Capitalism: A Love Story2009

SCHEDA FILM

Capitalism: A Love Story

Anno: 2009 Durata: 119 Origine: USA Colore: C

Genere:DOCUMENTARIO

Regia:Michael Moore

Specifiche tecniche:DCP

Tratto da:-

Produzione:MICHAEL E ANNE MOORE, ROD BIRLESON E JOHN HARDESTY PER DOG EAT DOG FILMS, OVERTURE FILMS

Distribuzione:MIKADO - DVD: DOLMEN HOME VIDEO (2010)

ATTORI

Michael Moore nel ruolo di Se stesso
 

SOGGETTO

Moore, Michael
 

SCENEGGIATORE

Moore, Michael
 

MUSICHE

Gibbs, Jeff

TRAMA

Sullo sfondo del passaggio di consegne tra l'entrante amministrazione del neoeletto Barack Obama e quella uscente dell'ex presidente Bush, il documentario mostra le conseguenze provocate negli Stati Uniti dalla crisi economica mondiale e le responsabilità delle Corporazioni nel disagio provocato nelle esistenze non solo dei cittadini americani ma anhe nel resto del mondo.

CRITICA

"Un conto è leggere dei numeri, un conto è vedere le facce sperdute, incredule, delle vittime di questo disastro, come ce le mostra con rabbia dolorosa e gentile ironia, l'atteso documentario di Michael Moore, 'Capitalism: A Love Story', che in due ore esilaranti e angosciose ci dà anche una breve lezione di come gli Stati Uniti abbiano costruito una sapiente propaganda sin dagli anni '50, l'epoca d'oro del paradiso americano, per convincere il popolo che il capitalismo conta più della democrazia." (Natalia Aspesi, 'La Repubblica', 06 settembre 2009) "Moore è un buon documentarista cinematografico. Non ci vuole molto, oggi, negli Stati Uniti e altrove, per esserlo, con le tv che distolgono l'attenzione del pubblico da ciò che conta. Vedere il suo film alla Mostra farà pensare alle anime belle che il sistema possa arginare i suoi difetti, permettendo che li si denunci con una certa eco. Ma diceva Solgenitsin: 'Si può dire tutto? Ma solo perché ormai non serve a niente'." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 06 settembre 2009) "Morale: il 99 % degli abitanti Usa ha sempre di meno, l'1 % ha sempre di più. Però l'America è anche il paese in cui un Michael Moore può progettare, realizzare e domani far uscire un film come questo. Difficile immaginare qualcosa di così esplicito e aggressivo in Europa e soprattutto in Italia, almeno di questi tempi. Il tono sarà colorito, le argomentazioni semplificatorie ('Dovevo farmi capire dalla massa degli americani, che non sanno nemmeno dove siano l'Iraq o l'Italia sulla cartina'). Ma di film così vorremmo vederne di più. Finché ci saranno cinema per programmarli." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 07 settembre 2009) "Non dite a Citto Maselli che negli Usa stanno facendo la rivoluzione senza di lui."(Maria Rosa Mancuso, 'Il Foglio', 08 settembre 2009) "'Capitalism: A Love Story' non è un film riuscito. Anzi, rispetto alla notoria verve del discusso incursore con la macchina da presa Michael Moore, segna quasi uno scacco: confusionario, slegato, approssimativo, il documentario inteso a denunciare le malefatte del potere finanziario americano sconta soprattutto la sua ciclopica ingenuità. Che pure definiamo, senza temere il paradosso, americana al cento per cento. Si potrebbe, infatti, tirare in ballo l'abitudine del corpulento Michael di manipolare a piacimento gli spezzoni di filmati preesistenti, i dati statistici o le interviste condotte in prima persona a mò di marchio di fabbrica; ma non è questo il punto: l'approccio alla scottante materia - si badi bene giustificatissimo - è risultato troppo complesso, intricato e contraddittorio per il suo limitato talento analitico. Il difettaccio che salta subito agli occhi, per esempio, è che il film procede per oltre due terzi saltabeccando qua e là, inseguendo riferimenti inessenziali, debordando in qualche bonaria tirata demagogica e qualche scoop in stile «tv del dolore» prima di arrivare al nocciolo del tema prefissato." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 07 settembre 2009). "Il nuovo lavoro di Michael Moore 'Capitalism: A Love Story' è interessantissimo. Di stupido c'è soltanto il titolo: il film tenta senza superficialità né battutismo, pacatamente, di informare gli spettatori sui precedenti storici della crisi globale, sulle sue ragioni, sulle forme presenti assunte. La crisi preceduta da infinite crisi minori, dice Moore, ha le sue radici nel capitalismo stesso: in quella minima percentuale che possiede la ricchezza nazionale mentre la grande maggioranza possiede soltanto debiti; nelle leggi e regole studiate a favore dell'élite e contro il popolo; negli andamenti della Borsa, folle casino. Il film prodotto dalla società 'Cane Mangia Cane' comincia con un compunto annunciatore che avvisa di tener lontani i bambini e le persone impressionabili; finisce con la speranzosa vittoria politica del presidente Obama; si nutre di esempi minuziosi ed efficaci, con i lavoratori disoccupati ridotti alla disperazione e i lavoratori occupati costretti a un secondo lavoro (cameriere di bar, a esempio) perché troppo sottopagati." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 07 settembre 2009) "Con 'Capitalism: A Love Story', dopo vent'anni di film sulle contraddizioni della società e della cultura americana, Moore cerca di farsi un'idea del sistema e dei suoi errori davanti alla bancarotta nazionale. In apertura, un montaggio parallelo confronta la decadenza dell'età romana di bighe, vestali e lussureggianti ozi con l'inarrestabile cumulo di ricchezza e potere della élite finanziaria e politica, mentre una panoramica dall'elicottero delle case di New Orleans sommerse dall'uragano Katrina chiude il film con un titolo: 'America oggi'. Come sempre un po' apocalittico e segnato dalla demagogia come scelta cosciente di figura retorica, Moore ci porta a spasso per due ore nelle 'cose incredibili' che, forse, qui in Europa non succedono. Per ora, almeno." (Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale', 07 settembre 2009) "Moore, questa volta lavora in maniera differente. Conscio che l' argomento scelto non sia dei più accattivanti - smontare il mito del capitalismo che nemmeno la recente crisi sembra aver incrinato - si muove su due piani: da una parte fa «controinformazione» rivelando azioni e comportamenti poco noti, dall' altra attacca con le armi dell' ironia e del sarcasmo gli eccessi più macroscopici della finanza. Senza dimenticare di mostrare anche qualche storia a lieto fine, come l'occupazione di una fabbrica di porte e finestre dove gli operai hanno ottenuto la solidarietà di Obama ma anche i soldi che spettavano loro. Rispetto ai film passati c'è un uso più acuto dell'ironia e un populismo più ruspante ma anche più efficace. Come quando si presenta alle banche con un sacchetto per riavere, a nome dei contribuenti, i milioni di dollari elargiti da Bush in modi poco chiari. Oppure quando circonda la Borsa con il nastro giallo che serve alla polizia per delimitare i luoghi dei crimini. E l'utilizzo dello spezzone in cui Roosevelt, dalla Casa Bianca, spiega agli americani il suo ideale di società democratica è un vero colpo da maestro del cinema di montaggio. E un promemoria non scontato a chi continua a confondere capitalismo e democrazia." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 07 settembre 2009)

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