente Joy Fleury ha compiuto un'operazione analoga a quella di Liliana Cavani con 'Interno berlinese' tratto da 'La croce buddista' di Tanizaki. Ha preso 'Bellezza e dolore' (1963), romanzo di un altro grande narratore giapponese del '900, Yasunari Kawabata (1899-1972), premio Nobel 1968, e ne ha trapiantato la vicenda nella Francia dei nostri giorni. E' un film lasco, stanco e decorativo, aduggiato da dialoghi di intellettualistiche ambizioni, in cui i vuoti d'aria sono riempiti da una musica impositiva e ridondante che non risparmia allo spettatore nemmeno cori di voci bianche. A furia di voler fare un film d'atmosfera ma conciso (90 minuti), si saltano alcuni importanti nodi narrativi. Che sia colpa dei tagli operati nell'edizione italiana? Con la parziale eccezione di Myriem Roussel (la Maria dell'ultimo Godard), alle prese con personaggi anemici gli attori si muovono come zombies." (Morando Morandini, 'Il Giorno', 27 Marzo 1986) "Dominato, o così vorrebbe dalla musa dell'ambiguità, il film procede stancamente fra sguardi intensi, ieratiche movenze, squisitezze formali, qualche sosta nel più banale erotismo e battute che presumono di restare memorabili. Passione d'amore, pieghe perverse e funeste memorie si mescolano senza destare emozioni nell'esordio di questa Joy Fleury che peraltro si affida ad attrici di buona rinomanza: la Charlotte Rampling piagata dalla sofferenza e la Myriem Roussel (la Maria di Godard) doverosamente compiaciuta della propria nudità. Hugo è Andrzej Zulawski come attore infame: autorevolmente definito faccia da gnocco." ('Il Corriere della Sera')

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