LA DEA DEL '672000

SCHEDA FILM

LA DEA DEL '67

Anno: 2000 Durata: 118 Origine: AUSTRALIA Colore: C

Genere:COMMEDIA

Regia:Clara Law

Specifiche tecniche:35 MM (1:1,85)

Tratto da:-

Produzione:PETER SAINSBURY, EDDIE L.C. FONG

Distribuzione:FANDANGO

ATTORI

Rose Byrne nel ruolo di Bg
Rikiya Kurokawa nel ruolo di Jm
Nicholas Hope nel ruolo di Grandpa
Elise McCredie nel ruolo di Marie
 

MUSICHE

Anderson, Jen
 
 

SCENOGRAFIA

McCallum, Nicholas

TRAMA

TRAMA CORTA Il giapponese Jm arriva in Australia per realizzare il sogno della sua vita: acquistare una Citroen DS (Deesse/ Goddess) del 1967, ma al suo arrivo trova il venditore morto. Una ragazza cieca, saputo il problema, si offre di accompagnare il giovane giapponese dal vero proprietario della vettura. TRAMA LUNGA Un hacker giaponese chiamato JM, appassionato di serpenti e rettili vari che alleva dentro casa, acquista in rete una Citroen DS del 1967, un modello così prezioso e ricercato da essere definito "Dea". Arrivato in Australia, sul luogo convenuto per il ritiro, ha una brutta sorpresa: il venditore ha da poco ucciso la moglie e poi si è tolto la vita. Tra mobili sottosopra e sangue sparso, JM nota una ragazza, che si fa chiamare BG: è cieca ma gli dice di essere in grado di portarlo dal vero proprietario del veicolo. Sulla Citroen color salmone, i due cominciano un viaggio attraverso le sterminate strade australiane in un paesaggio brullo e selvaggio. I due non hanno niente in comune, ma a poco a poco JM è attratto dal fascino della ragazza e resta incastrato nel piano che lei vuole portare a termine. BG infatti ha intenzione di ritrovare il padre che ha abusato di lei da bambina e di eliminarlo. Le cose, in realtà, sono ancora più complicate, e attraverso tre flashback successivi vengono ricostruiti i fatti avvenuti rispettivamente tre anni, dieci anni e trenta anni prima: momenti drammatici di rapporti familiari brutali vissuti anche dalla madre di BG. In un crescendo di risentimento e in un intreccio di parentele 'malate', BG arriva in un luogo abbandonato, entra in un cunicolo sotterraneo, dove abita un uomo che lei vorrebbe uccidere. Si appresta a farlo, quando all'improvviso JM le chiede di sposarlo.

CRITICA

"Clara Law riesce ad estrarre dal suo copione qualche emozione. Ma è la ricerca dell'invenzione sorprendente, il bisogno di stravaganza ad ogni costo che raggela il film in una specie di manifesto del mélo postmoderno. E la vetta dell'imbarazzo la si raggiunge quando, in una specie di caverna, la povera protagonista ritrova, travestito da abate Faria, l'uomo che le ha fatto così male. Peccato: si sente il bisogno, per citare il titolo della Biennale Architettura, di 'less aesthetics and more ethics'". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 4 settembre 2000) " Il film ha immagini abbaglianti e ritmo a strappi, ora sospeso, ora accelerato. Clara Law ci porta su un pianeta alieno. Il suo vero 'Mission to Mars' australiano di fine millennio" (Alberto Crespi, 'Film Tv', 25 febbraio 2001). "La regista Clara Law mette in scena un mélo postmodernista all'incrocio tra continenti, culture, storie personali che non si nega alcuna stravaganza. L'effetto che produce su alcuni è quello di un oggetto pretenzioso e piuttosto deprimente. Altri, all'opposto, ne apprezzano il modo di raccontare: frammentato e centrato su immagini di grande effetto emotivo". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica, 25 febbraio 2001) "Peccato per la storia d'incesto della seconda parte, ridondante e mal congegnata. Ma i colori acidi o pastello, le immagini denaturate, gli scorci di Tokio o di deserto filmati con occhio davvero unico da Dion Beebe, operatore anche di Jane Campion, restano un prodigio visivo". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 16 febbraio 2001) "Clara Law, la regista di 47 anni nata a Macao e cresciuta ad Hong Kong, è straordinariamente brava. (...) E' perfetto lo stile del racconto, non fluido ma frammentato in attimi esemplari, non cronologico ma sussultante nel tempo. Anche se nel film non mancano lungaggini, salti logici, un finale sciagurato, persino gli incesti padre-figlia e nonno-nipote esprimono una sofferenza stoica senza volgarità, senza ambiguità". (Lietta Tornabuoni, 'La stampa', 17 febbraio 2001)

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