NEWS a cura di Cinematografo.it

Frederick Wiseman

29 agosto 2014

Il guardiano della democrazia

Leone d'Oro alla Carriera, Frederick Wiseman ha liberato il documentario dalla gabbia del reportage per trasformarlo in gesto politico

Per presentarlo non servono roboanti giri di parole. Il più grande documentarista vivente. Frederick Wiseman, 84enne regista di Cambridge, premiato alla Mostra di Venezia con il premio alla carriera (assieme alla grandissima montatrice Thelma Schoonmaker), è semplicemente un uomo che ha cambiato il concetto stesso di documentario, rendendolo un fatto politico oltre che estetico.Attivo dal '63 come produttore (The Cool World di Shirley Clarke) e dal '67 come regista con il seminale Titicut Folies, Wiseman ha tolto al documentario la consolidata patina di naturalismo, inchiesta o reportage per renderlo un mezzo di conoscenza al servizio della democrazia, in un senso tutto americano, e nobilissimo, di intendere il giornalismo, la comunicazione e l'arte. Wiseman, senza raccontare in modo esplicito, senza costruire narrazioni a priori, entra nelle istituzioni, riprende la vita e il lavoro quotidiano, cerca e trova persone e situazioni che servono per riflettere sullo statuto democratico dell'America prima e delle realtà in giro per il mondo poi, dagli ospedali – psichiatrici (Titicut Folies) e non (Hospital) – ai centri per la violenza domestica (Domestic Violence I e II), dalle centrali di polizia (Law & Order) agli uffici della previdenza sociale (Welfare) per arrivare negli ultimi a scoprire il lavoro e il senso politico anche nello sport, in Boxing Gym, e nell'arte, in La danse o in Crazy Horse.O nell'ultimo, al solito bellissimo, National Museum, presentato allo scorso Festival di Cannes, in cui ha raccontato, durante 30 pomeriggi di riprese, l'attività, il funzionamento e le questioni politiche e culturali dietro e dentro il più importante museo pubblico del mondo, raccontato – come sempre nel cinema di Wiseman – come istituzione da svelare e comprendere. "Gestire un museo – ci ha raccontato il regista durante un incontro proprio a Cannes – è una questione economica e politica e come tale volevo raccontarla: il National Museum è un'istituzione pubblica ed era giusta secondo me mostrare, oltre ai tour e all'amore con cui vengono presentate e mostrate le opere d'arte esposte, anche le questioni che ne sono alla base, per informare i cittadini che sono i proprietari del museo. Non interferisco ovviamente nei dibattiti e nelle discussioni, ma le mostro, e mi piacerebbe anche che gli stessi cittadini potessero, attraverso il film, partecipare. Cambiare, modernizzarsi rischiando di perdere l'identità o restare fedeli a se stessi ma immobili? E' una domanda fondamentale per la cultura contemporanea, che il museo si pone e che io ho voluto raccontare".Il film conferma il cambio di rotta di Wiseman verso una riflessione sullo spettacolo e l'arte che non esuli ovviamente dall'attenzione che ha sempre avuto per i meccanismi decisionali dei vari contesti: "Ma non è una scelta voluta, è semplicemente una questione di opportunità: sono molte le realtà che voglio esplorare e mi butto dove posso girare il film. Sono ancora molto curioso, nonostante l'età e un po' di stanchezza".

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