Dangkou (Plastic City)2008

SCHEDA FILM

Dangkou (Plastic City)

Anno: 2008 Durata: 118 Origine: BRASILE Colore: C

Genere:FANTASCIENZA

Regia:Nelson Yu Lik-wai

Specifiche tecniche:DCP, (1:2:35)

Tratto da:-

Produzione:XSTREAM PICTURES, GULLANE, BITTERS END, SUNDREAM MOTION PICTURES, PARIS FILMES, ARTE FRANCE, MEDIA FACTORY INC., OZONE NETWORK CO. LTD., AND TELEIMAGE

Distribuzione:-

ATTORI

Joe Odagiri nel ruolo di Kirin
Anthony Wong nel ruolo di Yuda
Yi Huang nel ruolo di Ocho
Tainá Müller nel ruolo di Rita
Jeff Chen nel ruolo di Sig. Taiwan
Phellipe Haagensen nel ruolo di Tetsuo
Antonio Petrin nel ruolo di Coelho
Milhem Cortaz nel ruolo di Not Dead
Alexandre Borges nel ruolo di Danilo
Cláudio Jaborandy nel ruolo di Mário
 

SCENOGRAFIA

Amarante, Cássio
 

COSTUMISTA

Camargo, Cristina

TRAMA

San Paolo del Brasile. Nel quartiere di Liberdade è presente una delle più popolose comunità di immigrati asiatici. E' qui che Yuda, un malavitoso cinese, porta avanti insieme al figlio adottivo Kirin i suoi prosperosi traffici illegali che non tardano ad attirare l'interesse della mafia giapponese e, soprattutto, della polizia locale. Quando Yuda viene incastrato e arrestato, Kirin ingaggia una lotta feroce e sanguinaria per salvare l'onore e il potere di suo padre. Improvvisamente, però, Yuda cambia registro: prima chiede al figlio di interrompere l'inutile spargimento di sangue e poi scompare. Rimasto solo, Kirin cercherà di ritrovare suo padre ma soprattutto di liberarsi del suo passato e cominciare una vita nuova sfidando il proprio destino.

CRITICA

"Il terzo lungometraggio dell'autore delle luci dei film del Leone d'oro di due anni fa ' Jia Zhang Ke' ('Still Life') è un guazzabuglio estetizzante ambientato a San Paolo che racconta la caduta dell'impero dei re della contraffazione Yuda (Anthony Wong, grande duro del cinema di Hong Kong qui troppo secondario) e di suo figlio adottivo Kirin. (...) Tra tatuaggi, locali notturni, coccodrilli lanciati in piscina per incutere timore, accoltellamenti in prigione, lotte di potere tra criminali, guerre furibonde con spade riprese con la tecnica del bassorilievo in movimento alla '300' e luoghi comuni del gergo da duri dispensati con gravitas da Kirin, il film si chiude nella giungla dove comincia il Brasile e finisce questa inutile sarabanda di 118 minuti. Il problema principale è Kirin. Il film lo tratta come un messia sexy della criminalità filosofica tra Che Guevara, Jim Morrison e Clyde Barrow. All'inizio lo vediamo gettare dei soldi alla gente adorante dal tetto di un palazzo come fosse la versione rock buonista del Marchese del Grillo. Nella spietata realtà del risultato cinematografico è un insopportabile arrogantello con lo sguardo coatto e il fisico denutrito. L'attore Jô Odagiri ce la mette tutta ma è proprio difficile credere che quel tizio improbabile sia la star del sottobosco criminale di San Paolo". (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 31 agosto 2008) "Ambientata in un quartiere di San Paolo, in Brasile, la storia della caduta di un boss cinese della contraffazione e del suo figlioccio e della possibile rigenerazione - più spirituale che reale - nella giungla, mescola stili e generi finendo più per sorprendere che per convincere lo spettatore. Perché quelle scelte di stile (colori irreali, inserti fantastici, concessioni voyeuristiche) sembrano utili per sorprendere lo spettatore, ma non necessarie a esprimere una coerente idea di cinema". (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 31 agosto 2008) "Sospeso tra gangster movie e fantascienza, realtà cruda e fiction, il film non convince fino in fondo e rischia di annoiare". (Debora Danesi, 'Il Tempo', 31 agosto 2008) "I primi 40 minuti sono di puro genere, lotta per il mantenimento della supremazia sul territorio, contro la gang emergente dei taiwanesi e contro i politici ipocriti che fanno comizi contro la pirateria e poi organizzano arresti e sequestri di facciata. Ma quando il conflitto padre-figlio prende il sopravvento e la ricerca di redenzione e il misticismo sfrattano la storia, il film si perde. Resta la bellezza assoluta delle immagini, delle insegne al neon, delle strade percorse da 'meninos de rua', sciuscià, ballerine di night, gli ammazzamenti nei bagni pubblici, e in cima a strutture da fumetto". (Paola Piacenza, 'Il sole 24 ore', 31 agosto 2008) "E' un film efficace, ben fatto, in cui dal rapporto non mancano il senso dell'onore e della dignità della famiglia, benché i due protagonisti siano gangster e i gangster, si sa, sotto ogni cielo fanno le stesse cose, sono sempre simili. Peccato perché non sarebbe stato poco interessante conoscere meglio la comunità cinese in Brasile". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 31 agosto 2008) "Gomorra? Gli piacerebbe a Yu Lik Wai, regista ma anche operatore del laccatissimo compatriota Wong Kar Wai. Il delirio della sua connection cino-nippo-brasiliana è tutto esteriore, tecnico, formalista, esibizionista. Allora, imperativo numero uno per chiunque aspiri a raccontare: la trama si deve capire, la storia si deve seguire e i personaggi devono appassionare". (Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 1 settembre 2008) "Il casus è stato il film nippo-brasiliano 'Plastic City', un presunto noir sulla comunità malavitosa giapponese nel cuore della brasiliana San Paolo. Il regista hongkonghese Yu Lik Wai ha esacerbato l'uditorio, eppur abituato a cose d'ogni tipo, con un flusso caotico di immagini schizzate in quadri urbanistici esemplari quanto inutili. La sua opera prima si intitolava 'Neon Goddesses' e crediamo che il regista non sia uscito mai dal cono d'ombra di quella tonalità luminosa. Duelli digitali in cima a ceppi di cemento, tigri bianche che appaiono come divinità forestali, boss mafiosi che sembrano anche nel nome, Yuda, maestri jedi di guerre stellari". (Dario Zonta, 'L'Unità', 31 agosto 2008)

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