Anno: 1996 Durata: 125 Origine: FRANCIA Colore: C
Genere:DRAMMATICO
Regia:-
Specifiche tecniche:PANORAMICA A COLORI
Tratto da:romanzo omonimo di Primo Levi
Produzione:LEO PESCAROLO E GUIDO DE LAURENTIIS PER 3 EMME CINEMATOGRAIFCA (ROMA), VERAM BELMONT PER STEPHAN FILMS E UCG IMEGES (PARIGI), DANIEL ZUTA PER DAZU FILM (BONN)
Distribuzione:WARNER BROS. ITALIA (1997)
Quando si annuncia la fine della Seconda Guerra Mondiale, un gruppo di deportati viene liberato dai russi dal lager di Auschwitz ma, in assenza di indicazioni o di punti di riferimento, rimane sbandato. Ci sono polacchi, cechi, francesi ed anche italiani. Per un po' tutti rimangono uniti, poi gli italiani si affidano ad un connazionale che si spaccia per responsabile dei rapporti con i russi e cercano di pensare a come tornare a casa. Comincia così un viaggio pieno di difficoltà affrontato nelle condizioni più disperate. Nel gruppo c'è Primo, che continua a rivivere dentro di sé gli orrori del lager e quasi non riesce più a pensare ad una vita diversa. Ci sono Cesare, molto estroverso, e Daniele, Ferrari, Unverdorben, D'Agata. Insieme attraversano l'Europa centrale, ora a piedi ora sui treni di fortuna, talvolta pensando di aver trovato la strada giusta, altre in preda allo sconforto per un traguardo che sembra allontanarsi sempre di più. Durante il cammino, Primo incontra un greco disincantato e disilluso che gli offre molte lezioni di vita. Il viaggio va avanti e diventa occasione per conoscere meglio gli altri e se stessi. Momenti di depressione si alternano, in tutti ma specialmente in Primo, a occasioni di riscoperta di gioie dimenticate come la tensione amorosa. In rapidi, drammatici flashback riaffiorano i ricordi del lager, e Primo a contatto con una realtà che si riapre alla vita, sente quasi la colpa di essere sopravvissuto. Finalmente il gruppo arriva a Monaco, dove un soldato tedesco vede su Primo il segnale di Auschswitz e si inchina per chiedergli scusa. L'ultima tappa è a Torino, a casa, dove Primo ritrova la sorella e la mamma. Nella tranquillità della propria stanza, seduto davanti la macchina da scrivere, cerca di rievocare la tragedia passata, ma il senso di colpa rimane forte e ineliminabile.
"Per bloccare l'attenzione dello spettatore sul 'non dimenticare' preteso da Levi, nell'atto di dirigere 'La tregua' e nell'allestire i cartoni preparatori (ciò che viene chiamato 'prefilmico'), Rosi si è affidato al doppio registro della commozione e della contemplazione, del coinvolgimento emotivo e della meditazione sull'esempio morale che se ne può ricavare. E, legandoli con un movimento pendolare, passa dalla registrazione di un'emozione a momenti che, per intenderci, chiameremo 'epici'. Si badi a come nel film si alternino, e si saldino fra loro, elementi che sulla carta si direbbero appartenere a codici diversi: la nota commossa (la donna anziana che accoglie i due italiani nella botteguccia e gli offre del cibo) o scherzosa (l'episodio del greco, la figura di Cesare che, come già avveniva in Levi, paiono elementi da commedia innestati su un tessuto drammatico) e la dilatazione di carattere epico che distingue l'avvicinarsi al luogo della morte dei quattro soldati russi, quasi cavalieri dell'Apocalisse che infrangono la nebbia, e più avanti la marcia dei reparti che, nel vitale disordine che è proprio della vita, tornano in patria o il caldo saluto al generale sovietico vittorioso che annuncia agli erranti il rimpatrio dopo mesi, anni di attesa. I materiali narrativi ricomposti nel film pretendevano un'articolazione di estrema semplicità sintattica che escludesse rigorosamente ogni ambiguità, ogni confusione, ogni indeterminatezza. E Rosi ha cercato e ha trovato uno stile puro costringendosi al massimo controllo delle possibilità del mezzo, a una assoluta economia delle potenzialità della cinepresa (cosa che, poi, contrastava con la necessità di far muovere le masse, di obbligarle a una naturalezza estrema)." (Francesco Bolzoni, 'Rivista del Cinematografo', marzo 1997)
Incasso in euro