Guy - Gli occhi addosso1996

SCHEDA FILM

Guy - Gli occhi addosso

Anno: 1996 Durata: 91 Origine: GERMANIA Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Michael Lindsay-Hogg

Specifiche tecniche:35 MM (1:1.85)

Tratto da:-

Produzione:VINCENT D'ONOFRIO, WARREN ROBERT JASON, JOHN MICHAELS, RENÉE MISSEL PER FILMSTIFTUNG NORDRHEIN-WESTFALEN, KRRWH INC., PANDORA FILMPRODUKTION, POLYGRAM FILMED ENTERTAINMENT, PROPAGANDA FILMS

Distribuzione:MIKADO FILM (1997)

ATTORI

Vincent D'Onofrio nel ruolo di Guy
Hope Davis
Lucy Liu
Sandy Martin
Michael Massee nel ruolo di Mark
John O'Donohue nel ruolo di Detective
Richard Portnow nel ruolo di Al
Kimber Riddle nel ruolo di Veronica
Valente Rodriguez
Diane Salinger nel ruolo di Gail
 

SOGGETTO

Dick, Kirby
 

SCENEGGIATORE

Dick, Kirby
 

MUSICHE

Beal, Jeff
 

MONTAGGIO

Dorn, Dody
 

SCENOGRAFIA

Lindstrom, Kara

TRAMA

Una misteriosa regista irrompe, un giorno, nella vita dell'ignaro Guy, trentaquattrenne non sposato, con un figlio, e ora convivente con Veronica. Guy ne è infastidito. Se la trova appresso dovunque: per la strada, al bar, sull'autobus, in automobile, in casa. L'onnipresenza di quella macchina da presa diventa per Guy un'ossessione. Nell'illusione che l'estrema 'prestazione' richiestagli -convincere Veronica a farsi riprendere con lui durante un'accoppiamento- possa mettere fine all'insopportabile invadenza di quello strumento, l'uomo accetta con inquietudine, ma la persecuzione non cessa. Nel disperato tentativo di sfuggirvi, Guy, in folle corsa, giunge fino al mare e vi si butta, come per un lavacro purificatore e non riemerge. Un investigatore privato indaga sull'accaduto per conto dell'enigmatica regista senza alcun risultato, e la donna è costretta a raccogliere gli strumenti del suo mestiere e ad allontanarsi. Ma, in modo altrettanto misterioso e inquietante, Guy rientra nella vita dell'indiscreta regista, ossessionandola a sua volta con un inesorabile tallonamento.

CRITICA

"La trovata è che il film è tutto in soggettiva, come un libro tutto scritto in prima persona, che comincia sempre con lo. E nuovo e azzardato il modo di usare la soggettiva, che non ammette estranei inseguendo il poveretto durante le sue 24 ore non del tutto tranquille: sull'idea, portata alle sue estreme conseguenze massmediologiche, vigila Andy Warhol, che riprendeva per ore e ore il sonno di un uomo. Il volto del bravo Vincent D'Onofrio - che oggi sembra Marlon Brando ma qualcuno ricorderà come la recluta cicciona di 'Full metal jacket' - ci spiega, anche con un certo eccesso didascalico, quanto sia dannosa l'invasione del cinema nella privacy. Il finale osserva le regole della suspense e del mistero, si può scegliere tra un dramma e una patologia. E nonostante qualche furbata, 'Guy' è un film estremamente interessante, un'ossessione voyeuristica sulla tecnologia". (Maurizio Porro, 'Il Corriere della Sera', 17 maggio 1997) " 'Guy' di Michael Lindsay-Hogg, regista inglese e pioniere del video-clip, noto finora per lavori assai meno originali e provocatori, vi prende alla gola e non vi lascia più. Sarà la bravura di Vincent D'Onofrio, l'ex-'palla di lardo' di 'Full Metal Jacket' che nel frattempo ha messo su un carisma da giovane Welles. Sarà che il film è girato dal primo all'ultimo fotogramma 'in soggettiva', vale a dire dal punto di vista della macchina da presa. Ma questo 'Guy', che potrebbe esser preso per un film alla moda, un esercizio di stile senza costrutto, è uno dei lavori decisivi della stagione, la metafora definitiva di qualcosa che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni ma che non sappiamo definire". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero') "Per il suo radicalismo formale e contenutistico, 'Guy' sembra la quintessenza del prodotto d'autore e invece è un'Idra ad almeno tre teste: la sceneggiatura, intrigante seppure in sospetto di intellettualismo, è stata scritta da Kirby Dick, un documentarista alla sua prima esperienza nella fiction; la regìa, abilissima a trarre partito stilistico dalla rigorosa 'soggettiva' su cui è costruito il film, è firmata da Michael Lindsay-Hogg, figlio dell'attrice irlandese Geraldine Fitzgerald, titolare di una scarna filmografia in cui spicca solo 'Let It Be' dei Beatles risalente al lontano 1970. Ed è fondamentale l'apporto artistico di Vincent D'Onofrio che, sebbene costretto a interloquire e reagire con una macchina da presa, riesce a irradiare sulla pellicola il dolente sentimento di precarietà e impotenza dell'uomo di fine millennio". (Alessandra Levatesi, 'La Stampa', 31 maggio 1997)

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