Daratt - La stagione del perdono2006

SCHEDA FILM

Daratt - La stagione del perdono

Anno: 2006 Durata: 96 Origine: AUSTRIA Colore: C

Genere:COMMEDIA, DRAMMATICO

Regia:Mahamat-Saleh Haroun

Specifiche tecniche:35 MM

Tratto da:-

Produzione:CHINGUITTY FILMS, ENTRE CHIEN ET LOUP, GOI-GOI PRODUCTIONS, NEW CROWNED HOPE, VIENNA 2006, ARTE FRANCE CINEMA

Distribuzione:LUCKY RED (2007)

ATTORI

Ali Bacha Barkaï nel ruolo di Atim Ali Barkai
Youssouf Djoro nel ruolo di Nassara
Aziza Hisseine nel ruolo di Aicha, moglie di Nassara
Djibril Ibrahim nel ruolo di Moussa
Fatimé Hadje nel ruolo di Zia di Moussa
Khayar Oumar Defallah nel ruolo di Gumar Abatcha, nonno di Atim
 

MUSICHE

Diop, Wasis
 

TRAMA

Ciad. Atim, un ragazzo di quindici anni, parte armato di una pistola alla ricerca dell'assassino di suo padre, ucciso pochi mesi prima della sua nascita, nel corso della violenta guerra civile. Atim giunge a N'djména e trova l'uomo che stava cercando, Abdallah Nassara. Colui che si trova davanti, però, non ha l'aspetto di un assassino ma quello del rispettabile e onesto proprietario di una panetteria. Abdallah non sospetta le vere intenzioni di Atim e lo assume come garzone, insegnandogli giorno dopo giorno i segreti della sua arte. Tra i due nasce ben presto un rapporto profondo e l'uomo manifesta al ragazzo la sua intenzione di adottarlo...

CRITICA

"L'autore riflette soprattutto sui ragazzi, su una generazione di orfani, di soli, che dovrebbero uscire dalla prigione dei ricordi di morte. La storia d'un ragazzo che, lasciato il suo villaggio, parte alla ricerca d'un approdo: sta panettiere per il negozio della sua famiglia, deve concentrare l'atroce disordine del Ciad, mentre la ricerca d'una figura paterna vuol sostituire il padre che non c'è più, e vuole sostituire anche le autorità di governo che non ci sono più." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 25 maggio 2007) "Non crediamo che Mahamat-Saleh Haroun scrivendo la sceneggiatura di Daratt avesse in mente la preghiera cristiana del Padre Nostro. Ma le parole "dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" vengono alla mente ricomponendo i pezzi di un film che parla di pane e, soprattutto, di perdono. Ambientato nel Ciad di oggi, dove sono ancora aperte molte delle ferite provocate dalla lunga e sanguinosa guerra civile scoppiata nel 1965, Daratt, premio speciale della giuria al Festival di Venezia, descrive le lacerazioni che dilaniano il tessuto sociale del martoriato paese. (...) Con un'ambientazione minimalista, priva di ogni riferimento esotico, la regia punta su inquadrature strette che evidenziano il rapporto tra i due protagonisti, cogliendone ogni espressione ed emozione, in un gioco di silenzi e rifiuti. La panetteria diviene un'arena, luogo di un confronto quasi animalesco tra Atim e Nassara. Il ragazzo cerca giustizia, ma è vincolato alla vendetta cui lo spinge la famiglia. Nassara cerca invece redenzione, ma è incapace di chiedere perdono. La salvezza di entrambi è nelle mani di Atim, nella sua voglia di spezzare la catena di odio che offusca il desiderio di giustizia tramutandolo in vendetta. Perdonare sarà l'unica possibilità - per Atim (e per la sua generazione) - di scrivere un futuro diverso. Un futuro che passa per due spari nel vuoto, i cui suoni si perdono per sempre nel vento del deserto." (Gaetano Vallini, "L'Osservatore Romano", 26 maggio 2007) "Sposando lo splendore del vero con le suggestioni della metafora (vedi le invalidità dei due vecchi), il film si spinge fino a ribaltare i ruoli sedimentati nel nostro immaginario (il giovane è un cuore di tenebra; l'anziano, limpido e diretto malgrado le efferatezze compiute); però senza mirare al paradosso né al teorema. Prima produzione del Ciad in concorso al Lido, 'Daratt' ha anche il merito di inviare una parola di speranza e di vita dal tormentato continente africano, facendola apparire più forte di ogni odio o sete di vendetta." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 1 giugno 2007) "Calcinato dal sole del Ciad, 'Daratt' è così asciutto e insieme carico di echi mitologici, che evoca lo strazio e la speranza di un intero continente con ammirevole economia di mezzi. Di geopolitica e religione (il panettiere frequenta molto la moschea) quasi non si parla. L'essenziale sta nelle immagini, nel conflitto muto fra quei due straordinari non-attori, nei pochi tocchi sapienti con cui Haroun evoca tutto un mondo. Suggerendo con pari forza e discrezione il modo per superare 40 anni di guerra civile. Premio speciale della Giuria a Venezia. Meritatissimo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 1 giugno 2007)

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