SCHEDA FILM

Il talento di Mr. Ripley

Anno: 1999 Durata: 150 Origine: USA Colore: C

Genere:THRILLER

Regia:-

Specifiche tecniche:-

Tratto da:romanzo omonimo (1955) di Patricia Highsmith

Produzione:WILLIAM HORBERG, TOM STERNBERG

Distribuzione:BUENA VISTA INTERNATIONAL ITALIA (2000)

TRAMA

Anni '50. Negli Stati Uniti, ad un ricevimento, il giovane Tom Ripley conosce il padre di Dickie, un coetaneo ricco e viziato partito per l'Italia senza dare più notizie di sé. Il padre incarica Tom di recarsi sul posto e di fare di tutto per riportargli il figlio. In Italia Tom conosce Dickie, la sua fidanzata Margie e il loro spensierato modo di vivere tra Ischia, Capri, il mare, le gite. Ben presto Tom dimentica lo scopo del suo viaggio, entra a poco a poco nella vita di Dickie, ne diventa il compagno inseparabile, lo segue nei locali notturni, nelle gite a Napoli e Roma. Ma un giorno, a Sanremo, Dickie si stanca di Tom, non lo vuole più vedere, gli grida di andarsene. E allora, sulla barca, Tom lo colpisce, lo uccide, ne prende i soldi e l'identità. In questa nuova veste, Tom/Dickie torna al paese, poi decide di trasferirsi a Roma, dove prende in affitto un grande appartamento. Qui arriva Freddie, vecchio amico di Dickie, che subito si rende conto che Tom nasconde qualcosa per cui a Tom non resta altro da fare che eliminarlo. Incalzato dalle indagini condotte dall'ispettore Roverini, Tom parte per Venezia. Qui arrivano anche il padre di Dickie, e Marge. Il genitore legge una lettera in cui Dickie diceva di volersi suicidare e dice a Tom che lui non ha alcuna colpa per quello che è successo. Non è altrettanto convinta Marge, che però non viene ascoltata. Tom si imbarca su una nave per la Grecia.

CRITICA

"Ci veniva promessa un'interessante versione del romanzo di Patricia Higsmith, e un remake più estremo e inquietante del vecchio e bel film che dal libro ha tratto nel 1959 René Clément con il titolo 'Delitto in pieno sole'. Un film che si fa rimpiangere. Perché Minghella, anche se ambiziosamente punta a una rilettura in chiave psicologica del noir della Highsmith, calcandone le sfumature omosessuali che nel film di Clément erano intuibili ma inespresse, nel costruire il suo remake si lascia prendere la mano soprattutto dall'atmosfera, dall'ambiente, dal colore Anni 50, ed enuncia, più di quanto non suggerisca o faccia capire, la sua interpretazione in chiave gay. La mia sarà anche una forma di permalosità italiana, ma da quest'Italia del preboom, dove le donne hanno tutte l'aria delle popolane e i maschi siedono uno sulle ginocchia dell'altro, spira un'aria da cartolina, o, al meglio, da scenografia, con tutti gli ingredienti indispensabili alla nostalgia della dolce vita allineati ad usum del pubblico Usa". (Irene Bignardi, 'la Repubblica', 18 marzo 2000) "Chi nutriva qualche perplessità su Minghella dopo l'eccessivo trionfo all'Oscar di 'Il paziente inglese' (stavolta le nomination sono solo cinque) non può che ricredersi davanti a questa personale trascrizione di un bel libro. Dove funzionano soprattutto l'immissione dell'elemento musicale e (a parte le sviste anacronistiche) l'ambientazione nell'Italia della dolce vita. Assistiamo ai delittuosi maneggi di un giovane arrampicatore americano che cerca in Europa il suo posto al sole. Falsando e uccidendo, Matt Damon porta all'estremo il ruolo di terzo incomodo nella coppia di Jude Law e Gwyneth Paltrow (bravissimi tutti e tre) con l'occhio a lui anziché a lei: il sottinteso omosessuale è evidente. In un panorama che trascorre dal Golfo di Napoli a Roma e a Venezia, Minghella riesce sempre a sorprendere lo spettatore facendo accadere quello che non ti aspetti". (Tullio Kezich, 'Il Corriere della Sera', 18 marzo 2000) "Dal romanzo di Patricia Highsmith, il premio Oscar Anthony Minghella ha puntato in alto, cercando un equilibrio tra Antonioni e Hitchcock, ma vien meno l'ambiguità dell'immagine, la sospensione, e per certi versi proprio la suspense. La colonna sonora jazz sostituisce la descrizione dei dipinti nel romanzo per definire l'epoca, una solare rivisitazione degli anni '50. Matt Damon non muove un muscolo e funziona. Meno la Paltrow e Jude Law". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 18 marzo 2000)

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