L'affido - Una storia di violenza2017

SCHEDA FILM

L'affido - Una storia di violenza

Anno: 2017 Durata: 90 Origine: FRANCIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Xavier Legrand

Specifiche tecniche:SCOPE, DCP 4K (D-CINEMA)

Tratto da:-

Produzione:ALEXANDRE GAVRAS PER KG PRODUCTIONS, IN COPRODUZIONE CON FRANCE 3 CINÉMA

Distribuzione:NOMAD FILM DISTRIBUTION E PFA FILMS (2018)

ATTORI

Denis Ménochet nel ruolo di Antoine Besson
Léa Drucker nel ruolo di Miriam Besson
Thomas Gioria nel ruolo di Julien Besson
Mathilde Auneveux nel ruolo di Joséphine Besson
Mathieu Saïkaly nel ruolo di Samuel
Florence Janas nel ruolo di Sylvia
Saadia Bentaïeb nel ruolo di Giudice
Sophie Pincemaille nel ruolo di Avvocato di Miriam
Emilie Incerti-Formentini nel ruolo di Avvocato di Antoine
Coralie Russier nel ruolo di Cancelliera
Martine Vandeville nel ruolo di Madeleine, madre di Antoine
Jean-Marie Winling nel ruolo di Joël, padre di Antoine
Martine Schambacher nel ruolo di Nanny, madre di Miriam
Jean-Claude Leguay nel ruolo di André, padre di Miriam
Julien Lucas nel ruolo di Cyril
Noémie Vérot nel ruolo di Manon
Sabrina Larderet nel ruolo di Laetitia
Sylvain Pajot nel ruolo di Marito di Sylvia
Charlie Ballaloud nel ruolo di Figlia di Sylvia
Anne-Gaëlle Jourdain
Jérôme Care-Aulanier
Jenny Bellay
Laurence Besson
Laurent Moreau
Marius
Valéry Calin
Yannick Hélary
 

SCENEGGIATORE

Legrand, Xavier
 

MONTAGGIO

Lamprinos, Yorgos
 

SCENOGRAFIA

Sfez, Jérémie

TRAMA

Dopo il divorzio da Antoine, Myriam cerca di ottenere l'affido esclusivo di Julien, il figlio undicenne. Il giudice assegnato al caso decide però per l'affido congiunto. Ostaggio di un padre geloso e irascibile, Julien vorrebbe proteggere la madre dalla violenza fisica e psicologia dell'ex coniuge. Ma l'ossessione di Antoine è pronta a trasformarsi in furia cieca.

CRITICA

"(...) 'Jusqu à la garde' (Fino all'affido) di Xavier Legrand si adagia in un naturalismo prevedibile, appena stemperato da qualche abile «silenzio» di sceneggiatura. (...) Ma il percorso cinematografico che dal gelo iniziale arriva (inevitabilmente) al dramma finale finisce per assomigliare troppo a un'illustrazione giornalistica della superficialità dei giudici e delle violenze nascoste dentro le famiglie. Che solo l'interpretazione del piccolo Thomas Gioria riesce a sollevare dalla prevedibilità sociologica." (Paolo Mereghetti , 'Corriere della Sera', 9 settembre 2017) "Le avvocatesse si impegnano a perorare le ragioni dei rispettivi clienti e noi ci facciamo l'idea che il discorso proseguirà in questo registro di dialettica delle parti, lasciando aperto il dubbio su chi mente. Invece, pur sul filo di una suspense ben controllata, il film si avvia sulla strada della mera cronaca dei fatti, inscenando un dramma di abuso domestico simile a quelli di cui leggiamo ogni giorno, senza sfumare o approfondire più di tanto quadro e personaggi." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 9 settembre 2017) "(...) Legrand si appoggia interamente alla pagina scritta per bilanciare una regia piuttosto timida, con molte incertezze, che utilizza in modo corretto e senza impennate le caratteristiche del genere «domestico». (...) il regista (...) invece di addentrarsi cinematograficamente nell'ossessione, sceglie una cifra «ordinaria», fatta di dialoghi, personaggi abbastanza formattati, situazioni prevedibili, di cui il padre, diventa il centro, l'orco cattivo di una brutta fiaba. Non è questione di aderenza o meno alla realtà, il tema del femminicidio è certamente molto attuale, Legrand non dà ai suoi personaggi la compattezza necessaria a garantire l'ambiguità a cui aspira il racconto. Tutto è molto evidente, sin troppo, esattamente come lo si aspetta." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 9 settembre 2017) "Un vecchio solido film a tesi, insomma, girato in maniera impeccabile, con buoni attori, ma tutto un po' troppo spiegato (...) e in fondo prevedibile nel suo progredire verso il dramma. La storia, almeno fino a un certo punto, è vista per lo più tenendo al centro dell'immagine il bambino, che è una scelta facile ma in fondo corretta." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 9 settembre 2017) "Grandi interpreti, regia millimetrica, storia tosta e racconto misurato, il formato è famiglia, la violenza in campo, e ancor più nel fuoricampo. Nessuna enfasi, scene madri bandite, il pathos è senza additivi, il dolore senza placebo, ellissi, non detti e non uditi sottraggono e, insieme, amplificano: è un cinema che non ha bisogno di esibire ed esibirsi per provarsi necessario, urgente, prezioso. Che qualcuno ce lo porti in Italia, subito." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 9 settembre 2017) "'Jusqu'à la garde' (...) mostra come si possa fare un buon thriller senza lo splatter di orrori e sangue a spiovere. Affida al fisico massiccio di Denis Ménochet il compito di raccontare una psiche rimasta infantile nel suo non voler intendere altra ragione che la propria, il suo senso del possesso, l'essere lui a decidere cosa sia bene e cosa sia male. Affida al piccolo Thomas Gioria, biondo e delicato, e alla fragile Léa Drucker quello di trasmettere l'esatto opposto, l'affetto che si costruisce con la reciproca comprensione. Mette al loro servizio una sceneggiatura essenziale nella sua veridicità, perché sguardi, atteggiamenti e parole bastano a raccontare ciò che c'è dietro di essi, a far capire l'abisso distruttivo che li potrebbe inghiottire." (Stenio Solinas, 'Il Giornale', 9 settembre 2017)

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