City of God2002

SCHEDA FILM

City of God

Anno: 2002 Durata: 130 Origine: BRASILE Colore: C

Genere:AZIONE, DRAMMATICO, POLIZIESCO, THRILLER

Regia:-

Specifiche tecniche:-

Tratto da:romanzo omonimo di Paulo Lins (Giulio Einaudi Editore)

Produzione:O2 FILMES, VIDEOFILMES, GLOBO FILMES, LUMIERE PRODUCTIONS, STUDIO CANAL, WILD BUNCH

Distribuzione:MIKADO (2003)

TRAMA

"Cidade de Deus" è un progetto di urbanizzazione realizzato negli anni '60 che, agli inizi degli anni '80 divenne uno dei posti più malfamati di Rio de Janeiro. Buscapé è troppo spaventato e sensibile per diventare un criminale, ma troppo intelligente per fare dei lavoretti mal pagati. Cresce in questo posto violento dove ogni cosa è contro di lui, ma scopre di poter vedere la realtà in maniera diversa: dal punto di vista di un artista. Diventerà fotografo e questa è la sua redenzione.

CRITICA

"Che cosa succede se il Sud del mondo ruba al Nord le tecniche narrative più sofisticate, le immagini più nuove, gli effetti di montaggio più azzardati e vertiginosi, travasandovi dentro tutto ciò che costituisce il paradossale 'tesoro' dei Paesi poveri - violenza, degrado, barbarie e una calda, disperata, brulicante umanità? Succede che nascono film come il messicano 'Amores perros'. O come questo 'City of God' del brasiliano Fernando Meirelles, uno degli eventi della stagione per la spregiudicatezza, la fedeltà, la libertà con cui affresca l'epopea criminale di Cidade de Deus, una delle favelas più infami e pericolose di Rio de Janeiro. Un mondo a parte con la sua fauna, le sue leggi, il suo selvaggio ma ferreo ordinamento sociale. (...) C'è dietro un vasto e notevole romanzo di Paulo Lins, che a Cidade de Deus è nato e fornisce una massa impressionante di informazioni su quel microcosmo brutale. Ma a questo racconto già traboccante di sottotrame, Meirelles aggiunge la costruzione a incastro di 'Pulp Fiction' (e di 'Amores Perros'). Andando continuamente su e giù nel tempo, riagganciandosi a sorpresa a una scena di venti minuti (e dieci anni) prima per rivelare come andò davvero, chi uccise chi e perché. A rischio di (an)estetizzare la violenza, moltiplicandone il fascino. Ma con un impeto, un'urgenza, un'irriverenza travolgente e contagiosa che cercheremmo invano in un anno di cinema Usa". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 9 maggio 2003) "La fama di questo film ha fatto il giro del mondo come vanto della coraggiosa esistenza di un giovane cinema brasiliano. Ma un'inchiesta o un documentario sarebbero stati più efficace di questa kermesse di violenza e corruzione che la fiction finisce per glorificare. O, quantomeno, rendere pittoresca". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 10 maggio 2003) "Montaggio vorticoso a ritmo di Bossanova, affresco corale di giovani vite bruciate, legge del più forte in cattedra, amicizie, tradimenti, le gang di Rio de Janeiro che subiscono il destino convinte di addentarlo. L'opera di Fernando Mereilles è risultata gradita a tutti tranne che agli abitanti del sobborgo in questione. Che hanno rilanciato il consueto dilemma: documento efficace o compiaciuta vetrina di vita violenta? Denuncia o supermercato?". (Alessio Guzzano, 'City', 22 maggio 2003) "Il regista dice che nel quartiere si balla sempre, si ascolta musica, si lasciano porte e finestre aperte; che la povertà è assoluta ma la gente è anche felice, a meno che non lavori come narcotrafficante assediato dalla paura di morire. Fernando Meirelles non giudica l'epopea criminale, la guarda e la racconta; il suo stile, accusato d'un eccesso di glamour dato che prima di dirigere questo film ha lavorato molto nella pubblicità, è invece intenso, travolgente. E 'City of God' appartiene a quella nuova ondata del cinema dell'America Latina (Brasile, Argentina, anche Colombia) che potrebbe rappresentare una rinascita importante". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 12 maggio 2003) "E' istruttivo, utile, morale in film come 'City of God', che parla dei ragazzi perduti senza collare ma con pistole nelle favelas del diavolo alle porte di Rio. (...) Non è un racconto digestivo né perfetto questo girato con lo split screen da Fernando Meirelles, ed ha anche qualche compiacimento nell'osservare il peggio e nell'analizzare quella misura diabolica che è la povertà unita alla droga, senza retorica di salvezza od illusione. Abituati alla visione edulcorata e turistica del Brasile di Oba Oba e del Carnevale, questo film scoppia come una bomba". (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 17 maggio 2003) "Il verismo calcolato e 'hollywoodiano' di un regista che viene dalla pubblicità non toglie nulla a questa operazione che mostra, in una sorta di 'C'era una volta in Brasile', la vita ordinaria di un inferno in terra". (Paola Piacenza, 'Io Donna', 24 maggio 2003)

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