NEWS a cura di Cinematografo.it

Giovanni Veronesi e Sergio Rubini

18 dicembre 2014

Le “Lezioni di Cinema” di Veronesi e Rubini

Parlare della settima arte a teatro: è la scommessa (vinta) di due autentici mattatori, sul set e sul palco

Tutto ciò che odia della comicità e tutto ciò che ama della recitazione. Questo racconta Giovanni Veronesi durante le sue "Lezioni di Cinema", per le quali ha scelto come aula itinerante il palcoscenico dei teatri italiani, di fronte ad un pubblico in carne ed ossa con il quale un regista cinematografico raramente si confronta. L'idea di questo format "cineteatrale", infatti, nasce proprio da qui. Dal desiderio di Veronesi di «instaurare un rapporto con la gente e dare finalmente un volto alla massa informe che va a vedere i film». Il regista toscano, autore di manuali d'amore e libretti d'istruzione per genitori e figli, mogli e mariti, amici e amanti, ci spiega così la scintilla che ha acceso la sua nuova avventura didattica. Stanco ma soddisfatto, nei camerini del Teatro Garibaldi di Enna, al termine del suo spettacolo in cui ha coinvolto l'amico di sempre Sergio Rubini. Che seduto nel camerino di fianco, cappello di lana in testa per affrontare la nebbia gelida di Enna, ci racconta perché si è lasciato coinvolgere nel progetto di Veronesi. «Mi piace molto l'idea. Giovanni è sempre un po' polemico con il teatro, lo guarda con sospetto ma poi ci fa l'amore. È un regista che ama gli attori e quelli che ama di più arrivano proprio da qui». Lezioni di Cinema, dunque. In Teatro. «Uno spettacolo più che sperimentale – così lo definisce lo stesso Veronesi, appena entrato in scena – anzi una confessione libera attraverso cui raccontare il Cinema agli spettatori da dietro le quinte, comprese le sofferenze che noi registi patiamo per anni durante la lavorazione di un film, tanto che alla fine siamo così coinvolti che ci sembra sempre di fare cose più importanti di quello che sono». L'ironia arguta, sincera e pungente di Veronesi riempie il teatro con aneddoti, filmati, curiosità e retroscena divertenti che non risparmiano nessuno, attori e produttori in cima alla lista. Abitanti eccentrici del mondo del cinema, di cui il regista per primo fa parte amandolo senza remore e in cui vive «da trent'anni come fosse Cartoonia. Il mondo del cinema non è abitato da esseri umani ma da cartoni animati! Anche gli attori, cosa fanno tutto il giorno quando non recitano? Per me, al di fuori dal set, non esistono!» Gli attori. Un capitolo fondamentale della Lezione di Veronesi. «Roba fragile, cristalli da maneggiare con cura, cui a volte piace pure essere maltratti un po'». Ci sono gli attori di teatro, «i tromboni che recitano con il diaframma, muscolo che odio e che leverei ai bambini insieme alle tonsille», quelli che all'improvviso per fare una scena «cercano "il momento privato" per raccogliere l'ispirazione e magari si perdono nel buco nero di un classico "vuoto di memoria" o si fermano in posizione da crampo e guardano nel vuoto l'infinito». E poi ci sono gli attori bravi, quelli che «meno fanno, più sono convincenti», quelli che «ti fanno la scena esattamente come la faresti tu se facessi l'attore invece che il regista». Uno come Sergio Rubini, insomma. Che tiene banco durante la Lezione raccontando gli esilaranti retroscena della sua crocifissione sul set de La passione di Cristo di Mel Gibson al fianco di James Caviezel. E che subito dopo rapisce il pubblico leggendo, luci soffuse e buio in sala, un testo di Matteo Salvatore per sottolineare come «per affrontare il futuro sia sempre bene ricordare da dove veniamo». Risate, chiacchiere in libertà. Proiezioni che spaziano da Verdone a De Niro, da Spielberg a Sergio Leone. E riflessioni che, sulle note della colonna sonora de Il postino, atterrano nel meravigliosamente ineguagliabile universo del grande Massimo Troisi. «Un genio che se ne è andato via troppo presto. Partiva da un sassolino e creava una valanga. Credo che chiunque abbia scelto la strada dell'artista dovrebbe fermarsi ogni giorno per rendere cinque minuti di omaggio a Massimo Troisi. Un faro che ci ha illuminati con la sua malinconia, necessaria al comico per fare ridere e suscitare tenerezza». Se l'amico Sergio Rubini è tutto ciò che Veronesi ama della recitazione e l'amico Ernesto Fioretti (alla cui vera vita il regista si è ispirato per L'ultima ruota del carro) si presta a rappresentare tutto ciò che Veronesi odia della comicità "da barzelletta", Massimo Troisi è tutta la poesia di cui spesso sente la mancanza chi del cinema è mero spettatore. Quella stessa poesia che, un po' nostalgica e un po' beffarda, si intravede per le strade di Enna, a fine spettacolo, mentre le due sagome di Veronesi e Rubini si dissolvono in lontananza nella nebbia. Inquadratura ideale per la parola "fine". Almeno fino alla successiva tappa al Teatro Biondo di Palermo, in trio con Rocco Papaleo. E in attesa di tornare ai rispettivi lavori di scrittura. Per una serie televisiva sulla mafia dei primi del Novecento a New York, Giovanni Veronesi, che di quell'epoca è un vero appassionato. E per un nuovo film da regista su una coppia che scoppia, Sergio Rubini, che con i toni della commedia umana catapulterà Fabrizio Bentivoglio e Margherita Buy in un tragicomico Weekend da paura.

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