La ricerca della felicit?2006

SCHEDA FILM

La ricerca della felicità

Anno: 2006 Durata: 117 Origine: USA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Gabriele Muccino

Specifiche tecniche:35 MM, SUPER35 (1:2.35)

Tratto da:-

Produzione:OVERBROOK ENTERTAINMENT, ESCAPE ARTISTS, COLUMBIA PICTURES CORPORATION

Distribuzione:MEDUSA (2007)

ATTORI

Will Smith nel ruolo di Christopher Gardner
Jaden Smith nel ruolo di Christopher Jaden Christopher Syre Smith
Thandie Newton nel ruolo di Linda
Brian Howe nel ruolo di Jay Twistle
James Karen nel ruolo di Martin Frohm
Dan Castellaneta nel ruolo di Alan Frakesh
Kurt Fuller nel ruolo di Walter Ribbon
Takayo Fischer nel ruolo di Sig.ra. Chu
Domenic Bove nel ruolo di Tim Ribbons
Scott Klace nel ruolo di Tim Brophy
David Fine nel ruolo di Rodney
 

SOGGETTO

Conrad, Steve
 

SCENEGGIATORE

Conrad, Steve
 

MUSICHE

Guerra, Andrea
 

MONTAGGIO

Winborne, Hughes
 

SCENOGRAFIA

Riva, J. Michael
 

COSTUMISTA

Davis, Sharen

TRAMA

Il 30enne Christopher Gardner, ragazzo padre disoccupato con un figlio piccolo a carico, ha un sogno nel cassetto: diventare un broker di successo. La sua tenacia e le sue capacità nel campo dell'economia gli apriranno le porte dell'alta finanza portandolo dai gabinetti della stazione ferroviaria di San Francisco in cui è costretto a vivere fino ai vertici di una delle più importanti compagnie americane di brokeraggio...

CRITICA

"Gabriele Muccino, il regista quarantenne de 'L'ultimo bacio' e di 'Ricordati di me', ha fatto a San Francisco un film riuscito e doppio: per metà il suo primo film americano (con amore tra padre e figlio piccolo, ambizioni del giovane uomo nero, caduta sfortunata, resurrezione, tenerezze) e per metà un film realistico italiano sulla difficoltà di vivere in America. Significativamente, il film comincia e finisce con la folla di impiegati in marcia verso il lavoro al mattino, neppure notando l'ubriaco buttato sull'asfalto. (...)"La ricerca della felicità" è uno dei diritti concessi ai cittadini dalla Dichiarazione di Indipendenza americana: gli Stati Uniti sono l'unico Paese in cui tale diritto sia affermato e la parola «felicità» sia presente in un documento costituzionale.(...) Al regista italiano potrebbe essere riservata una carriera americana con maggiore esito di quanto non sia accaduto in passato ad altri registi (Carlo Carlei, o in diversa situazione, Faenza di 'Copkiller') che sono andati a lavorare negli Stati Uniti, ma che non hanno realizzato più di un unico film." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 12 gennaio 2007) "Gabriele Muccino a Hollywood. Con tale felice risultato che il suo film, negli Stati Uniti, si è già inserito tra quelli che stanno avendo le migliori fortune al botteghino, con il consenso della critica. (..) Il film, cui Muccino, pudicamente, affida il lieto fine quasi soltanto ai titoli di coda, segue da vicino, in modo affettuoso e spesso commovente, il calvario di quell'uomo che si dibatte con vigore tra le tante difficoltà da cui è afflitto, ingentilendo le sue peregrinazioni con la vicinanza sempre partecipe di quel bambino che tutto vede, soffre e comprende. In una città, San Francisco, ripresa dal vero nei quartieri più miseri di Chinatown e addirittura in Tenderloin, in un periodo, i tormentati anni Ottanta, enunciati, ma solo di sfondo, da Reagan in TV e dalla pubblicità sui taxi di 'Toro scatenato' con De Niro. Con ritmi affannatissimi che quasi si vietano le soste e con uno stile di regia - secco, mobile, concitato - che conferma il pieno possesso del cinema ormai raggiunto da Muccino. Riscontrabile, ancora una volta, ma più del consueto, nella recitazione dei suoi interpreti, specie nel protagonista, il noto attore-divo afroamericano Will Smith che, affiancato, nei panni del bambino, dal suo stesso figlio, ha espressioni mimiche intensissime e raccolte; anche quando, dal principio alla fine, corre come un velocista. Dimostrando, forse, che la felicità la si ricerca correndo." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 12 gennaio 2007) "Registi italiani a Hollywood? Prima di Gabriele Muccino, c'era stato Franco Amurri, che sposò Susan Sarandon, che divorziò da Susan Sarandon; ma che fuori dallo stato civile lasciò solo 'Flashback' (1990) e 'Il mio amico Zampalesta' (1994). Con 'La ricerca della felicità', Muccino lo supera di slancio. Questa riproposta, in epoca bushiana, di ideali rooseveltiani ambientata in epoca reaganiana; questa miscela tra 'Furore' di Ford e 'Ladri di biciclette' (qui ladri di scanner) di De Sica, è una sfida temeraria. Muccino l'ha vinta dove più conta: gli Stati Uniti. (...) Se 'La ricerca della felicità' è meno bello dell''Ultimo bacio', è più bello della media produzione hollywoodiana. E poi un fondo di realismo europeo percorre in questa storia di declino di un commesso viaggiatore (Will Smith). (...) Muccino non è alternativo: arrivato a Hollywood, probabilmente ci resterà, facendo avanti e indietro con l'Italia, come nessun altro italiano, ma come tanti europei. Altri, che girano film 'due stanze e cucina' saranno capaci d'invidiarlo e incapaci di emularlo. Altri ancora, che scrivono di film, esiteranno ad ammettere che mancano all'Italia proprio i solidi professionisti come Muccino. Ci sono solo epigoni di questo o di quello, che dunque girano sempre lo stesso film 'alla maniera di... '. I grossi festival offriranno loro una tribuna; ma l'oceano non si aprirà per farli passare." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 12 gennaio 2007) "Sul mito della 'seconda volta' e del 'diritto alla felicità' il cinema americano ha costruito buona parte della sua fortuna. E dei suoi soggetti. Per questo l'esordio statunitense di Gabriele Muccino poteva rivelarsi da una parte piuttosto agevole (sarebbe bastato copiare certe atmosfere e certe situazioni) e dall'altra decisamente complicato (va bene copiare, ma poi il confronto avrebbe potuto essere devastante). Senza tener conto del fatto che guidare una troupe hollywoodiana, con una star come Will Smith a capo, è un (bel) po' più complicato che dirigere un film con la Bellucci e Bentivoglio. Per questo 'La ricerca della felicità' mi sembra un film decisamente riuscito. Non un capolavoro, certo, ma un bel film medio (che non è una diminuzione, anzi) capace di rivelare nel regista romano una serie di potenzialità che nei suoi film italiani finivano per essere poco sviluppate. Che Muccino sappia imprimere alle sue opere una notevole fluidità narrativa e alle riprese una scorrevole naturalezza non è certo una novità. Ma sia nell''Ultimo bacio' che in 'Ricordati di me' mi era sembrato di cogliere un po' di furbizia di troppo, di chi non vuole dispiacere a nessuno e quindi finisce per 'assolvere' i peccati di tutti, rivelandosi consolatorio più che partecipe. Nella 'Ricerca della felicità' questo atteggiamento di fondo sparisce e quella che poteva essere la più scontata e zuccherosa delle storie diventa il ritratto coinvolgente e credibile di un americano alle prese con le tante contraddizioni della vita e della società. (...) La recitazione di Will Smith è sempre intelligentemente controllata, quasi trattenuta, così da dar vita a un personaggio credibile, non 'hollywoodiano', che facilita il coinvolgimento emotivo dello spettatore e che aiuta a raccontare il mito dell'edonismo reaganiano da un'angolazione meno scontata e superficiale. Permettendo a Muccino di evitare le trappole in cui era caduto in passato. In questo modo l'eterna favola del successo a portata di mano diventa qualche cosa di più complesso e credibile. E una commedia a lieto fine la conferma di una professionalità davvero matura. Che ha dimostrato di saper fare a meno di certi facili stereotipi giovanilisti per mettersi al servizio di un'idea di regia che forse non è immediatamente gratificante (non si può dire che questo sia un film 'd'autore') ma che può davvero aprire la porta di una lunga e bella carriera." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 13 gennaio 2007) "Cuori di pietra contro cuori di zucchero. Antiamericani contro filoamericani. Cinefili artisti contro cinefili edonisti. Se il dibattito sull'esordio hollywoodiano di Gabriele Muccino si ponesse in questi termini basterebbe premere un bottone. Un film, peraltro, è un film e il suo calibro si può (si deve) valutare su almeno tre spessori, quelli del soggetto, dello stile e del coinvolgimento emotivo indotto negli spettatori. In quest'ottica semplice, ma non semplicistica, 'La ricerca della felicità' ci sembra riuscito, il classico titolo-per-tutti che va dritto allo scopo e districa senza incertezze l'inevitabile nodo tra realismo dei fatti, credibilità degli interpreti ed espedienti di finzione. Non a caso il regista romano si è sempre smarcato dai diktat del cinema d'autore, orientando le proprie qualità sul piano del buon artigianato e del prodotto medio che nella trasferta americana assumono, ovviamente, un taglio inconfondibile e un sapore più corposo. Il nucleo sdolcinato della trama risulta, così, circoscritto da solidi paletti narrativi, in modo che la cupa odissea di padre e figlioletto recuperi spontaneamente o, meglio, logicamente gli antidoti della dignità personale, dell'ottimismo intraprendente e del senso dell'umorismo. (...) I cardini dell'apologo sono più sottili: l'incipit dei duri anni Ottanta reaganiani, la mania del cubo di Rubik come metafora dei quiz esistenziali e le corse a perdifiato nel caos metropolitano del novello 'Ultimo dei Mohicani'. Scandite dai nobili commi della Dichiarazione d'Indipendenza americana e nel contempo minate dalla consapevolezza universale che 'la felicità non esiste perché è qualcosa che dobbiamo solo inseguire'". (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 13 gennaio 2007)

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