Bloody Sunday2002

SCHEDA FILM

Bloody Sunday

Anno: 2002 Durata: 107 Origine: GRAN BRETAGNA Colore: C

Genere:DOCUFICTION, DRAMMATICO

Regia:-

Specifiche tecniche:16 MM, SUPER 16 GONFIATO A 35 MM (1:1.85)

Tratto da:tratto dal libro "Eyewitness Bloody Sunday" di Don Mullan ( basato su testimonianze oculari)

Produzione:CHANNEL FOUR FILMS, GRANADA TELEVISION, HELL'S KITCHEN FILMS

Distribuzione:MIKADO

TRAMA

In Irlanda del Nord, il 30 gennaio 1972, a Londonderry tredici persone muoiono e quattordici sono ferite dai colpi sparati da soldati inglesi su cittadini inermi che manifestavano contro il decreto del governo inglese che autorizzava gli arresti preventivi. Quel giorno, passato alla storia come la "Bloody Sunday" (Domenica di sangue), segna l'inizio della guerra civile armata in Irlanda del Nord. Gli avvenimenti della giornata sono ricostruiti con minuzia di particolari intorno ai quattro personaggi principali: Ivan Cooper, protestante, che lotta per i diritti civili dei cattolici e segue le idee pacifiste di Martin Luther King; Gerry Donaghy un diciassettenne cattolico che vuole metter su famiglia con la sua ragazza protestante ma si trova coinvolto nella protesta nelle strade; il generale di brigata Patrick Maclellan, comandante delle truppe di intervento inglesi e, infine, un giovane soldato inglese radiofonista che si trova ad operare nel gruppo di paracadutisti veterani.

CRITICA

"La regia di 'Bloody Sunday' è - efficacemente - tradizionale. Paul Greengrass, forte di una lunga esperienza come giornalista e documentarista, ha scelto di girarlo con lo stile visivo di un reportage, catapultando lo spettatore nel centro dell'azione fin dalle primissime scene (...) Solo in un caso Greengrass si permette un vezzo cinefilo, quasi a ricordarci che siamo al cinema, non nella realtà. Quando inquadra l'insegna di una sala dove si proietta 'Domenica, maledetta domenica', di John Schlesinger. Titolo originale 'Sunday, Bloody Sunday', quasi lo stesso del suo film". (Roberto Nepoti, 'La Repubblica', 9 febbraio 2002) "La domenica di sangue del 30 gennaio 1972 (...) è rimasta negli annali per la stupidità e l'insensatezza della repressione (...) Ora un giovane regista inglese ci fa su un film straordinariamente finto scena per scena, che imita scena per scena un eventuale reportage televisivo odierno, momento per momento sui luoghi dell'azione. Naturalmente c'è una sceneggiatura, prevedibile e convenzionale e furbetta, e un messaggio da senno del poi e da rimorso furbetto dell'etablishment culturale inglese per quella vicenda. Ma il film deve sembrare come se fosse girato oggi e dal vero, come un reportage sul G8 a Genova, e qui sta lo scandalo e la sua insopportabilità, inaccettabilità. Perché se un reportage così su Genova, e ce ne sono già mille, ché quasi tutti, come è ormai uso, sono andati a Genova con una videocamera, può essere magari voyeuristico come quelli dei vecchi tromboni del nostro cinema impegnato, questa riproduzione finta di una realtà vera, tutta addosso a chi si mena e si ammazza, con la recita che si finge vera della morte e del lutto, sa piuttosto di pornografia. E della peggiore." (Goffredo Fofi, 'Panorama', 16 maggio 2002) "'Bloody Sunday', Orso d'oro a Berlino, è la secca e circostanziata rievocazione della strage del 30 gennaio 1972, quando i parà inglesi spararono a sangue freddo su una manifestazione per i diritti civili guidata dal protestante e pacifista Ivan Cooper. Bilancio: 13 morti e 14 feriti, in gran parte ragazzi. E ufficialmente nessun colpevole. Stile documentario, foto livida, nessuna retorica. Un pugno in faccia per chi quel giorno, dice Cooper nel film, 'uccise i diritti civili e fece un regalo all'Ira'. Modello dichiarato è 'La battaglia d'Algeri' di Pontecorvo. Ma senza epica, col disincanto e l'amarezza che la distanza storica autorizza". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 3 maggio 2002) "Gran film, vincitore dell'Orso d'oro all'ultimo Festival di Berlino, forte, dinamico, appassionato, che rievoca in altissimo stile documentaristico un episodio cruciale del conflitto anglo-irlandese". (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 3 maggio 2002)

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