La citt? delle donne1979

SCHEDA FILM

La città delle donne

Anno: 1979 Durata: 145 Origine: FRANCIA Colore: C

Genere:COMMEDIA, GROTTESCO

Regia:Federico Fellini

Specifiche tecniche:PANORAMICO COLORE

Tratto da:-

Produzione:OPERA F. VIVA INT GAUMONT

Distribuzione:VALE GAUMONT (1980) - DOMOVIDEO, CDE HOME VIDEO, M & R

ATTORI

Marcello Mastroianni nel ruolo di Snaporaz
Anna Prucnal nel ruolo di Elena
Ettore Manni nel ruolo di Dr. Katzone
Bernice Stegers nel ruolo di Signora del treno
Jole Silvani nel ruolo di Motociclista
Donatella Damiani nel ruolo di Soubrettina
Fiammetta Baralla nel ruolo di "Ollio"
Alessandra Panelli nel ruolo di Massaia
Carla Terlizzi nel ruolo di Femminista
Catherine Carrel nel ruolo di Comandante
Dominique Labourier nel ruolo di Femminista
Fiorella Molinari nel ruolo di Punk
Gabriella Giorgelli nel ruolo di Pescivendola
Helene G. Calzarelli nel ruolo di Femminista
Jill Lucas nel ruolo di Gemella
Loredana Solfizi nel ruolo di Femminista nera
Malisa Longo
Mara Ciukleva nel ruolo di Una vecchia signora
Marcello Di Falco nel ruolo di Un omosessuale
Marina Frajese
Meerberger Natayr
Nadia Vasil
Rosaria Tafuri nel ruolo di Sara, la soubrette
Sibilla Sedat nel ruolo di Giudice
Silvana Fusacchia nel ruolo di Pattinatrice
Stephane Emilfork
Sylvie Mayer nel ruolo di Femminista
Viviane Lucas nel ruolo di Altra gemella
 
 

SCENOGRAFIA

Ferretti, Dante
 

COSTUMISTA

Pescucci, Gabriella
 

TRAMA

Sceso dal treno ove sta viaggiando con la moglie Elena, deciso a seguire "la signora del treno", Snaporaz, un uomo maturo, incauto e indifeso, si addentra nei pericolosi meandri del pluridimensionale pianeta-donna. Nel lungo viaggio che segue, il protagonista finisce per trovarsi nel bel mezzo di un albergo ove si sta svolgendo un animato e tumultuoso congresso di femministe che parlano mediante formule fisse e procedono su temi scontati che, tuttavia, Snaporaz non riesce a capire. Dopo misteriose vicende connesse con i suoi tentativi di fuga, l'uomo finisce nel castello di Katzone, un maturo santone dell'eros che vegeta in una sorta di reliquario sessuale, popolato di donne formose e provocanti, autentici simboli della donna-oggetto. Dal castello, ancora assai misteriosamente, Snaporaz finisce in un'aula di tribunale ove ritrova le femministe che lo condannano e passa in un'arena ove dovrebbero godere del suo linciaggio. Ma sale sempre più in alto sino a che non si risveglia sul treno, davanti alla moglie.

CRITICA

Era un film difficile per Fellini La città delle donne appassionante scommessa con se stesso e contro se stesso, perché la sua intuizione naturale dei fatti, la sua felice capacità di rappresentare senza filosofare, si scontrava con un nodo ideologico, con un inciampo di attualità storica (il femminismo) posto a contrastare le sue muse di sempre, le donne.Ne è uscita all'inizio una distanza provocatoria con uno stile volontaristico che ci ha tenuto un poco in sospeso. Probabilmente non ha nessuna importanza sapere se Fellini è femminista o antifemminista (le sue origini più fervide sono, come per tanti, maschiliste e donnivore). Conta che Fellini si sciolga dentro il suo tema storico, senza paura di ricevere accuse o voglia di apparire generoso. (Stefano Reggiani, "La Stampa", 29 marzo 1980). Ancora una volta, come sempre o quasi sempre del resto, egli [Fellini] è diventato la madame Bovary della sua adolescenza e si rigira compiaciuto nel calore e nel calduccio che gli dà la possibilità di trovarsi in una "troupe" ben collaudata, fra macchinisti fedeli che gli simulano treni in corsa e mare risciacquato sulle rive di un'inevitabile spiaggia romagnola, come se si trovassero nell'officina di Mèliès. Del resto, sempre più Fellini conferma di essere il più grande e geniale erede di Mèliès che sia mai esistito [...]. Soltanto che non sempre le magie riescono col buco. E la tentazione de La città delle donne di fondere una specie di sbalordita confessione di divertita impotenza di fronte alla "nuova" donna di oggi insieme alla nostalgia verso la "vecchia" donna di ieri [...], pur riproponendo la genialità smisurata di Fellini in tutta la sua solitaria furbesca sfrenatezza, non raggiunge che di rado quella armonia di estro, di ordine, di fantasmagoria da fumetto, di ironia da "pamphlet" che deve aver stimolato da anni la fantasia dell'autore. (Claudio G. Fava, "Corriere Mercantile", 4 aprile 1980). Il film è un altro aggiornato Casanova, dove non solo gli amatori sono infelici, ma anche le donne hanno la loro parte di comprensione e dunque di irrisione. (Stefano Reggiani, "La Stampa", 29 marzo 1980). È un catalogo di emozioni, ora grottesco ora farsa lunare, mediante il quale approssimarsi al reale con puntate dolorose contro la strage della femminilità compiuta dal femminismo aggressivo e un'ironia plenaria con cui Fellini, assolvendosi di quanto c'è di più frivolo nella sua chiacchierata, ci offre l'unica chiave che può darci la cognizione del tempo. A noi è piaciuta con riserva. Vi abbiamo trovato qualche squilibrio nella qualità dell'immagine, ci è sembrata un po' molle nel nocciolo, qua e là insidiata da strappi narrativi o da forme dialettali poco intelligibili, e stilisticamente meno omogenea del consueto. Ma ci siamo rifatta la bocca in molti luoghi. (Giovanni Grazzini, "Corriere della sera", 29 marzo 1980). Una fiaba che Fellini si è divertito a raccontargli (allo spettatore) ripercorrendo intenzionalmente tutte le tappe del suo cinema, qua dando spazio, ancora una volta, ai ricordi, come in Otto e mezzo e in Amarcord, là facendo il punto di nuovo sul presente, come nella Dolce vita e in Prova d'orchestra, alternando l'incubo al sogno, la visione allo scherzo e all'aneddoto, moltiplicando e variando le lingue e le tecniche, riscoprendo e rileggendo l'immaginato e il reale con un estro e una fertilità di invenzioni da lasciare spesso affascinati e stupiti. (Gian Luigi Rondi, "Il Tempo", 29 marzo 1980). Ancora una volta Fellini da ragione alla psicanalisi di Carl Jung: «La donna sta laddove l'uomo ha la sua ombra, sì che spesso egli è portato a confondere la donna con la propria ombra». Con La città delle donne il regista romagnolo vorrebbe parlare del «continente donna oscuro e misterioso», delle tante donne che inquiete, violente, soavi, umiliate, esaltate, amabili, cattive, anarchiche, flebili, gli stanno nell'inconscio appena rimosso. E invece ancora una volta, sotto sogni repressi, desideri inappagati, brame eluse, finisce per parlare soprattutto di sé, rivisitando fantasmi mostruosi, inibizioni adolescenziali, vaghezze e divertimenti e sguaiataggini di un vivere giovane segnato, lungo tutta una vita di perbenismo discreto, da una acerbezza di fondo, da un vago terrore di impotenza. (Alberto Pesce, "Oltre lo schermo", Morcelliana, 1988).

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