Il racconto dei racconti - Tale of Tales2014

SCHEDA FILM

Il racconto dei racconti - Tale of Tales

Anno: 2014 Durata: 125 Origine: FRANCIA Colore: C

Genere:FANTASY

Regia:Matteo Garrone

Specifiche tecniche:35 MM/D-CINEMA (1:2.35)

Tratto da:liberamente ispirato a "Lo cunto de li cunti" (noto anche con il titolo di "Pentamerone"), raccolta di fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile (XVII secolo)

Produzione:MATTEO GARRONE, JEREMY THOMAS, JEAN e ANNE-LAURE LABADIE PER ARCHIMEDE, LE PACTE, CON RAI CINEMA, RECORDED PICTURES

Distribuzione:01 DISTRIBUTION (2015)

ATTORI

Salma Hayek nel ruolo di Regina ("La Regina")
John C. Reilly nel ruolo di Re ("La Regina")
Christian Lees nel ruolo di Elias ("La Regina")
Jonah Lees nel ruolo di Jonah ("La Regina")
Alba Rohrwacher nel ruolo di Circense ("La Regina")
Massimo Ceccherini nel ruolo di Circense ("La Regina")
Laura Pizzirani nel ruolo di Madre di Jonah ("La Regina")
Franco Pistoni nel ruolo di Negromante ("La Regina")
Giselda Volodi nel ruolo di Dama di corte ("La Regina")
Giuseppina Cervizzi nel ruolo di Dama di corte ("La Regina")
Jessie Cave nel ruolo di Fenizia ("La Regina")
Toby Jones nel ruolo di Re ("La Pulce")
Bebe Cave nel ruolo di Viola ("La Pulce")
Guillaume Delaunay nel ruolo di L'Orco ("La Pulce")
Eric MacLennan nel ruolo di Medico ("La Pulce")
Nicola Sloane nel ruolo di Damigella ("La Pulce")
Vincenzo Nemolato nel ruolo di Figlio dei circensi ("La Pulce")
Giulio Beranek nel ruolo di Figlio dei circensi ("La Pulce")
Davide Campagna nel ruolo di Figlio dei circensi ("La Pulce")
Vincent Cassel nel ruolo di Re ("Le due vecchie")
Shirley Henderson nel ruolo di Imma ("Le due vecchie")
Hayley Carmichael nel ruolo di Dora ("Le due vecchie")
Stacey Martin nel ruolo di La giovane Dora ("Le due vecchie")
Kathryn Hunter nel ruolo di Strega ("Le due vecchie")
Ryan McParland nel ruolo di Lacchè ("Le due vecchie")
Kenneth Collard nel ruolo di Arrotino ("Le due vecchie")
Renato Scarpa nel ruolo di Arrotino ("Le due vecchie")
 
 
 

MONTAGGIO

Spoletini, Marco
 

SCENOGRAFIA

Capuani, Dimitri
 

TRAMA

Le fantasiose e grottesche vicende di una regina gelosa che perde il marito, di due sorelle misteriose che accendono la passione di un re e di un re ossessionato da una pulce gigante che porta alla morte della sua giovane figlia...

CRITICA

"(...) un universo magico e irreale, dove menzogna e falsità ci restituiscono un mondo fiabesco eppure riconoscibilissimo e concreto nelle sue passioni, vizi e ossessioni. Perché la forza del 'Cunto de li cunti' letterario e della sua versione cinematografica (...) è proprio in questa mescolanza di vero e falso, di credibile e impossibile, di inganno e di finzione, che portano lo spettatore dentro un mondo tutto inventato dove però il lettore e lo spettatore dovrebbero poter ritrovare squarci di realtà (non una scenografia è artificiosa) e palpiti di verità. Concedendosi più di una libertà, Garrone (...) intreccia tre racconti dei cinquanta che, divisi in cinque giornate, compongono il libro, 'La cerva fatata', 'La pulce' e 'La vecchia scorticata', rispettivamente il nono, il quinto e il decimo «passatempo» della prima giornata. (...) Scelti evidentemente per i loro temi «eterni» - l'amore come possesso, l'ossessione della giovinezza - questi 'cunti' offrono al regista la possibilità di coltivare il proprio gusto figurativo e la sua capacità di vedere il grottesco dentro la tragedia (e viceversa). Lavorando sui colori della fotografia (di Peter Suschitzky) così da aumentare i valori pittorici di ambienti reali e ritrovando il gusto del «trucco» artigianale a scapito dell'inespressiva perfezione digitale, Garrone si inventa un mondo fantastico, dove l'ambientazione barocca e la sua perdita di «ordine» sembra giustificare ogni fiabesca follia. Ma queste ambizioni non trovano sostegno in un'adeguata emozione. Si è disposti a riconoscere l'ambizione del progetto, non a farsi coinvolgere da una messa in scena senza veri colpi d'ala. E la voglia di creare un cinema che sappia ritrovare il fascino e la bellezza della fiaba (e dei «vecchi» film poveri di mezzi ma ricchi di fantasia) finisce per fermarsi allo stadio dell'illustrazione. Corretta ma inerte." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 9 maggio 2015) "(...) così ricco di echi e risonanze moderne da lasciare sbalorditi. Tre storie di inganno e disperazione, di crescita e trasformazione, che saltano a piè pari le semplificazioni e la retorica spettacolare imperanti nel fantasy per scegliere una strada molto d'autore. E molto 'italiana', malgrado il cast e la produzione internazionali. (...) perché italiano è l'approccio con cui Matteo Garrone, attento da sempre alle suggestioni dell'horror e del fantastico ('L'imbalsamatore' e 'Primo amore' sono solo i casi più vistosi), restituisce nuovo senso a quello che una volta si chiamava il meraviglioso. Grande attenzione alla dimensione artigianale degli effetti speciali, dunque, con trucchi anche ottici e 'mostri' fatti (in parte) a mano, a evitare quel tono falso e insopportabile dei film girati al computer e ormai tutti uguali. Nessuna concessione ai codici dominanti del fantastico (scene, costumi, musica, taglio del racconto, ritmo dell'azione: tutto ha un'impronta personale), a vantaggio della magia dell'insieme. (...) il regista di 'Gomorra' guarda (...) a un cinema che per una volta non gioca sui nostri riflessi condizionati ma punta davvero alla meraviglia, all'incanto delle forme e dei colori, allo stupore per un mondo ancora dominato dalla metamorfosi (il mondo magico non distingue tra umano, animale o vegetale). E pesca i suoi riferimenti con disinvoltura totale, magari accostando castelli medievali e caschi da palombaro che sembrano usciti da un libro di Verne. Ma soprattutto punta sulla forza ancor oggi travolgente di intrecci, personaggi e sentimenti davvero eterni (con qualche lieve fatica solo in certi snodi)." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 maggio 2015) "Se anche il cinema inglese e americano sta raccattando il fiabesco per superare il fantasy non sempre riuscendoci, è il giovane italiano Matteo Garrone ad aver avuto l'idea più aristocratica, colta e probabilmente più fortunata: immergersi nel tempo in cui le fiabe sono praticamente nate, passando da orali a scritte, raccolte per la prima volta dal cortigiano e poeta Giambattista Basile nei primi decenni del XVII secolo, con il titolo 'Lo cunto de li cunti'. Cinquanta storie riunite in cinque giornate, scritte nel napoletano arcaico e popolare che le aveva diffuse, e diventato uno dei capolavori assoluti del nostro barocco letterario. Garrone e i suoi collaboratori ne hanno scelto tre, trascurandole più celebri e le più usate dal cinema, dall'opera e dal teatro (come 'Cenerentola' o 'La bella addormentata') e intrecciandole come una sola storia che ricorda il cupo e appassionante fulgore della serie televisiva 'Trono di spade'. (...) Tre storie di donne che raccontano (...) che cinque secoli fa non eravamo tanto diversi, almeno secondo quel genio di Basile che conosceva il mondo spostandosi di corte in corte. (...) E Garrone è stato geniale a usare queste storie per se stesse, nel non voler scavare nel passato per collegarlo al presente, ma al contrario a dimenticare il presente per dare al passato tutta la sua vitalità umana e fantastica. (...) Con molto horror come in tutte le fiabe - ma, come in tutte le fiabe, con molta sofisticata meraviglia - 'Il racconto dei racconti' (...) è molto poco parlato, vive soprattutto di immagini meravigliose (...) un mondo di autentica bellezza, rustica e solenne, che rende le fiabe più fantasy, più minacciose o miracolate, più autentiche degli effetti speciali. Abbandonarsi, adulti, alla fiaba, tornare in quel mondo che nell'infanzia ci ha collegato alla vita, attraverso la sapienza e il piacere di Matteo Garrone che, per gli adulti molto più che per i bambini, l'ha ricreata con l'estrema semplicità necessaria, è un momento inaspettato, dolcissimo nel suo estraniarci completamente dal presente e dai suoi mostri, dai suoi orrori, dalle sue paure e dalla sua malinconia." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 9 maggio 2015) "Informare, a proposito di «Il Racconto dei Racconti» di Matteo Garrone, che si tratta di un fantasy con incursioni nell'horror aiuterà lo spettatore a immaginarlo, ma non certo a comprenderlo e meno ancora a «percepirlo». Perché il regista di «Gomorra» e «Reality» è, tra i nomi forti dell'attualità italiana, quello meno legato all'intenzione, alla spiegazione e alla dimostrazione e più incline a una sensitiva e immersiva libertà nei confronti delle storie e del linguaggio di volta in volta prescelto per tradurle in cinema. (...) ci sembra tempo perso quello d'esibirsi in dotte perlustrazioni alla ricerca di connessioni filologiche con il capodopera valorizzato da Croce: Garrone, in effetti, ha bisogno di tornare al nucleo magmatico e violento delle fiabe europee, in seguito fluidificatesi nelle versioni dei Perrault, Grimm o Andersen, per ritrovare il proprio inconfondibile immaginario nutrito dalla realtà quotidiana e dai suoi valori più terragni e carnali, ma sempre messo a rischio delle destabilizzanti irruzioni del magico, il mostruoso, il bizzarro, l'orrido e il surreale. Moderatamente utili, infine, risultano gli auto-riferimenti alla serie «Il trono di spade» e ai «Capricci» di Goya, mentre quelli a Pasolini diventano interessanti tirando in ballo, invece dello scontato e diversissimo «Decameron» (dove l'antropologia napoletana rivendica un ruolo molto più intenso), i contrastanti «iperrealismi fantastici» di «Uccellacci e uccellini» o l'episodio «La terra vista dalla luna». Qui il tempo è astratto e la lingua inglese restituisce ai meravigliosi sfondi una sorta di sospensione incantata: quanto più le vicende appaiono crude, spaventose, ossessive, tanto più Garrone sottrae acmi di pathos scomposto o surplus pittoreschi, sottolineando un dettaglio «normale», evidenziando una conseguenza logica. (...) Il leitmotiv di questi duelli scatenati tra castelli massicci, boschi oscuri e rocce scoscese (scenografie reali che assumono l'aura d'illustrazioni barocche o gotiche) non è, però, solo l'afflato femminile/femminista, bensì l'estenuante incontro-scontro con gli animali, soprattutto i più ripugnanti e immondi, che riportano gli impulsi dei personaggi alla loro essenza più intimamente bestiale, forse ispirandosi (però senza alterigia autoriale, un vizio che neppure lambisce Garrone) ai fatidici assunti della «Morfologia della fiaba» di Propp. «Il racconto dei racconti» è un film importante che non ha interesse a proclamarsi importante e per questo sembra a tratti acquietarsi nel ritmo e nella suspense il fatto è che la sua trance, tutta costruita a forti pennellate su sentimenti basici come la smania per la giovinezza, il desiderio di maternità, l'uccisione metaforica dei padri e le prove da affrontare per diventare adulti, richiede un'attenzione semplice, una stupefazione antica, forse addirittura una credulità visuale sconosciuta ai cultori smaliziati del minimalismo intellettualistico e del blockbuster oltranzistico." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 9 maggio 2015) "'Lu cuntu de li cunti' di Giambattista Basile (...) è un capolavoro del barocco costruito su un'intrigante struttura circolare e basato su fonti tradizionali/mitologiche dove si ravvisa (scriveva l'Imbriani) la «manifestazione fantastica» di quel «panteismo spontaneo» tanto connaturato alla nostra cultura. Questo spirito Matteo Garrone lo ha colto in pieno in un film che, a dispetto di essere recitato in inglese, esprime una magnifica italianità. (...) il cineasta gioca con artigianale eleganza di effetti speciali, spesso preferendo affidarsi alle suggestioni di paesaggi e luoghi veri da ritagliare con visionarietà e seicentesco gusto pittorico; e sempre tenendo conto del sanguigno fattore umano di cui si nutre la materia fiabesca. L'ottima sceneggiatura che intreccia le tre favole prescelte secondo lo schema del libro, l'indovinato cast; e fotografia (Suschitzky), musica (Desplat), scenografia (Capuani): tutto concorre a fare di questo film in costume un evocativo corpo artistico, al contempo semplice e raffinato." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 9 maggio 2015) "Un fantasy incosciente con incursioni horror. (...) Una commistione tra reale e fantastico, ordinario e straordinario, magico e reale, sublime e volgare, verità e artificio, proprio come le fiabe alle quali il film si ispira, 'Lo cunto de li cunti' (o 'Pentamerone') di Giambattista Basile (...). Incanto e crudeltà si alternano allora nelle storie di tre donne in diverse fasi della vita che rimandano a ossessioni tutte contemporanee. (...) Eppure i momenti più affascinanti del film, girato tra splendide location, tutte reali, scovate tra Toscana, Puglia e Sicilia, sono quelli in cui il regista, sulle note di Alexandre Desplat, pensando ai 'Capricci', la serie di incisioni di Goya, a 'La maschera del demonio' di Mario Bava, al 'Pinocchio' di Comencini, al 'Casanova' di Fellini, a 'L'armata Brancaleone' di Monicelli, a Pasolini e ai pittore preraffaelliti, ma anche al più recente 'Trono di spade', dà sfogo alla propria visionarietà, seducendo il pubblico con scene di grande impatto (...). Il film cioè, prende davvero quota quando lascia lo spazio alla meraviglia e allo stupore, mentre perde parte della sua forza emotiva quando si sforza di riportare la magia, lo straordinario e il mostruoso nella vita popolare fisica e sanguigna di uomini e donne in carne ed ossa, ricchi o straccioni che siano." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 9 maggio 2015) "Una fiaba paurosa come sono tutte le fiabe, e come con accenti diversi tutti i suoi «fiabeschi» film visto che è il sentimento umano nel profondo di pulsioni archetipe e immutabili, paure e desideri, fragilità e violenze che il regista esplora, qui spogliato dalla temporalità e dalla contingenza, immerso nel paesaggio del Mito. In cui si mescolano horror e fantasy, che della fiaba sono le declinazioni intime, la bellezza potente di una pittura preraffaellita, eccentrica intuizione della metamorfosi barocca (ovidiana) che attraversa l'universo delle storie: umani e «mostri» si scambiano le fattezze, pulci giganti e Cuori di drago danno forma a egoismi e indifferenza, piaceri proibiti e riti di passaggio, sussulti di follia e romanzi crudeli di formazione. Lui, Garrone, si muove tra le sue visioni come un acrobata sul filo teso alla perfezione, saldo, senza cedimenti, col respiro potente e sensuale delle sue immagini. Siamo fuori del tempo, in castelli stagliati contro un cielo blu che possono essere oggi o un passato remoto, geometrici labirinti di un sentimento che ripete sé stesso all'infinito nei nostri incubi e nelle nostre ossessioni. Intorno boschi pànici dove strane creature, divinità ma non dei si divertono a ingarbugliare il corso delle cose, e a stuzzicare gli umani nelle debolezze. Garrone «degenera» i generi, spiazza lo sguardo e il cuore conducendoci lentamente nell'Edipo della nostra umanità. La sua «traduzione» del 'Racconto dei racconti' - nella sceneggiatura scritta insieme a Massimo Gaudioso, Edoardo Albinati, Ugo Chiti - è una favola sul potere dell'immaginario che produce regole, gender, modelli, desideri, e che solo dal «di dentro» può essere spiazzato, reinventato con una ribellione del corpo e dell'anima. (...) Ed è un romanzo di formazione, (...) un film commuovente sul femminile che questo Potere dell'uomo e della tradizione (e dell'inconscio) cercano di conformare ai propri voleri, specchio di un desiderio, ciò che le donne devono essere (...). Sono le donne in diverse età, forse persino una donna sola, le protagoniste di queste storie e del film, i personaggi su cui si concentra il regista, le sole che possono destabilizzare lo sguardo e gli immaginari producendo mutazioni imprevedibili. Il limite è sempre lo scontro con quel potere (sguardo), quando sottrarsi e come ribaltarlo. (...) Non c'è a ben vedere tanta distanza tra questo film ed altri di Garrone, penso a 'L'imbalsamatore', 'Gomorra' o il precedente 'Reality'. Anche lì nonostante la «cronaca» e i riferimenti alla realtà la macchina da presa del regista spostava il suo punto di vista addentrandosi nell'immaginario, nella rappresentazione di sé conforme ai «modelli» (...) nelle proiezioni su qualcuno o su qualcosa di un desiderio originario e collettivo, (...). Ciò che cambia è la forza delle sue immagini, a ogni film sempre più sorprendenti, talento di un regista unico in Italia a avventurarsi in un terreno aperto e così sontuoso. E non è questione di effetti speciali ma di dosaggi tra emozionalità e luce (a cui il geniale Peter Suschitzky trova perfetta corrispondenza), ritmo (il montaggio di Marco Spoletini), piacere discreto di un festo d'amore. Con «trucchi» quasi artigianali (e ovviamente raffinatissimi), omaggio al cinema di Bava, dice Garrone, ma anche a quello dei baracconi e dei circhi, alle fantasie lunari di Méliés coi suoi draghi e i suoi viaggiatori spaziali. Il 'Racconto dei racconti' è un film magnifico, un'esperienza dei sensi dentro a quel cinema «grande» senza la retorica pretenziosa di dichiararsi tale, con la bellezza pura di una sfida." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 9 maggio 2015) "(...) qualcosa che non vedevamo da tempo immemore entro i patri confini: è il fantasy, bellezza. (...) il genere è stato speso e vilipeso fino all'estinzione: per riesumarlo serviva non solo un grande regista, ma un demiurgo. Garrone lo è. (...)lasciate quel nerd di Peter Jackson a crogiolarsi con i suoi 48 fotogrammi per secondo e l'estetica bimbominkia de 'Lo Hobbit', 'Il trono di spade' a torcersi nel bigio morale e la foia scopicchiante, perché Garrone riesce nell'inaudito, ridare al fantasy la realtà, di più, la verità. (...) Il materiale di partenza è eccellente: 'Lo cunto de li cunti' del napoletano Giambattista Basile, capolavoro del barocco misconosciuto ai più. (...) A tenere insieme le storie, è 'il femminile (...). Sullo schermo, l'estrazione pittorica di Garrone e i Capricci di Goya per nume tutelare, 'il 'Casanova di Fellini', 'La maschera del demonio' di Bava, il 'Pinocchio' di Comencini e 'L'Armata Brancaleone' di Monicelli per riferimenti', cui non si può non aggiungere il 'Faust' di Sokurov: 'Il racconto dei racconti' è un film-mondo, ha l'ambizione realizzata di non distinguere tra fantasia e realtà, fantasy e prassi, senza peraltro deragliare di un millimetro dalla poetica di Garrone. Mentre i nostri 'autori' si accozzano verghiani allo scoglio del Glorioso Cinema Italiano, Matteo è già oltre: nelle sinergie produttive, nella lingua inglese, nella capacità di attrarre star internazionali (qui Salma Hayek, Vincent Cassel e Toby Jones) condivise con l'altro dioscuro Paolo Sorrentino, e in più ha la volontà palestrata da 'Gomorra' di riscrivere il genere e aprirsi alla serialità. (...) dalle Gole di Alcantara, passando per i castelli di Donnafugata, Sammezzano e Sermoneta, alla fotografia 'vero - non vero' del cronenberghiano Peter Suschitzky, e se ci fosse ancora il papà dei semiologi Vladimir Propp godrebbe di questa morfologia della fiaba, sospesa in una terra di mezzo che non è quella derivativa di Jackson, in un tempo liquido che non è quello omogeneizzato dei Grimm e degli Andersen. (...) C'è tutto, e di più, l'unica incognita è sugli occhi e i cuori buoni per intendere 'Il racconto dei racconti' (...) capostipite di un nuovo fantasy." (Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano', 9 maggio 2015) "Nonostante l'energia visiva (...), la forza di sentimenti estremi (...) e l'accattivante incursione dello straordinario nell'ordinario (...) il film manca di un punto di vista netto e di una equilibrata distribuzione degli episodi (forzata l'adunata finale nel castello, era meglio tenerli separati). Spesso l'attenzione cala. Garrone cerca un personale bilico tra il cinema di genere fantasy horror e la 'Trilogia della vita' di Pasolini, ma i suoi personaggi soffrono un po'di attualismo nel fiabesco (...)." (Silvio Danese, 'Nazione - Carlino- Giorno', 9 maggio 2015) "Finalmente cinema. Intensamente spettacolare, ricco di fiabesca autenticità, modernamente iperrealista. (...) Emozioni, sorprese, paesaggi incantati e pur verissimi, metamorfosi a non finire, sono il tessuto su cui poggia l'estro di Garrone finalmente pronto a riconoscere e sfruttare la natura artificiosa del cinema. Orrido e sublime, macabro e ironico si rincorrono all'insegna del femminile in mirabile equilibrio." (Andrea Martini, 'Nazione - Carlino- Giorno', 9 maggio 2015) "Fantastico. Sul genere non ci piove. Una magia senza fine. (...) Un prodigioso viaggio nella fantasia, da lasciare spesso a bocca aperta per l'indiscutibile gusto figurativo dell'autore. Ma se l'occhio dello spettatore brilla davanti a così grande incanto, il suo cuore non partecipa alla festa. Insomma, di emozioni non ce n'è manco mezza. (...) Sui costumi e sulle location, che, fuor dal cinematografese, sarebbero i luoghi scelti per le riprese, nulla da dire: magnifici. E chissà a quanti verrà l'istantanea voglia di un viaggio in Toscana, in Puglia, nel Lazio o in Sicilia, per vedere dal vivo il castello di Sammezzano o quello di Gioia del Colle, il bosco di Sasseto o le gole di Alcantara. Il guaio è che per scoprirlo bisognerebbe restare svegli fino ai titoli coda." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 14 maggio 2015) "Non so se è veramente magnifico, ma so che Cannes è il posto suo. Perché è immaginifico, masturbatorio, pieno di richiami colti (dalle favole morbose e decadenti di Jean Cocteau alle crudeltà del balletto della Gatta Cenerentola). Matteo Garrone si conferma campione di bellurie visive (i suoi castelli senza fine, le sue foreste senza uscita sono costante gioia per gli occhi) e affezionato (in maniera mica male sospetta) a un cinema «di mostri». (...) Spettatori boccacceschi state alla larga. Il sesso del film è cupo e spesso orrido. E la pellicola non ci sembra neppure troppo adatta a un pubblico domenicale. Il film affascina , ma non di rado respinge. E gli under 10 li fa scappare. (...) Domanda che si faranno non pochi spettatori: c'è un filo conduttore tra le favole? Un collega più acuto di me mi suggerisce: la morale comune è femminista (in un modo o nell'altro le storie vanno dove vogliono le donne). Mah, forse, ci devo pensare. Ma son già sicuro che non era il primo pensiero di Garrone." (Giorgio Carbone, 'Libero', 15 maggio 2015)

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