Gli intrighi del potere - Nixon1996

SCHEDA FILM

Gli intrighi del potere - Nixon

Anno: 1996 Durata: 192 Origine: USA Colore: B/N

Genere:BIOGRAFICO, DRAMMATICO

Regia:Oliver Stone

Specifiche tecniche:PANAVISION PANAFLEX GOLD II/PANAVISION PANAFLEX PLATINUM, 35 MM (1:2.35) - TECHNICOLOR

Tratto da:-

Produzione:OLIVER STONE, CLAYTON TOWNSEND, ANDREW G. VAJNA PER CINERGI PICTURES ENTERTAINMENT, HOLLYWOOD PICTURES, ILLUSION ENTERTAINMENT

Distribuzione:WARNER BROS ITALIA - CECCHI GORI HOME VIDEO

ATTORI

Anthony Hopkins nel ruolo di Richard Milhous Nixon
Joan Allen nel ruolo di Pat Nixon
Powers Boothe nel ruolo di Alexander Haig
Ed Harris nel ruolo di E. Howard Hunt
Bob Hoskins nel ruolo di J. Edgar Hoover
E.G. Marshall nel ruolo di John Mitchell
David Paymer nel ruolo di Ron Ziegler
David Hyde Pierce nel ruolo di John Dean
Paul Sorvino nel ruolo di Henry Kissinger
Mary Steenburgen nel ruolo di Hannah Nixon
J.T. Walsh nel ruolo di John Erlichman
James Woods nel ruolo di H. R. Haldeman
Brian Bedford nel ruolo di Clyde Tolson
Annabeth Gish nel ruolo di Julie Nixon
Tony Goldwyn nel ruolo di Harold Nixon
Larry Hagman nel ruolo di Jack Jones
Edward Herrmann nel ruolo di Nelson Rockefeller
Dan Hedaya nel ruolo di Trini Cardoza
Tony Lo Bianco nel ruolo di Johnny Roselli
Robert Beltran nel ruolo di Frank Sturgis
Corey Carrier nel ruolo di Nixon a 12 anni
David Barry Gray nel ruolo di Nixon a 19 Anni
George Plimpton nel ruolo di Avvocato del presidente
Joanna Going nel ruolo di Giovane studentessa
Julie Condra nel ruolo di Pat Nixon da giovane
Tony Plana nel ruolo di Manolo Sanchez
 

MUSICHE

Williams, John
 

SCENOGRAFIA

Kempster, Victor
 

EFFETTI

Stone, F. Lee

TRAMA

L'americano Richard Milhous Nixon, figlio di un negoziante e di una severa donna quacchera, cresciuto in California in una modesta famiglia e colpito duramente dalla morte di due fratelli, divenuto avvocato ottiene rapidamente il successo politico: a 33 anni è deputato, a 37 senatore, a 39 vicepresidente e nel 1968 diventa presidente degli Stati Uniti d'America. Malgrado la spesso agitata relazione con la moglie Pat si dedica con impegno, controverso ma efficace, per porre fine al conflitto indocinese; le importanti aperture alla Cina ed all'Unione Sovietica riscattano nell'opinione generale decisioni impopolari come l'aggressione alla Cambogia o i massicci bombardamenti in Nord Vietnam. Il rientro, a conflitto concluso, di seicento prigionieri di guerra aumenta le sue quotazioni anche tra i pacifisti ad oltranza. Nel 1969 Nixon dà il via ai colloqui sulla riduzione degli armamenti nucleari e nel 1972 si reca a Mosca, dove per la prima volta un presidente americano parla in diretta televisiva al popolo russo. Nel 1973 Breznev restituisce la visita a Nixon, che è alle prese con la scia di illegalità legate allo scandalo del Watergate, con le collusioni con FBI e CIA che lo ricollegano agli attentati a Castro. La carriera emblematica di Nixon si conclude con le sue dimissioni: abbandona con fierezza la Casa Bianca salutato da ex presidenti, leader internazionali, personalità nazionali ed estere di livello.

CRITICA

Un montaggio ardito, inerpicato sui flash-back e collegato dai miracoli elettronici, non basta a snellire un percorso in fin dei conti ripetitivo, inutilmente puntiglioso, in alcuni tratti persino soporifero. Anche se meno enfatico degli ultimi titoli, Nixon è pur sempre un kolossal dedicato alla smisurata ambizione del suo artefice; convinto, come sempre, di poter catturare dei personaggi il minimo umore nascosto e, insieme, il massimo della platealità esibizionistica. Tutto il film ribatte su di una figura patetica, ossessivamente tesa più a "non perdere" che a vincere, flagellata dai complessi di colpa, pessimisticamente certa che il Potere sia un male necessario e il Sistema un indomabile "animale selvaggio" (come gli dice una hippie che presidia il Lincoln Memorial nel corso di un suggestivo faccia a faccia notturno, realmente accaduto nel corso delle proteste pacifiste nella Washington del 1970). (Il Mattino, Valerio Caprara, 21/2/96) Peccato che questo ambiziosissimo, sfaccettato, allucinato "biopic" sia anche - sotto sotto - monotono. Con tutte le sue piste, con tutti i suoi livelli di montaggio (come in Jfk Stone contamina fiction e documento, cinema e video, invenzione e realtà, ma qui se ne sente poco il bisogno), Nixon resta infatti lontano dalla "tragedia contemporanea" cui Stone fa alludere Breznev e Kissinger. E nonostante le sue dimensioni resta un colossale abbozzo. (Il Messaggero, Fabio Ferzetti, 1/4/96) Primo errore l'interprete, Anthony Hopkins. Con tutto il parrucchino e i denti finti, con tutta la bravura, Hopkins non somiglia a Nixon, non parla né si muove come Nixon, non risulta un Nixon credibile: non è questione di somiglianza fisica, ma dell'impossibilità naturale e culturale di ricreare attraverso un distinto attore inglese di scuola la volgarità piccoloborghese da politicante americano del personaggio. Secondo errore, il punto di vista. Stone fa dire a Nixon quanto i suoi critici dicevano di lui, attribuendogli un'autoanalisi spietata: "Mi odiano, mi hanno sempre odiato", "Quando gli americani guardano Kennedy si vedono come vorrebbero essere, quando guardano me si vedono come sono". Ma se Nixon avesse coltivato una simile consapevolezza di sé, se avesse avuto una tale sfiducia in se stesso e sensibilità, non sarebbe mai stato un politico arrogante, un Presidente autoritario, e neppure il vincente che fu per la maggior parte della sua vita pubblica. Primo merito del regista, aver avuto l'idea d'affrontare questo personaggio proprio adesso che circolano nella politica internazionale tanti suoi eredi o imitatori, e che i candidati del partito repubblicano sono in lotta elettorale per la Presidenza americana. Stone ne traccia un ritratto mitizzato, oscillante tra abiezione meschina, abissi nevrotici e tragicità shakespeariana, esaminandolo dal 1972 del Watergate al 1974 delle dimissioni con frequenti flash back nel passato e con fedeltà storica soltanto parziale. Secondo merito di Stone, la sua maestria registica, spuria ma innegabile. " riuscito ad animare l'inerte materia verbale, a dare all'insieme una certa dinamicità, con idee di regia, trovate, espedienti, cafonate efficaci: lampi di autentici documenti di cronaca d'epoca e di falsi documenti in bianconero, nuvole vaganti, citazioni televisive, bandiere a stelle e strisce, severe apparizioni della statua di Lincoln, immagini sovrapposte o sghembe, cori patriottici. Quanto a Nixon, era una figura talmente tragigrottesca, che neppure Oliver Stone l'esagerato arriva a fare meglio della realtà. (La Stampa, Lietta Tornabuoni, 1/4/96) Rapportati a una drammaturgia più "classica" che innovativa come quella sottesa al film, straordinari appaiono i visi rimodellati da Stone: il Nixon di Anthony Hopkins, con il groviglio di rughe sotto cui lo sguardo si spegne e chiede aiuto, e la straordinaria Pat, sua moglie (Joan Allen). Più che Nixon, l'uomo che temeva soprattutto se stesso, Oliver Stone "maltratta" gli altri capi del mondo (un pettegolo Mao, un Breznev che al modo di un sensale si frega le mani) e coloro che circondano il presidente come il perfido Kissinger (Paul Sorvino), pronto ad assecondare le "manie" (così egli le considera) di un uomo che aveva un codice ma non seppe interpretarlo. (Avvenire, Francesco Bolzoni, 19/4/96)

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