Sognare ? vivere2015

SCHEDA FILM

Sognare è vivere

Anno: 2015 Durata: 98 Origine: USA Colore: C

Genere:BIOGRAFICO, DRAMMATICO

Regia:Natalie Portman

Specifiche tecniche:ARRI ALEXA, DCP

Tratto da:autobiografia "Una storia di amore e di tenebra" di Amos Oz (ed. Feltrinelli)

Produzione:RAM BERGMAN, DAVID MANDIL PER MOVIEPLUS PRODUCTIONS, VOLTAGE PICTURES

Distribuzione:ALTRE STORIE (2017)

ATTORI

Natalie Portman nel ruolo di Fania Oz
Gilad Kahana nel ruolo di Arieh
Amir Tessler nel ruolo di Amos bambino
Yonatan Shiray nel ruolo di Amos a 16 anni
Alexander Peleg nel ruolo di Amos adulto
Makram Khoury nel ruolo di Halawani
Neta Riskin
Shira Haas
 

SOGGETTO

Oz, Amos
 

SCENEGGIATORE

Portman, Natalie
 
 

SCENOGRAFIA

Sawat, Arad
 

COSTUMISTA

Alembik, Li

TRAMA

Sullo sfondo degli anni di fine mandato britannico della Palestina e la nascita dello Stato d'Israele, Amos Oz cresce a Gerusalemme con il padre accademico Arieh e la madre Fania, scrittrice e giornalista. Gli Oz sono una delle tante famiglie ebraiche trasferitesi in Palestina dall'Europa durante gli anni Trenta e Quaranta per sfuggire alle persecuzioni razziali. Arieh è cautamente fiducioso per il futuro; Fania, invece, vuole molto di più. Ben presto, infatti, la noia della vita quotidiana inizia a pesare drammaticamente sullo spirito della donna, imprigionata in un matrimonio infelice e intellettualmente soffocata. Per distrarre se stessa e far divertire il piccolo Amos, Fania inizia così ad inventare storie avventurose e a introdurre il figlio al mondo della poesia e della parola. Tuttavia, disillusa e tradita nelle proprie aspettative, Fania diventerà sempre più malinconica e solitaria fino a scivolare nel buio della depressione. Incapace di aiutarla, Amos dovrà dirle addio prematuramente e affrontare da solo l'inizio di un nuovo capitolo della sua esistenza nel neonato Stato d'Israele.

CRITICA

"Non convince poi il debutto dietro la macchina da presa della 33enne attrice Nathalie Portman. (...) I difetti del film sono forse quelli che contraddistinguono la maggior parte delle opere prime: la voglia di raccontare troppe cose senza essere ancora padroni del linguaggio, la smania di dimostrare la propria autorialità con sequenze troppo ambiziose che finiscono per allentare la tensione e portare il racconto fuori strada. Invece è ben delineato il rapporto di amore e complicità madre-figlio, e il ruolo fondamentale della madre nell'avviare alla scrittura il ragazzo grazie ai suoi appassionanti racconti. Ma tutto resta in superficie e non rende giustizia alla complessità del romanzo e alla statura dello scrittore." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 16 maggio 2015) "(...) girato con la passione dell'esordiente alle prese con il nodo centrale della propria esistenza. (...) un film fatto per guardare dentro se stessa, per saldare il conto con quelle radici che la vita girovaga e il mestiere d'attrice non le hanno mai fatto dimenticare (...). Ambientato a Gerusalemme, dove Portman è nata, il film è in lingua ebraica, una scelta rigorosa, che non favorisce le vendite internazionali ma custodisce al meglio l'essenza del racconto (...). Film importante per il libro su cui si fonda e per l'attrice che lo dirige (...)." (Fulvia Caprara, 'La Stampa', 16 maggio 2015) "(...) il film tenta di riassumere le dense ramificazioni narrative e psicologiche in un ordito cinematografico in grado di restituire il senso di malinconia che promana dall'esplicita dichiarazione d'amore dello scrittore per il suo paese. Purtroppo, però, mentre la stessa Portman risulta all'altezza nel ruolo della madre sognatrice Fania, la qualità di Oz appare via via sempre più appiattita nel tono e lo stile dei melodrammi impegnati e all'uopo sterilizzati che piacciono tanto a coloro a cui non piace il cinema. Il rapporto della protagonista con il piccolo Amos, basato sul racconto di storie d'avventure e viaggi inventati, è reso con forte immedesimazione, ma l'insieme sconta la tipica overdose di stereotipi che caratterizzagli esordienti smaniosi di dimostrare la propria artisticità." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 8 giugno 2017) "Quando, come l'attrice Natalie Portman, si sceglie di esordire nella regia con un libro del peso specifico di 'Una storia di amore e di tenebra', si corrono bei rischi. (...) Senza pretendere di condensare un testo così denso e affascinante, la Portman ha impresso un preciso taglio narrativo al copione, concentrandosi sulla relazione madre-figlio e incarnando senza narcisismi divistici questo malinconico ruolo di donna sullo scivolo della morte nella cornice di una Gerusalemme d'epoca, nel cruciale quinquennio 1945-1953. Evidente la sincera adesione alla materia della neocineasta israeliana, tuttavia il pur decoroso film risulta come ingabbiato, e più illustrativo che emozionante." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 8 giugno 2017) "(...) un progetto a lungo perseguito dalla Portman che per anni ha lavorato alla sceneggiatura e alla ricerca dei finanziamenti necessari con il preciso intento di girarlo in Israele e in lingua ebraica. Solo che un'attrice magnifica e una donna di intelligenza superiore, impegnata in infinite cause umanitarie, ha purtroppo sottovalutato il compito che si era voluta affidare. Scrivere, dirigere, interpretare e coprodurre un film è stato troppo, così il risultato è piuttosto sfilacciato, la drammaturgia scricchiola e alla fine nonostante le buone intenzioni il film risulta deludente." (Antonello Catacchio, 'Il Manifesto', 8 giugno 2017) "La sottolineatura, fedelmente riprodotta dal libro al film quadrilingue, appartiene a una cultura che fa dell'etimologia il proprio movente primigenio. Tra le migliori intuizioni della pellicola si rilevano infatti i momenti in cui a prendere il sopravvento è il peso pregnante della parola, da cui tutto parte e a cui tutto torna, e dentro la quale si individua uno dei territori semantici centrali tanto del libro quanto del film: la città di Gerusalemme, dove la famiglia di Amos abitava e la Portman ha realmente girato il suo esordio in regia. Essa diventa sinonimo di tenebra e di lutto in quanto ripetutamente 'distrutta, ricostruita, distrutta e di nuovo ricostruita': in tal senso l'antica Sion tradisce la missione ontologica alla propria genesi, traducendosi in sterilità. (...) L'attrice/regista premio Oscar non trascura la suggestione, virando in scure scale cromatiche il 90% del suo film, almeno laddove Gerusalemme è il luogo (meta)fisico della narrazione. Il suo controcampo, per quel poco concesso alle immagini, è Tel Aviv, sinonimo di luce, vitalità e fertilità. (...) Se la struttura si mimetizza al libro intervallando il racconto di Oz anziano al presente della narrazione e a ulteriori 'flashback' (suggellati da improbabili rallenty...), il registro alto e solenne si ammanta di uno stile forse eccessivamente sobrio e austero, tale da maturare non pochi momenti di pesantezza drammaturgica. Purtroppo dal punto di vista dello spettatore la noia si impone spesso, annebbiando la sincerità di un film a tratti più punitivo che dolente." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 8 giugno 2017) "Spiacerà a molti ammiratori di Natalie Portman che come attrice non li ha mai delusi. Ma come regista mostra imprevisti difetti. Il principale è che è noiosa, non sa raccontare. Maneggia una storia bellissima, ma non riesce mai a farla decollare. E nemmeno come direttrice d'attori fa meraviglie (tutti mediocri tranne lei, Natalie)." (Giorgio Carbone, 'Libero', 8 giugno 2017) "(...) tenebra trasposizione dove la Natalie Portman, attrice, sovrasta, in lungo e in largo, la sua lacunosa versione da regista esordiente, con velleitarie pretese autoriali e abuso del rallentatore." (Maurizio Acerbi, 'Il Giornale', 8 giugno 2017) "Nonostante il piccolo Oz sia inquadrato nel contesto di un paese che cambia (...) e combatte (...), il centro della pellicola è più il mondo interiore di una madre sognatrice, malinconica (...) e sempre più depressa. La interpreta una Portman (...) la quale soffoca leggermente il film. E Amos? Un piccolo adulto (bravo Amir Tessler), protagonista di una scena magistrale a una festa con coetanei arabi dove la rottura di un'altalena assume significati apocalittici. Brava Portman. Non era facile esordire così." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 16 giugno 2017)

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