La nostra vita2010

SCHEDA FILM

La nostra vita

Anno: 2010 Durata: 100 Origine: ITALIA Colore: C

Genere:COMMEDIA

Regia:Daniele Luchetti

Specifiche tecniche:35 MM

Tratto da:-

Produzione:RICCARDO TOZZI, GIOVANNI STABILINI, MARCO CHIMENZ PER CATTLEYA, BABE FILMS, IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA

Distribuzione:01 DISTRIBUTION - DVD: 01 DISTRIBUTION (2010)

ATTORI

Elio Germano nel ruolo di Claudio
Raoul Bova nel ruolo di Piero
Isabella Ragonese nel ruolo di Elena
Luca Zingaretti nel ruolo di Ari
Stefania Montorsi nel ruolo di Liliana
Giorgio Colangeli nel ruolo di Porcari
Alina Madalina Berzunteanu nel ruolo di Gabriela
Marius Ignat nel ruolo di Andrei
Awa Ly nel ruolo di Celeste
Emiliano Campagnola nel ruolo di Vittorio
 
 

MONTAGGIO

Garrone, Mirco
 

SCENOGRAFIA

Basili, Giancarlo
 

COSTUMISTA

Barbera, Maria Rita

TRAMA

Alla morte della moglie Elena, il trentenne operaio edile Claudio vede crollare il suo mondo perfetto. I due, infatti, avevano un rapporto fatto di grande complicità, vitalità e sensualità e lui non è preparato a vivere da solo, nonostante l'affetto dei due figli più grandi e l'arrivo del nuovo nato. Per rimuovere il dolore inizia così a sfidare il destino prendendo una serie di decisioni sbagliate. Saranno gli affetti più cari a fargli ritrovare il giusto senso della vita.

CRITICA

"Come due anni fa con 'Gomorra' e 'Il Divo', l'Italia a Cannes non è un Bel Paese: se 'Draquila' di Sabina Guzzanti ha messo la camera nella distruzione post terremoto, 'La nostra vita' di Daniele Luchetti (in competizione per la Palma d'oro, da domani in sala) certifica la transizione, anzi la transazione, dal vecchio ordine morale allo stivale piccino ma insaziabile. E lo fa con una macchina da presa periferica, piazzata tra i palazzoni in costruzione attorno a Roma. (...) Ma non aspettatevi di provare indignazione, disappunto, sorpresa, perché, sostiene Luchetti, 'le scorciatoie e le furbizie di Claudio sono quelle di un paese intero', che ha perso il modello matriarcale e insieme l'orizzonte etico. (...) E nemmeno ascoltarsi, perché la monetizzazione lo consegna alla bulimia del fare e all'anoressia della coscienza: nel nome del padrone che vuole essere, sacrifica vita privata, rapporti, tutto. Il grigiore è autentico, l'anello morale che non tiene una fede rimasta sull'anulare: non a ricordare quel che si era, ma a travisare quel che si è diventati, ovvero il mostro del cantiere accanto." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 20 maggio 2010) "Oggi in concorso a Cannes, unico film italiano in campo per la Palma d'oro, e domani nelle sale. E' 'La nostra vita' di Daniele Luchetti, titolo altamente simbolico, che spiega molto se non tutto. (...) Con questo bel viatico, 'La nostra vita' debutta sulla Croisette dopo l'applaudita anteprima stampa di ieri sera. E sarebbe bello che il pubblico italiano rispondesse all'appello di Luchetti: perché il film, prodotto da Cattleya insieme a Raicinema, è intenso, toccante, magari un po' urlato, ma di sicuro non convenzionale o prevedibile." (Michele Anselmi, 'Il Riformista', 20 maggio 2010) "'La nostra vita' di Daniele Luchetti è singolarmente semplice, schietto, vivo, senza fumisterie, molto affettuoso e riuscito, capace di far comprendere, attraverso una storia privata, la condizione di una parte dell'economia italiana, interpretato bene da Elio Germano. (...) Moralistico? Un po': ma la sceneggiatura di Rulli e Petraglia è ben strutturata e il regista la nutre di realismo umanistico, di atmosfere e dettagli autentici. È nuovo, particolare, il modo in cui Luchetti racconta l'amore gioioso scherzoso, carnale, da ragazzi, che unisce marito e moglie, padre e figli piccoli; l'attenzione con cui il padre bada ai bambini anche cucinando per loro ('Pasta con formaggino, specialità della casa'); l'affetto ruvido ma pieno di slancio generoso degli amici, dei fratelli Raoul Bova e Stefania Montorsi (moglie del regista); il singolare personaggio di un pusher di periferia, buon amico e uomo buono, che è Luca Zingaretti con i capelli lunghi sulle spalle. E speciale la maniera di narrare il lavoro: i gruppi multietnici di operai amichevoli e spietati, i pasticci truffaldini, le guerre tra poveri, le gru che si levano in cielo come uccelli di malaugurio. E le battute puerili: 'I tacchi delle donne sono come i parenti: scomodi, ma aiutano'. C'è forse un di più di benevolenza filopopolare alla Ken Loach, ma la totale assenza di cultura borghese è certo un pregio essenziale de 'La nostra vita', come l'osservazione del costume della nuova classe globale. C'è un'indifferenza al fatto che solo una parte minore di spettatori capisce il dialetto romano. Germano sostiene tutto il film con forza sensibile: la scena più bella è quella in cui, sconfitto nelle sue aspirazioni, siede e piange." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 21 maggio 2010) "Di politica, a modo suo, parla anche il nostro Daniele Luchetti, unico portabandiera in competizione con 'La nostra vita'. (...) Ecco dunque il nuovo proletariato del Belpaese, quello che precariamente lavora (in nero) e stabilmente fa dei centri commerciali (spesso nelle orride new towns) il cuore della propria vita sociale." (Anna Maria Pasetti, 'Il Riformista', 21 maggio 2010) "L'Italia di oggi? Un cantiere pieno di lavoratori in nero da una parte e di profittatori dall'altra. Un palazzo tirato su alla meglio, con i soffitti sottili e i muri non proprio a squadra. Un posto pericoloso, dove i morti sul lavoro spariscono e magari vengono usati per loschi fini. Ma anche, proseguendo la metafora edilizia, un grande condominio in cui nessuno paga le tasse, figurarsi, ma tutti si conoscono e se serve si danno una mano. Perché in fondo siamo tutti una famiglia e senza le famiglie, lo sappiamo, il paese non ce la farebbe. Scritto con Sandro Petraglia e Stefano Rulli, 'La nostra vita' di Daniele Luchetti cerca i segni del nostro divenire in quei luoghi ancora senza nome e senza storia che sono le nuove periferie. Quartieri dormitorio, ma brulicanti di vita e contraddizioni. Per chi ci vive e ancor più per chi li costruisce. (...) Da una storia così scopertamente esemplare, come molti film italiani di questi anni, ci si aspetterebbero due cose. O un'esattezza antropologica totale (usi, gesti, luoghi, linguaggi). O una serie di invenzioni di racconto e di stile che scompiglino e arricchiscano il quadro. Malgrado l'accuratezza generale e gli ottimi attori 'La nostra vita' invece segue una via media, in tutti i sensi, senza mai sorprendere né approfondire nulla. Ce n'è per la famiglia (Raoul Bova e Stefania Montorsi, pronti a tutto per salvare il fratello). Per i lavoratori clandestini. Per i 'ras' del lavoro nero che arrivano a salvare il cantiere in Mercedes (la scena migliore). Ma il film colorisce personaggi e sentimenti senza mai incidere a fondo. Senza. scavare nemmeno nel rapporto fra Claudio e Andrei, il romeno a cui il personaggio di Germano finisce per fare quasi da padre dopo aver nascosto il cadavere del padre vero. Era questa la storia da sviluppare. Invece resta tutto un po' a metà. Un bel totale senza primi piani. Ma per cogliere il presente non bastano le metafore, servono immagini forti, dense, disturbanti. C'è ancora qualcuno disposto a farle in questo paese?" (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 21 maggio 2010) "Questa volta Rulli e Petraglia hanno confezionato per un Luchettii anche troppo libero e rilassato nel gioco di regia e rifinitura dialoghi una tragedia romana su cui soffia un venticello di commedia. Un "Brutti sporchi e cattivi' non sui mostri infernali del sottoproletariato, ma su quelli del Limbo sopraproletario. E come satira del populismo non è niente male, visto che poi arriverà, non previsto, un 'bel finale', addirittura 'miracoloso', con ricomposizione della 'sacra famiglia'. Come dire: è proprio a misura della orrida, avida e omertosa piccola borghesia italiana il regno dei cieli. Specialità obliqua della ditta di sceneggiatori, qui eretico-giansenisti (la grazia arriva quando meno te la meriti), che vince ogni appalto quando si tratta di descrivere l'incarognimento dei tempi in Italia, la volgarità di un popolo che si compiace della propria degradazione, addirittura la svalutazione del 'regno dei cieli'. E senza far scappare tutti via dalle sale per orrore, noia o nausea. Anzi promettendo un inatteso 'stato di grazia' a tutte le anime brutte, dalla Piovra in giù. Il segreto (ma Luchetti affianca) del nostro duetto di scrittori 'moderati e civili' è, da sempre, l'umorismo invisibile: prendere il realismo e fargli una bella lavanda gastrica, a suon di surrealtà. Esempio. La metamorfosi in celerino strafatto, ne 'La meglio gioventù' di un sensibile studentello in anti-psichiatria basagliana. Già. Come dire: è stato un po' il 68 a scatenare i pazzi, oggi sempre più liberi e potenti. Non prendetevela, poi, con i palazzinari lubrici! Eccone uno, piccolo piccolo, e della periferia romana. (...) Luchetti, dà il perdono e l'assoluzione. Rischia la scomunica. Ma se il film perde il filo del racconto e qualche raccordo non funziona, non sarà perché il diavolo ci ha messo lo zampino?" (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 21 maggio 2010)

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