J. Edgar2011

SCHEDA FILM

J. Edgar

Anno: 2011 Durata: 137 Origine: USA Colore: C

Genere:BIOGRAFICO

Regia:Clint Eastwood

Specifiche tecniche:35 MM (1:2.35)

Tratto da:-

Produzione:CLINT EASTWOOD, BRIAN GRAZER, RON HOWARD, ROBERT LORENZ PER MALPASO PRODUCTIONS, IMAGINE ENTERTAINMENT, WINTERGREEN PRODUCTIONS

Distribuzione:WARNER BROS. PICTURES ITALIA (2012) - DVD E BLU-RAY: WARNER HOME VIDEO (2012)

ATTORI

Leonardo Di Caprio nel ruolo di J. Edgar Hoover
Naomi Watts nel ruolo di Helen Gandy
Armie Hammer nel ruolo di Clyde Tolson
Josh Lucas nel ruolo di Charles Lindbergh
Judi Dench nel ruolo di Anne Marie Hoover
Ed Westwick nel ruolo di Agente Smith
Lea Thompson nel ruolo di Lela Rogers
Josh Hamilton nel ruolo di Robert Irwin
Geoff Pierson nel ruolo di Mitchell Palmer
Cheryl Lawson nel ruolo di Moglie di Palmer
Kaitlyn Dever nel ruolo di Figlia di Palmer
Gunner Wright nel ruolo di Dwight Eisenhower
David Cooper nel ruolo di Franklin Roosevelt
Jack Donner nel ruolo di Padre di Edgar
Dylan Burns nel ruolo di Hoover bambino
Jack Axelrod nel ruolo di Caminetti
Jessica Hecht nel ruolo di Emma Goldman
Josh Stamberg nel ruolo di Agente Stokes
Christian Clemenson nel ruolo di Ispettore Schell
Michael Rady nel ruolo di Agente Jones
Ken Howard nel ruolo di Harlan Fiske Stone
Scot Carlisle nel ruolo di Agente Williams
Geoff Stults nel ruolo di Raymond Caffrey
Allen Nabors nel ruolo di Agente Appel
Ryan McPartlin nel ruolo di Lawrence Richey
William Bebow nel ruolo di Sig. Walters
Jeffrey Donovan nel ruolo di Robert Kennedy
Miles Fisher nel ruolo di Agente Garrison
Dermot Mulroney nel ruolo di Colonnello Schwarzkopf
Zach Grenier nel ruolo di John Condon
Denis O'Hare nel ruolo di Albert Osborne
Damon Herriman nel ruolo di Bruno Hauptmann
Kahil Dotay nel ruolo di Elmer Irey
Lea Coco nel ruolo di Agente Sisk
Christopher Lee Philips nel ruolo di William
Stephen Root nel ruolo di Arthur Koehler
David Clennon nel ruolo di Senatore Friendly
David Michael O'Neill nel ruolo di Senatore McKellar
Eric Larkin nel ruolo di Fred Hunter
Manu Intiraymi nel ruolo di Alvin Karpis
Eric Frentzel nel ruolo di William Mahan
Michael Klinger nel ruolo di Harry Brunette
Emily Alyn Lind nel ruolo di Shirley Temple
Jamie Labarber nel ruolo di Ginger Rogers
Amanda Schull nel ruolo di Anita Colby
Adam Driver nel ruolo di Walter Lyle
Ary Katz nel ruolo di Agente Owens
Aaron Lazar nel ruolo di PM Wilentz
Joe Keyes nel ruolo di Fratello di Edgar
Christopher Shyer nel ruolo di Richard Nixon
Larkin Campbell nel ruolo di H.R. Haldemann
Kyle Eastwood nel ruolo di Musicista allo Stork Club
 

SCENEGGIATORE

Black, Dustin Lance
 
 

SCENOGRAFIA

Murakami, James J.
 

COSTUMISTA

Hopper, Deborah

TRAMA

La vita pubblica e privata di J. Edgar Hoover, capo dell'FBI per circa cinquant'anni e sotto ben otto Presidenti degli Stati Uniti. Quello che è stato considerato a lungo come l'uomo più potente di tutta l'America, non si fermò di fronte a nulla pur di proteggere il suo Paese, spesso anche infrangendo le regole. Un racconto sulla sua vita, pubblica e privata, e sulle relazioni di un uomo che poteva distorcere la verità con la stessa facilità con la quale la sosteneva e la affermava: un'esistenza dedicata alla sua idea di giustizia, che spesso tendeva verso il lato oscuro del potere.

CRITICA

"Il primo evento annunciato del 2012 è un grande film a metà, diviso fra momenti memorabili e inutili insistenze. La biografia più privata che pubblica di un personaggio che costruì un impero sui segreti. Il ritratto di un omuncolo che nemmeno Leonardo Di Caprio riesce a rendere affascinante, ma fu per quasi mezzo secolo il potente più temuto d'America. J. Edgar Hoover, big boss dell'Fbi dal 1924 al 1972, era la doppiezza in persona. L'uomo doveva essere ambiguo, tormentato, forse segretamente omosessuale. Ma il poliziotto era tenace, spietato, ossessivo, dotato di intuizioni a suo modo geniali che avrebbero rivoluzionato le tecniche di indagine come quelle di gestione del potere - occulto - derivante dall'accumulo di informazioni riservate. Fare un film su di lui significava trovare il modo di convertire la duplicità in ricchezza, l'ambiguità in complessità; ovvero trovare tracce di grandezza in cose meschine come odio, paranoia, intimidazione, ricatto. Ci voleva Shakespeare: infatti lo script brillante quanto pletorico di Dustin Lance Black, già sceneggiatore di 'Milk' per Gus Van Sant, moltiplica i flashback, i risvolti torbidi, i momenti emblematici, ma trova di rado l'equilibrio fra pubblico e personale. Curioso che Clint Eastwood, celebre per la forza e la classicità del linguaggio, si sia imbarcato in questo biopic zavorrato dall'irrimediabile antipatia del protagonista. E dalla chiave scelta per illuminarne la personalità: la dipendenza dalla figura materna, un'arcigna, manipolatoria Judi Dench, con il suo inevitabile (troppo inevitabile) corollario. (...) Peccato che volendo illuminare per forza anche i lati più in ombra del personaggio, 'J. Edgar' sfiori a tratti l'ovvio e addirittura il ridicolo (possibile mettere in bocca a Hoover la battuta di Wilde, «Uccido tutto ciò che amo?»). Nixon, i Kennedy e gli altri protagonisti lasciati sullo sfondo, si sono presi la loro vendetta." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 4 gennaio 2012) "Cosa proverà Leonardo Di Caprio, rivedendosi sullo schermo in 'J. Edgar'? Nel nuovo film di Clint Eastwood (da oggi al cinema) interpreta il fondatore-direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover in un arco narrativo che copre oltre mezzo secolo. La squadra di truccatori capeggiati da Jack Taggart (Oscar sicuro, guai se non glielo danno) ha compiuto su Di Caprio un lavoro pazzesco, ma l'attore ci ha messo del suo, lavorando su gesti, sguardi e camminate fino a sembrare veramente un anziano malmesso. Da un lato gli sembrerà, rivedendosi, di osservare il proprio (futuro) invecchiamento; dall'altro dovrà essere orgoglioso del proprio lavoro. Dev'essere, al tempo stesso, gratificante ed inquietante. La prova prodigiosa di DiCaprio e degli altri attori (Naomi Watts, Armie Hammer e Judi Dench non sono da meno) non deve far passare in secondo piano i valori cinematografici e politici di 'J. Edgar'. (...)Eastwood e Black sono espliciti, ma con grande finezza. Anche le due scene più estreme del film sono risolte con gusto, sapienza drammatica e - oseremmo dire - affetto, più che rispetto. (...) Più che un 'j'accuse' all'Fbi e alle sue ingerenze nella politica Usa, 'J. Edgar' è un film sulla manipolazione, sui ricatti, sulla spasmodica ricerca di informazioni su cui la politica è costruita. Il che fa di Hoover un personaggio paradossalmente modernissimo, e non solo per le geniali tecniche di indagine da lui introdotte: l'inventore della politica-spazzatura e di tutte le macchine del fango in azione, ieri oggi e domani, è lui. Il film è quindi importante e densissimo, anche se piuttosto complesso per la sua struttura in flash-back fin troppo intricata. Soprattutto la prima mezz'ora è faticosa e un rapido ripasso di storia americana potrebbe aiutare. Film molto bello, ma 'Mystic River', 'Million Dollar Baby' e 'Gran Torino' erano un'altra cosa." (Alberto Crespi, 'L'Unità', 4 gennaio 2012) "Dopo una serie di documenti di contro-informazione new left e anni 70 molto dettagliati e critici su questo 'metodo Hoover' (...), e i capolavori polemici di Larry Cohen e Emile De Antonio, anche Clint Eastwood, controstorico dell'America da sempre, da Callaghan a Iwo Jima, da Grenada alla depressione, da Charlie Parker al genocidio west, capace di coniugare l'analisi storica con le sue profonde implicazioni immaginarie e simboliche, come neppure Arthur M. Schlesinger jr. è stato mai capace di fare, torna a Hoover (impersonato - con un ovvio sfoggio di make up pesante, alla 'Il divo', spesso davvero imbarazzante - da un feroce e delicatissimo Leonardo Di Caprio), monumento rimosso dell'essere americano, ma modificando tono e punto di vista. Non tanto perché in 'J. Edgar' Eastwood racconta la lunga e mai interrotta storia d'amore virile e platonica tra il capo dell'Fbi e il suo braccio destro, costringendo il pubblico a stare sempre dalla parte di un innamorato frustrato nelle sue più represse passioni e pulsioni (da una educazione puritana che ne ha deformato personalità e sessualità). Ma perché il punto di vista mai liberal del repubblicano lincolniano in stato di allarme Clint (...) è assai più convincente quando sentenzia che Hoover sembra come lui ma è all'opposto, è il sintomo di un morbo fanatico e fondamentalista, di una malattia pericolosa e profonda che ha avvelenato lo stesso individualismo, drastico e democratico americano, e che forse è all'origine della profonda crisi di civiltà che sta distruggendo il baricentro spirituale del suo paese." (Roberto Silvestri, 'Il Manifesto', 4 gennaio 2012) "'J. Edgar', 'biopic' di Clint Eastwood su J. Edgar Hoover, l'onnipotente capo dell'FBI per quasi mezzo secolo. In America è appena uscito e già i critici parlano di Oscar. E i 'vecchi' del Federal Bureau tirano un sospiro di sollievo. II loro mito non ne esce malissimo. Avevano una gran paura che Dustin Lance Black, lo sceneggiatore di 'Milk', lo trattasse da checca scatenata, e invece il côté omosessuale, pur presente ed evidente, è accostato con indubbia delicatezza. (...) Nel film c'è tutto. Eppure quest'uomo odioso non arrivi mai a odiarlo nel corso dei 140 minuti. Per J. Edgar, Eastwood nutre evidentemente l'odio amore che Orson Welles portava al magnate di 'Quarto potere', che Eisenstein nutriva per 'Ivan il terribile'. Come in 'Ivan', Clint fa salire il suo antieroe al trono in un Paese che sembra in preda al caos, giustificando in parte la serie di carognate che vedremo fare a Hoover (come a dire, in un mondo di carogne per metter ordine ci voleva la carogna e mezza). In realtà Eastwood da buon americano ha un innato rispetto per chiunque sappia fare bene il proprio 'job', il proprio lavoro. E Hoover lo fece benissimo. Anche se i suoi metodi farebbero rivoltare le budella a qualunque persona perbene. Anche le budella di Clint? Beh, nel film si nota un'omissione a dir poco sospetta. Non compare nemmeno di sfuggita il personaggio di Melvin Purvis, il 'duro' dell'FBI, l'uomo che sparò a John Dillinger e a Pretty Boy Floyd, che mise in ginocchio Machine Gun Kelly. Con Purvis, Hoover tirò fuori il suo verminaio. Geloso della fama del suo agente, a forza di 'mobbing' lo fece cacciare dall'FBI, poi con l'intimidazione e il ricatto gli bruciò un'altra carriera. Purvis finì per spararsi con la pistola che aveva ucciso Dillinger. Nel film non c'è. Ma perché?" (Giorgio Carbone, 'Libero', 4 gennaio 2012) "Il lato oscuro della forza, verrebbe da dire citando 'Guerre stellari', riferendosi a John Edgar Hoover, fondatore e per mezzo secolo temuto direttore del Federal Bureau of Investigation, la famosa Fbi. Ma probabilmente Clint Eastwood, dedicandogli un film impietoso nel mostrarne debolezze, vizi e contraddizioni, vuole solo presentare il volto ambiguo dell'America. Con 'J. Edgar' l'ultraottantenne regista, che più volte come attore ha incarnato la faccia più dura del suo Paese, oggi ne prende le distanze. Del resto l'ispettore Callaghan, per quanto spietato e violento, è lontano anni luce da Hoover, dal suo modo di intendere e di amministrare la giustizia, e di usare il potere con il ricorso alla menzogna, al cinico ricatto, al meschino sotterfugio, all'illegalità pur di far valere le proprie ragioni, giuste o sbagliate che siano. Nel suo cinema Eastwood ha archiviato ogni accento giustizialista per una riflessione più pacata sul senso della giustizia, aprendo persino spiragli al perdono, ma sembra comunque apprezzare più la schiettezza di una 44 magnum che la codardia di un dossier «confidenziale». Hoover, detentore di un potere via via sempre più ampio e senza controllo, non fece solo fare il grande balzo in avanti alle attività investigative di contrasto alla criminalità dotando l'ufficio di moderne apparecchiature, cosa peraltro meritoria, ma utilizzò tale potere per manovrare sotterraneamente la politica, per tenere in scacco - con i suoi fascicoli confidenziali - persino i presidenti degli Stati Uniti. Convinto di essere dalla parte giusta, combatté la sua guerra personale e indiscriminata non solo con i delinquenti, ma anche contro quanti ai suoi occhi costituivano una minaccia per il Paese e per se stesso: comunisti, radicali, attivisti per i diritti civili, non risparmiando neppure Martin Luther King. È a questo Hoover che Leonardo DiCaprio dà vita attraverso un'interpretazione maiuscola anche, e forse soprattutto, quando recita con il pesante trucco dell'invecchiamento. Lo fa seguendo le indicazioni di un copione che sceglie di raccontare non una biografia asettica, ma a partire da quella scritta dallo stesso Hoover, intrisa di bugie, di autoesaltazione, di omissioni; tutte mancanze che la sceneggiatura - giocata su continui flashback, con l'anziano direttore che si racconta - rende via via palesi, fino a smascherarle nel finale, negando a esse qualsiasi giustificazione ideale e persino l'attenuante della buona fede. Eastwood preferisce l'analisi psicologica alla ricostruzione cronologica, rinunciando così a molte vicende personali di Hoover non meno imbarazzanti di quelle raccontate. Ma le contraddizioni dell'uomo lo interessano di più, e attraverso queste vuole ricostruire i tratti salienti di una personalità duplice. Da una parte il giovane insicuro legato alla madre Annie (Judy Dench) da un rapporto di dipendenza, ambiguo quanto quello latentemente omosessuale con il suo più stretto collaboratore Clyde Tolson (Armie Hammer) e quello con la fidata segretaria Helen Gandy (Naomi Watson). Dall'altra l'impavido tutore dell'ordine che vive nel mito della sicurezza nazionale, sacrificando a essa la sua vita privata oltre che alcuni principi di legalità, e rimanendo egli stesso, sia pure diversamente, vittima della mastodontica macchina repressiva cui aveva dato vita. Con 'J. Edgar' Eastwood si conferma regista di razza, realizzando un film di fattura classica, come nel suo stile, cupo nei toni, diretto nelle intenzioni, senza scappatoie consolatorie o assolutorie, che tuttavia non rende al meglio l'incrocio dell'introspezione psicologica con la sfera pubblica. Perché, con le sue lacune biografiche e i repentini salti temporali, non dà conto fino in fondo del potere effettivo di Hoover; un potere enorme esercitato sotto otto presidenti, i quali più che rispettarlo lo temevano. Ma di certo è apprezzabile l'intento di raccontare senza indulgenza il lato buio dell'America bastione di democrazia e faro di libertà." (di Gaetano Vallini, 'L'Osservatore Romano', 21 gennaio 2012)

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