NEWS a cura di Cinematografo.it

Disoccupato in affitto

04 maggio 2012

Reportage disoccupazione

Una "videoinchiesta anarchica, un'ironica provocazione", dice Luca Merloni. Che arriva in sala con il viaggio alla ricerca di un impiego di Pietro Mereu

Disoccupato in affitto è stato realizzato nell'estate del 2010, ma riporta ancora una verità attuale, la situazione non è cambiata, ancora oggi i dati della disoccupazione sono sempre più preoccupanti". E' la riflessione amara del regista Luca Merloni a proposito del documentario che ha girato insieme a Pietro Mereu che uscirà venerdì 11 maggio con Distribuzione indipendente (in tutta Italia nelle sale dei circoli d'essai affiliate e on demand su www.ownair.it). Disoccupato in affitto, con la colonna sonora del cantautore romano The Niro - impegnato ora con le musiche di Mr. America di Leonardo Ferrari Carissimi e Maria Asuncion di Alessandro Valori e Francesco Colangelo - e le vignette del tassista-disegnatore Cesare Corda con i testi del papà di Nathan Never Bepi Vigna, è una "videoinchiesta anarchica" di 75 minuti, "un'ironica provocazione". Il viaggio alla ricerca di un impiego di Pietro Mereu, sardo di 38 anni, ex impiegato in una società di distribuzione di Roma che si è messo un cartello al collo con la scritta "Disoccupato in affitto" e per un mese ha vagabondato tra Roma, Milano, Napoli, Firenze, Genova, Cagliari, Bologna, Verona e Lecce. Amici e vicini di casa, Luca Merloni e Pietro Mereu si sono ispirati alla vicenda di un ventiquattrenne inglese laureato in storia che nel 2009 ha trovato lavoro grazie all'incontro fortunato con il manager di una multinazionale mentre girava le strade di Londra indossando lo stesso cartello. Ma i loro incontri nella penisola sono andati diversamente. "Mi ha fatto impressione – racconta il filmaker - vedere come la realtà sia ingannevole: vedi uomini in giro per Roma in giacca e cravatta e pensi che lavorino, invece stanno cercando lavoro anche loro". Dallle immagini emerge in modo inequivocabile la percezione della situazione politica e sociale italiana attraverso la reazione dei passanti, incuriositi da questo strano uomo-sandwich, come spiega Pietro Mereu: "si sono aperti molto perché ispiravamo fiducia e non rappresentavamo nessuna televisione o istituzione, anche se abbiamo notato una certa abitudine a rispondere ad una telecamera". Da parte loro, però, non è mancato un certo riguardo per i luoghi con i quali si confrontavano: "la telecamera era visibile – dice Luca Merloni - ma l'ho tenuta sempre bassa volutamente per non essere troppo invasivo. Cercavamo di stare il meno possibile nella stessa città, massimo due giorni, per non creare il fenomeno ed evitare l'assalto di gente che voleva essere intervistata. Siamo stati fermati solo un paio di volte dai Carabinieri e dalla Polizia, ma quando tiravo fuori l'articolo 21 della Costituzione (libertà di stampa, espressione e informazione, ndr) si sistemava tutto".Sempre più spesso si parla di film autoprodotti o finanziati attraverso il crowdfundig e questo è uno dei tanti: Mereu e Merloni hanno usato i loro risparmi e un piccolo aiuto della Provincia di Ogliastra, Sardegna, ma il budget è finito prima che raggiungessero la decima città a causa di un guasto alla macchina: "è stata la situazione più difficile – dichiara Mereu – il danno era di 700 euro, poi per fortuna un imprenditore sardo che conosco ci ha accompagnati nelle ultime tappe".Tornati a Roma, hanno provato a vendere il docu-film, "doveva essere un format tv, La7 e Giorgio Gori erano interessati all'inizio, ma il tema era troppo scottante e poco televisivo. Poi c'è stata un'offerta ridicola di Giovanni Minoli per fare del film una rubrica fissa del suo programma, ma abbiamo rifiutato".Una perplessità è inevitabile in tempi di "bunga-bunga" e "gare di Burlesque", cosa ne sarebbe stato di questo progetto se a "mettersi in affitto" fosse stata una donna? "Avrebbe attirato più battute – rispondono in coro i due colleghi - e reazioni di cattivo gusto, il risultato non sarebbe stato lo stesso, un altro tipo di comunicazione, come Il corpo delle donne (di Lorella Zanardo), un'esposizione diversa e una protesta differente".

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