Due giorni, una notte2014

SCHEDA FILM

Due giorni, una notte

Anno: 2014 Durata: 95 Origine: BELGIO Colore: C

Genere:DRAMMATICO

Regia:Jean-Pierre Dardenne|Luc Dardenne

Specifiche tecniche:ARRI ALEXA M, DCP (1:1.85)

Tratto da:-

Produzione:JEAN-PIERRE E LUC DARDENNE, DENIS FREYD PER LES FILMS DU FLEUVE, ARCHIPEL 35, BIM DISTRIBUZIONE, EYEWORKS, FRANCE 2 CINÉMA, RTBF (TÉLÉVISION BELGE), BELGACOM

Distribuzione:BIM

ATTORI

Marion Cotillard nel ruolo di Sandra
Fabrizio Rongione nel ruolo di Manu
Pili Groyne nel ruolo di Estelle
Simon Caudry nel ruolo di Maxime
Catherine Salée nel ruolo di Juliette
Baptiste Sornin nel ruolo di Sig. Dumont
Alain Eloy nel ruolo di Willy
Myriem Akheddiou nel ruolo di Mireille
Fabienne Sciascia nel ruolo di Nadine
Timur Magomedgadzhiev nel ruolo di Timur
Hicham Slaoui nel ruolo di Hicham
Philippe Jeusette nel ruolo di Yvon
Yohan Zimmer nel ruolo di Jérôme
Christelle Cornil nel ruolo di Anne
Laurent Caron nel ruolo di Julien
Franck Laisné nel ruolo di Dominique
Serge Koto nel ruolo di Alphonse
Morgan Marinne nel ruolo di Charly
Gianni La Rocca nel ruolo di Robert
Ben Hamidou nel ruolo di Kader
Carl Jadot nel ruolo di Miguel
Olivier Gourmet nel ruolo di Jean-Marc
Sabine Raskin nel ruolo di Segretaria
Damien Trapletti nel ruolo di Receptionista Solwal
Lara Persain nel ruolo di Moglie di Willy
Rania Mellouli nel ruolo di Ragazza di Timur
Christelle Delbrouck nel ruolo di Barista
Hassiba Halabi nel ruolo di Moglie di Hicham
Marion Lory nel ruolo di Moglie di Julien
Donovan Deroulez nel ruolo di Marito di Anne
Maïdy Ankaye nel ruolo di Sorella di Alphonse
Alao Kasongo nel ruolo di Madre di Alphonse
 
 

SCENOGRAFIA

Gabriel, Igor
 

TRAMA

Con l'aiuto di suo marito, Sandra cercherà di convincere le colleghe a rinunciare ai propri bonus così che lei possa mantenere il lavoro.

CRITICA

"In «Due giorni, una notte» gli austeri fratelli belgi Dardenne due volte (ma non questa) premiati con la Palma d'oro a Cannes pedinano la protagonista, sorprendentemente affidata all'impeccabile interpretazione della diva più pagata di Francia, Marion Cotillard, nella via crucis che dura il tempo del titolo e la vede dibattersi in una dolorosa guerra tra poveri raccogliendo casa per casa fervidi slanci e bruschi dinieghi. La traiettoria del loro doppio eppure coeso obiettivo risponde come d' abitudine a una decisa presa di posizione politica, ma stavolta, facendo prevalere toni di fluidità descrittiva, compassione psicologica e condivisione umana nella trama improntata a un sobrio naturalismo, evitano che la rabbia o la protesta si sovrappongano alla logica, ai tempi, alle giunture della messinscena. Il capitalismo, insomma, come certamente noteranno gli spettatori versati alla caccia al messaggio, vi è messo sotto accusa per un caso d'estemporanea grettezza, oltre che per le ferite sociali inferte dalle disfunzioni della precarietà e non solo perché nel reparto del cinema impegnato deve considerarsi sempre e comunque «selvaggio». L'aspetto più coinvolgente, inoltre, sta nel fatto che finalmente i Dardenne concedano agli spettatori una trama e che la loro cinepresa limiti al massimo l'abituale marchio di fabbrica dei movimenti vorticanti e sfidanti. Al netto di qualche residuo sospetto d'insincerità, il meglio di «Due giorni, una notte» deve individuarsi nella lotta contro la depressione della protagonista, una lotta sempre incerta dal prologo casalingo sino al finale chapliniano su una metaforica strada aperta, che forse riuscirà, peraltro, a farle scoprire cosa voglia dire la dignità umana, come ci si debba opporre all'ingiustizia e come la sua limpida resistenza possa incidere un segno positivo sulla pelle degli altri, compresi quelli che le hanno girato le spalle." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 20 novembre 2014) "«Io cosa farei al loro posto, e cosa farei al posto di Sandra?». Questa domanda, e il desiderio di farla risuonare anche nella testa degli spettatori è la scommessa da cui sono partiti i fratelli Dardenne, Jean-Pierre e Luc per il loro nuovo film, che i registi belgi, già Palma d'oro per 'Rosetta' e 'L'enfant' definiscono come una sorta di favola moderna meno disperata di altre storie narrate in passato, perché la realtà che ci circonda, dicono, lo è già fin troppo. (...) Sandra è sullo schermo Marion Cotillard che i Dardenne hanno voluto fortemente, anzi senza la quale dicono non avrebbero girato il film, e questa è l'altra grande novità per i registi che fin qui non hanno mai lavorato come una star hollywodiana come lo è lei. Per spogliarla delle sue abitudini attortali l'hanno sottoposta a molte prove, e a una lunga preparazione che riuscisse a fondarla, occhiaie e senza trucco al loro universo, permettendole di entrare in sintonia col taglio «vero» dei loro attori - tra cui l'abituale Fabrizio Rongione, e in un cameo l'amato Olivier Gourmet. Eppure lo stridore resta, e non ci credi mai davvero in lei, nelle sue canottierine, nella frenesia dei gesti che appare fin troppo sottolineata smorzando la forza del racconto. O almeno ingabbiandolo, tanto che anche il pedinamento «ravvicinato» della macchina da presa risulta a tratti distante, o persino programmatico. E' l'Europa che cercano i Dardenne, nelle sue pieghe più sgradevoli di umiliazione quotidiana, e di assuefazione alla perdita di ogni diritto. Un tempo gli operai al padrone tracotante e al suo braccio armato li avrebbero messi con le spalle al muro, avrebbero occupato la fabbrica e bloccato tutto finché la minaccia contro uno di loro non fosse rientrata. Ma adesso non si può, la crisi finanziaria ha azzerato la resistenza, delocalizzazione, contratti a termine, la minaccia cinese, il posto di lavoro è in pericolo costante, e la lotta per sopravvivere non permette cedimenti o complicità. Come nel film precedente, Lorna, nel quale la vita resa forsennata catena di montaggio rendeva la protagonista folle, anche qui Sandra impazzisce per i modi di produzione diventando il target ideale. Farla fuori è semplice, come con tutti gli anelli deboli, migranti, donne che il complicato equilibrio familiare rende ancora più attaccabili. Siamo in una specie di Medioevo o in un nuovo incipit del capitalismo che fagocitando se stesso ha conquistato una nuota forza. II corpo venduto, massacrato dei lavoratori sotto qualsiasi forma, fabbrica o schiavitù dello sfruttamento clandestino, ultima frontiera diffusa ('Lorna'), messo sotto ricatto di un precariato che lo fa ammalare, che lo consuma coi suoi sentimenti di incertezza. Neri racconti morali dei Dardenne non c'è però mai una retorica consolatoria, e nemmeno sentimentalismi moderati; la cifra geometrica della loro narrazione ci porta subito tra le macerie anche morali di quella che è stata la coscienza di classe, e la sua composizione, nel sentimento perduto di solidarietà tra gli individui che condividono una condizione. Questi operai sono ostili tra loro, non si conoscono e non sanno nulla l'uno dell'altro. Sandra si affanna a cercarne in rete o sulle pagine gialle gli indirizzi, ne scopre i dolori, i problemi anche se piegata dal suo dramma. L' inquadratura non esce mai da qui, dal ritmo di questa ricerca seriale, gesti di ansia ripetuti all'infinito di un tempo che sembra allungarsi nella sua implosione. Intorno il paesaggio senza centro, anonimo, delle nuove periferie di cui cogliamo frammenti dal bus che porta la donna da una casa all'altra, luoghi ben congegnati per non incontrarsi, per produrre solitudine che indebolisce. Sindacati e quant'alto non si sono nel film, non se ne parla neppure, siamo nel tempo post della politica, ognuno di quei lavoratori è solo. Solidarietà. Come ritrovarla dunque finito il tempo delle grandi utopie? Resta lo spazio dell'individuo, di un frammento che può scuotere qualcosa. I Dardenne non giudicano e non fanno vittime, Sandra non lo è e non sono dei cattivi gli altri. La loro è una visione concretamente utopica, dove la solidarietà non è una dote innata ma si costruisce, da lì si può ripartire con una diversa forza resistente." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 18 novembre 2014) "Ci hanno appena certificato che i 'padroni' non esistono più; ed ecco venir fuori i fratelli Darenne, così disinformati sulla novità da mettere al centro del loro nuovo film proprio un padrone e i suoi operai, in una piccola fabbrica francese con mono di venti impiegati. II soggetto è lineare; però i cineasti belgi (...) lo svolgono con la tensione di un 'suspenser' - tanto che non è nemmeno il caso di raccontarne tutti gli sviluppi - tenendoti in allerta su come andrà a finire quasi si trattasse di un film di Hitchcock. (...) Riusciremo, abituati a trepidare per le sorti di supererai vestiti da clown che si battono contro mostri di effetti speciali, ad appassionarci alla vicenda di Sandra? C'è da augurarsi di si, perché lei è un'eroina vera. Per Sandra la rinuncia al lavoro rappresenta anche una perdita d'identità, di dignità; la fa sentire inadeguata, fino a spingerla sulla via della depressione. Nello stesso tempo, la donna comprende le ragioni dei colleghi, appesi alle sue stesse fragilità, e si sente colpevole di dover chiedere. Eppure non si arrende, per quante sofferenze le possa costare la lotta. Film dopo film, Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno portato sullo schermo un'epica proletaria (sono rimasti in pochi a farlo: Loach, Guédiguian...) piena di pudore e di forza: quella che si ricava, non meno che dalle proprie convinzioni, dallo stile. Anche qui, come nei precedenti, la figura filmica dominante è la 'semi-soggettiva': quell'inquadratura dove il personaggio, pur facendone parte, osserva e permette allo spettatore di osservare assieme a lui. Torna il pudore dei gesti, mai eccessivi o troppo sottolineati (il dramma è nelle cose) (...). Un'ottima scelta Marion mostra di poter essere una credibilissima musa proletaria, tutta pudore e orgoglio ferito ma senza un attimo di esagerazione o di esibizionismo del dolore. E se non piangete di lei, di che cosa siete mai soliti piangere?" (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 13 novembre 2014) "(...) una pellicola perfettamente calibrata che trova il suo magico centro in una Marion Cotillard di straordinaria sensibilità e naturalezza nei panni di un'operaia rimasta senza posto dopo una lunga assenza causa depressione. E' successo che nel referendum proposto dalla direzione agli operai della piccola fabbrica (sedici in tutto) hanno vinto i voti a favore di un premio di produzione di mille euro contro il licenziamento di lei. Poteva essere l'incipit di un pamphlet contro la spietatezza del capitalismo postmoderno, e certo il film sottolinea il peccato originale di chi mette i lavoratori di fronte a un dilemma di tal fatta, ma i Dardenne sono più sottili di così: e, mentre sfidano noi spettatori a porci il quesito, intrecciano i fili di una commedia umana ricca di sfumature e spessore. Sulla spinta di una collega amica che è riuscita a ottenere una nuova votazione e di un amorevole marito, Sandra ha solo due giorni per fare, superando insicurezze e fragilità emotive, la sua campagna elettorale e cambiare il verdetto. Ed è geniale che si tratti di un weekend perché seguendola nei suoi spostamenti porta a porta i Dardenne entrano nell'intimità di altre famiglie anche loro alle prese con i problemi sempre più duri del quotidiano, costruendo un composito affresco che per ambienti, vestiti, dettagli, psicologie, tristezze e allegrie ha l'inconfondibile sapore della verità. A un certo punto si sfiora la tragedia, ma il film risolve in un finale che, senza alcuna retorica, celebra la dignità dell'individuo etico, la gratificazione della vittoria interiore e la solidarietà degli affetti. Grandi Dardenne, grande Cotillard, grande film." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 13 novembre 2014) "Piacerà a chi ama la Cotillard, il cinema dei Dardenne e soprattutto la loro capacità di raccontare il mondo del la voro (senza omaggiare il politicamente corretto o fare del vetero comunista alla Ken Loach). Domanda: nell'anno 2014 bastano mille euro a trasformarti in una carogna? Risposta dei Dardenne: sì." (Giorgio Carbone, 'Libero', 13 novembre 2014) "Originale, ostinatamente ripetitivo dramma dei fratelli Dardenne, cantori della quotidianità più deprimente. (...) La dolente Marion Cotillard suona a quattordici porte. Per fortuna non era una ditta con cento dipendenti." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 13 novembre 2014) "Ci sono dei film che riempiono gli occhi, altri che soddisfano la mente. 'Deux jours, une nuit' (Due giorni, una notte) dei fratelli Dardenne riempie il cuore. Non che non abbia altre qualità, tutt'altro, ma è un film che va diritto all'emozione, anche se è ben attento a non «ricattare» mai lo spettatore. Piuttosto usa l'empatia con la protagonista per aprirti gli occhi sull'oggi e sulla realtà. (...) La grandezza dei Dardenne, come sempre autori della sceneggiatura, è quella di lasciare pochissimo spazio ai «problemi» sindacali per scavare nelle contraddizioni delle persone: solidarietà contro gratificazione finanziaria, libertà di decisione contro ricatti aziendali (il capofabbrica è una presenza lontana ma incombente), disponibilità al sacrificio contro egoismo. A reggere tutto il film, una Cotillard davvero straordinaria, capace di comunicare la tensione che la agita - non vuole «elemosine», non vuole ricattare nessuno - grazie a una forza espressiva intensissima, vera e commovente, che la candida a una Palma che finora le è sempre sfuggita." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della sera', 21 maggio 2014) "'Due giorni, una notte', cosi s'intitola il magnifico film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne arrivati dal Belgio a dire a tutta l'Europa, al mondo intero, che razza di carneficina sia diventato il mondo del lavoro votato, ancor più in tempo di crisi, al neo-liberismo senza argini, all' ossessione della performance alla concorrenza violenta fra persone egualmente ricattate, egualmente infine deboli. (...) II meccanismo del film, ipnotico, gioca sulla ripetizione dello schema incontro/domanda/risposta che ogni volta irrompe in una diversa vita, ogni volta arriva più fondo. I Dardenne dicono che hanno scelto una donna perché «è la donna oggi ad essere più fragile nel mondo del lavoro, la prima a uscirne. Dicono che è un film sulla «solidarietà, che è sempre una decisione, un atto morale, ed è ancora possibile». Sulla fine della politica che media fra gli interessi individuali in nome di quelli collettivi. È sparita dalla scena: la storia di Sandra non ha colore. E' una faccenda di anime. II lavoro ai tempi del colera." (Concita De Gregorio, 'La Repubblica', 21 maggio 2014) "E' accaduto di rado che i fratelli Dardenne, assidui frequentatori del Festival di Cannes, tornassero a casa a mani vuote e probabilmente non capiterà neppure quest'anno. Manca ancora qualche giorno alla chiusura della kermesse, ma ci sono ottime probabilità che Marion Cotillard si aggiudichi la Palma per la migliore interpretazione femminile. 'Deux jours, une nuit' (...), si regge infatti tutto sulle sue spalle, anzi, sul suo splendido viso struccato, scenario di una straordinaria gamma di emozioni e sentimenti. Il film affronta un tema di grande attualità, il dramma vissuto dai lavoratori precari, ma anche la dignità di chi non sa come pagare l'affitto e sfamare i propri figli. (...) I Dardenne la seguono per strada, alla giusta distanza (...). A dispetto di tante famiglie che si spaccano al primo impatto con le difficoltà, i Dardenne ne raccontano una che rimane salda e trova la forza di resistere proprio nel legame che la tiene stretta (...)." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 21 maggio 2014) "Il punto è la solidarietà, solo da lì può ricominciare il cammino delle vittime della crisi, stritolate non solo dalla pressione economica, ma anche dalla perdita della dignità e della fiducia in se stesse. I fratelli Dardenne arrivano al Festival e, come sempre, ipotecano il Palmares con un film asciutto e potente, perfettamente nell'aria del tempo. Se 'Deux jours, une nuit' non dovesse ottenere il premio più importante della rassegna (gli autori hanno già vinto due Palme d'oro), di sicuro la protagonista Marion Cotillard, in scena dal primo all'ultimo attimo del racconto, con il fisico esile e lo sguardo pieno di dolore, entra, con molte chances, nella rosa delle possibili premiate per la migliore interpretazione. (...) Per Cotillard, lanciatissima nel panorama hollywoodiano dopo l'Oscar per 'La vie en rose', lavorare con i Dardenne è stato come ricevere un regalo inatteso (...)." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 21 maggio 2014) "«Io cosa farei al loro posto, e cosa farei al posto di Sandra?». La domanda risuona nella testa dei fratelli Dardenne, Jean-Pierre e Luc, e col loro nuovo film, passato in gara ieri, e molto applaudito, i due registi belgi già Palma d'oro per 'Rosetta' e 'L'enfant', sperano risuoni anche in quella dei loro spettatori. (...) La loro macchina da presa la segue a distanza ravvicinata, e dalle lacrime che non riesce a trattenere entra nel Mito Europa, nelle sue pieghe più sgradevoli di sfruttamento e umiliazione quotidiani, e peggio ancora di assuefazione alla perdita di ogni diritto. (...) la crisi finanziaria ha azzerato la resistenza, delocalizzazione, contratti a termine, la minaccia cinese, il posto di lavoro è in pericolo costante, e la lotta per sopravvivere non permette cedimenti né complicità. (...) Siamo in una specie di Medioevo o, appunto, in un nuovo incipit del capitalismo, che fagocitando se stesso, è riuscito a tornare alla forza annichilente. (...) Non c'è retorica consolatoria nei racconti morali dei fratelli Dardenne, e nemmeno sentimentalismi moderati; la cifra geometrica della loro narrazione ci porta subito tra le macerie anche morali di quella che è stata la coscienza di classe, e la sua composizione, nel sentimento perduto di solidarietà tra gli individui che condividono una condizione. (...) Solidarietà. Come ritrovarla finito dunque il tempo delle grandi utopie? Resta lo spazio dell'individuo, di un frammento che può scuotere qualcosa. I Dardenne non si concedono al rimpianto - e per fortuna, non giudicano e non fanno vittime, Sandra non lo è e non sono dei cattivi gli altri. La loro è una visione concretamente utopica, dove la solidarietà non è una dote innata, si costruisce, anzi è una sfida il cui solo spazio possibile - almeno per ricominciare - appare quello singolo. È anche la sua debolezza, che forse può diventare una diversa forza. La scommessa è aperta. Quella del loro cinema anche." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 21 maggio 2014) "I cineasti militanti Luc e Jean-Pierre Dardenne arruolano la diva di Francia Marion Cotillard e portano a Cannes un film da Palma d'oro (e nel loro caso sarebbe la terza). (...) In Belgio, Stati Uniti, Italia, il mondo del lavoro è in preda all'ossessione della produzione, e impone una concorrenza violenta agli operai. Rispetto ai tempi di 'Rosetta', quindici anni fa, Il cinismo è cresciuto e la solidarietà è diventata sempre più difficile. (...) Preziosa nel film la presenza di Marion Cotillard, l'attrice francese oggi più famosa al mondo, un Oscar vinto incarnando l'icona Edith Piaf, è totalmente credibile e potentemente espressiva nel ruolo di Sandra." (Arianna Finos, 'La Repubblica', 21 maggio 2014) "(...) in 'Due giorni, una notte' la Cotillard fa un ruolo «alla Dardenne» (...). Essendo una brava attrice, oltre che una diva, la ragazza esegue il compito a puntino: ma è forte il sospetto che la sua presenza in un film dei fratelli più engagé, più impegnati del cinema belga sia più uno specchietto per le allodole che una vera necessità. (...) Lo scopo del film è raccontare una guerra fra poveri, un'astuta idea dei padroni affinché gli operai si scannino fra loro. Questa trovata narrativa, in teoria foriera di emozioni, rende il film curiosamente meccanico e ripetitivo: più e più volte, quanti sono i colleghi da contattare, Sandra ripete la stessa domanda, ottiene più o meno le stesse risposte, va a sfogarsi con il marito, si fa un pianterello, prende gli antidepressivi e passa alla scena successiva. Paradossalmente sono più interessanti i ritratti dei colleghi (...) che la parabola di Sandra: parabola che in ultima analisi non c'è, perché il personaggio è statico e il broncio della Cotillard non basta a renderlo interessante. Il problema è cinematografico: il film ha una sceneggiatura piatta, perché i Dardenne non sono sceneggiatori. Film dimenticabile, ma i fratelli sono talmente abituati ai premi che non dovremo stupirci se la giuria ci cascherà." ('L'Unità', 21 maggio 2014) "La crisi economica approda in concorso a Cannes, ma la lotta di classe, per i fratelli Dardenne che filmano insieme 'Deux jours, une nuit', non abita più qui: le classi sociali hanno smesso di esistere e la solidarietà, quando c'è, rimane un atto individuale. (...) Girato con la consueta bravura, il film non è a tesi: «niente capitalismo assassino, né, come già osservato all'inizio, la classe operaia che va in paradiso» dice Jean-Pierre Dardenne. «Un film non è un tribunale e non ci interessava nemmeno l'aspetto politico, la militanza, cose così.» Al contrario, 'Deux jours, une nuit' punta l'obiettivo sulla psicologia della sua protagonista. (...). Ciò che rende interessante 'Deux jours, une nuit' è che in fondo i suoi protagonisti sono tutti su una stessa barca (...), ci dice sulla realtà degli attuali rapporti di lavoro, sulla difficoltà a uscire dall'emergenza economica, sulla necessità di trovare nuovi ammortizzatori sociali e, insieme, morali, all'altezza della situazione, più di un trattato di economia." (Stenio Solinas, 'Il Giornale', 21 maggio 2014) "Sono per i fratelli (...) Dardenne gli applausi più convinti ascoltati finora sulla Croisette (...). Il loro nuovo film ha la leggerezza e insieme la forza di una favola, si intitola 'Due giorni, una notte' e avrebbe buone probabilità di vincere il premio più ambito se non fosse che nessuna giuria avrà mai il coraggio di assegnare un'altra Palma a chi ne ha già due in bacheca... (...) La struggente bellezza del film sta nel contrasto tra la fragilità della donna e la difficoltà mostruosa della sua impresa: con un tocco geniale i Dardenne riescono a dare forma fisica e bellezza plastica a questo contrasto facendo camminare la donna. Sandra cammina, cammina sempre, cammina per andare a cercare i colleghi ciascuno nella sua casa, cammina per tornare indietro ogni volta che ha ricevuto, in risposta, una porta sbattuta in faccia. Dopo ogni visita, l'operaia è più curva di spalle. Ogni visita è una stazione della Via Crucis. Lei è una guerriera, ma gentile, educata, delicata, fragile. Non solo: è anche unaguerrieracontrovoglia (altra intuizione straordinariadella sceneggiatura). (...). Quello dei Dardenne è un film di lotta, ma quelle che si vedono sullo schermo non sono scene di lotta di classe. Per il semplice motivo che le classi, alla fine del Novecento, si sono perse per strada. Eppure questa piccola storia personale diventa un inno alla solidarietà e, insieme, la polaroid appassionante della società contemporanea, post-ideologica,che ha registrato (accompagnato? prodotto?) lo sfarinamento di quella che una volta, appunto, si chiamava classe operaia, annegata nel particolarismo degli interessi individuali (...). I Dardenne non vanno all'attacco del capitalismo (o almeno non lo fanno lancia in resta come Michael Moore o Ken Loach), ma non per questo la loro condanna del sistema è meno efficace. Regna incontrastata la Grande Depressione, categoria economica i che diventa psicologica. (...) Regia invisibile, ma «pesantissima», sia nella scrittura sia nella direzione degli attori. La recitazione di Marion Cotillard è un ricamo, un pizzo in cui le oscillazioni - quasi impercettibili - tra ottimismo e pessimismo sono un sismografo dell'anima." (Marco Dell'Oro, 'L'Eco di Bergamo', 21 maggio 2014) "La crisi ha il volto di Marion Cotillard. Nessun glamour, solo talento: non c'è fascino e seduzione in una moglie e mamma d'oggi, tra lacrime, tormenti e l'ansia di non essere sbranata dalla povertà che bracca i non privilegiati. Sandra è una donna che i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne vorrebbero trasformare in una leva che permetta loro di sollevare la terza Palma d'oro dopo 'Rosetta' e L'enfant' (...). Rabbia, compassione, istinto mai domo alla lotta di classe, ferocia e tenerezza accompagnano la mobilissima macchina da presa dei Dardenne contro un mondo balordo e insopportabile. Certo, già visto, ma la prospettiva trasversale non ideologica imprime una dolente energia da ritratto d'epoca che non accarezza il 'mostro' spietato dell'economia allo stato brado." (Natalino Bruzzone, 'Il Secolo XIX', 21 maggio 2014)

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