Il mestiere delle armi2000

SCHEDA FILM

Il mestiere delle armi

Anno: 2000 Durata: 100 Origine: BULGARIA Colore: C

Genere:STORICO

Regia:Ermanno Olmi

Specifiche tecniche:-

Tratto da:-

Produzione:CINEMAUNDICI, RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA, CANAL +, KIRCHMEDIA, CON IL SOSTEGNO DEL FONDO EURIMAGES DEL CONSIGLIO D'EUROPA

Distribuzione:MIKADO FILM (2001)

ATTORI

Hristo Jivkov nel ruolo di Joanni De Medici
Dessy Tenekedjieva nel ruolo di Maria De Medici
Sandra Ceccarelli nel ruolo di Nobildonna di Mantova
Sergio Grammatico nel ruolo di Federico Gonzaga
Dimitar Ratchkov nel ruolo di Luc'Antonio Cuppano
Sasa Vulicevic nel ruolo di Pietro Aretino
Aldo Toscano nel ruolo di Loyso Gonzaga
Paolo Magagna nel ruolo di Francesco Maria Della Rovere
Giancarlo Belelli nel ruolo di Alfonso d'Este
Nikolaus Moras nel ruolo di Zorzo Frundsberg
Maurizio Zacchigna nel ruolo di François de la Noue
Paolo Roversi nel ruolo di Blaise de Monluc
Claudio Tombini nel ruolo di Ricco mercante
Franco Palmieri nel ruolo di Paolo Giovio
Fabio Giubbani nel ruolo di Matteo Cusastro
Michele Zattara nel ruolo di Palafreniere Joanni
Vittorio Corcelli nel ruolo di Frate domenicano
Francesca Lonardelli
 

SOGGETTO

Olmi, Ermanno
 

SCENEGGIATORE

Olmi, Ermanno
 

MUSICHE

Vacchi, Fabio
 

MONTAGGIO

Cottignola, Paolo
 

SCENOGRAFIA

Marchione, Luigi
 

COSTUMISTA

Sartori, Francesca
 

TRAMA

Joanni de Medici è un giovane capitano dell'esercito pontificio nella campagna contro i Lanzichenecchi di Carlo V, imperatore degli Alemanni. Nonostante la giovane età, è stimato e conteso da Principi e Papi per il suo valore. Ama la vita, è a sua volta baciato dalla fortuna e ambito dalle donne più belle. Ma la morte è in agguato.. TRAMA LUNGA Nelle campagne intorno a Mantova un gentiluomo, inviato dal generale Della Rovere duca d'Urbino, porta la notizia al marchese Gonzaga: "Messer Giovanni de' Medici è stato colpito da una botta di falconetto in una gamba". Vengono approntate cure immediate, ma ben presto risulta evidente che non è possibile fermare la lenta agonia di Giovanni: quattro giorni, e poi la morte quando è "l'ultimo de novembre 1526". Giovanni ha 28 anni. Mentre si preparano i funerali, a ritroso vengono ripercorsi gli avvenimenti più recenti. Ecco dunque Giovanni nel suo ruolo di capitano dell'armata pontificia intenta alla campagna contro i Lanzichenecchi di Carlo V. L'obiettivo dell'armata è di impedire al nemico di passare il Po, in caso contrario, dopo quell'ostacolo, la strada per Roma sarebbe spianata. Il marchese Gonzaga, duca di Mantova, si è impegnato con Papa Clemente VII e la Serenissima di Venezia a collaborare per contrastare l'avanzata degli Alemanni. Ma, per propria convenienza, appena può offre riparo al Generale Frundsberg e ai suoi uomini. Anche Alfonso d'Este, duca di Ferrara, all'ultimo momento cede alle convenienti offerte di Carlo V e in più, per mostrargli gratitudine, fornisce in segreto alle truppe tedesche quattro esemplari di uno strumento nuovissimo: il falconetto affustato su ruote, ossia una 'bombarda con palla da due libbre'. Nella notte del 23 novembre Giovanni apprende che la guarnigione tedesca ha trovato riparo presso il Serraglio di Mantova. Il giorno dopo l'imbarcazione con i falconetti attracca sulla riva mantovana. I fanti tedeschi si dispongono in posizione. Comincia a nevicare e tutti pensano ad una sospensione dei combattimenti. Giovanni però vuole vedere in faccia il generale nemico, e ordina di prepararsi. Nelle ombre della notte riconosce Frundsberg, anziano e malato. I due si salutano, poi Giovanni dà il segnale d'attacco. Quasi subito le bocche da fuoco cominciano a sparare. Resosi conto del tradimento, Giovanni capisce che la battaglia è impari, e quando viene colpito alla gamba deve ritirarsi. Ed ecco di nuovo il letto, l'agonia, la morte. Intanto i Lanzichenecchi attraversano l'Italia e arrivano a Roma. Nel 1572 la città del Papa viene completamente devastata.

CRITICA

Dalle note di regia: "La morte di un giovane è sempre un'offesa alla vita; una bestemmia contro il destino e la stupidità degli uomini. (...) Il "progresso" della scienza e della tecnica non garantisce all'uomo una rispettiva crescita morale e civile, un nuovo, adeguato sentimento di umanità." "Invettiva arcana, austera, quasi sommessa, sulla distruzione del mondo nei giorni che inaugurarono la palla di piombo (...) Un prodigioso impegno di fusione dei dipinti e della lingua italiana rinascimentali nell'immaginazione documentata di Olmi, che non concede al quadro e alla parola alcuna contaminazione (ci vuole qualche minuto prima di 'entrare' nel film) (...). Storia e metafisica per condannare 'la via più breve alla crudele morte'. Il mestiere del cinema tra Kurosawa e Tarkovski". (Silvio Danese, 'Il Giorno', 11 maggio 2001). "Il film, implacabilmente refrattario alle risorse post-moderne degli effetti speciali, è realistico, a partire dalle armature fatte rifare su disegni dell'epoca; ma soprattutto nella straordinaria materialità con cui riesce a rappresentare gli oggetti: il cannoncino, il crocefisso che i soldati infreddoliti vogliono bruciare suscitando l'ira di Giovanni. 'Il mestiere delle armi' contiene anche le prime scene di sesso del cinema olmiano, però sono scene che, più luttuose delle scene di morte, lasciano un gusto di cenere". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 16 maggio 2001) "Il film di Olmi è la storia di un eroe, di un eroe nel senso pieno della parola. Il rigore storico-documentario del regista è tale che nessuna parola, nessuna scena è stata inventata. La pellicola diventa un grande affresco della condizione umana, una riflessione profonda e sentita sui valori autenticamente umani. La coerenza, la lealtà, il rispetto". ('L'Eco di Bergamo', 11 maggio 2001) "Il soggetto de film nobile, avventuroso, rigoroso, è in realtà la morte: la presenza, la sofferenza, la cultura della morte". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 11 maggio 2001) "'Il Mestiere delle armi' è anche un magnifico ritratto, ottenuto sbalzando dall'ombra la fosca figura di Joanni, la sapiente radiografia di un'anima chiaroscurata a forza di fatti, non di parole; un affresco dipinto con poche pennellate vigorose in cui però c'è di tutto (...) Un grande personaggio per un grande film corale che rifiuta le psicologie, comprime le battaglie in pochi scorci fulminanti, istoria il racconto di ellissi e flashback, corteggia l'oscurità grazie alla bellissima fotografia di Fabio Olmi, insomma sfida tutte le convenzioni del cinema in costume (e non solo). Non sarà facile decifrarlo, specie per gli stranieri". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 11 maggio 2001) "'Il mestiere delle armi' lascia un segno speciale e ci ricorda che c'è ancora il cinema oltre alla tv, oltre la sceneggiatura ben congegnata, oltre il blockbuster. Un cinema difficile che non concede, ma nemmeno nulla sottrae, allo spettatore, fusione calda di anima e immagine. (...) La fotografia dipinge quadri rinascimentali. La luce, i fumi, la nebbia, la neve e il freddo iniettano negli occhi la violenza di tempi bui e iniqui, mentre la bella musica di Fabio Vacchi sospinge le immagini verso la sacralità. La violenza del conflitto è fredda come quel rilucere di armature nel grigio dell'inverno". (Piera Detassis, 'Panorama', 24 maggio 2001) "Un film di Olmi non si limita mai a raccontare una storia e in questo caso 'Il mestiere delle armi' non è solo uno dei rari kolossal italiani, un nostro 'Gladiatore' altrettanto spettacolare ma certamente più rispettoso della storia e più profondo; è infatti permeato di quel senso religioso, alto e drammatico, che non ha niente a che fare con la piccola superstizione religiosa che oggi invade il video coi suoi santi, i maghi, i suoi miracoli, le sue superstizioni". (Natalia Aspesi, 'D - Donne', 22 maggio 2001)

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