NEWS a cura di Cinematografo.it

Cesare deve morire

29 febbraio 2012

Date a Cesare quel che è dei detenuti

"Nei loro occhi, la memoria drammatica, il passato colpevole", dicono i Taviani. Che dopo l'Orso d'Oro portano in sala Shakespeare a Rebibbia

"Siamo andati a Rebibbia, e siamo rimasti fulminati. C'era un detenuto che leggeva l'Inferno di Dante: "Noi lo comprendiamo fino in fondo l'amore di Paolo e Francesca, non voi". Poi l'ha declamato, con suoni nuovi, strani, e così noi abbiamo fatto con Shakespeare: deformato dal napoletano e siciliano, i detenuti ce l'hanno fatto riscoprire". Così Paolo e Vittorio Taviani presentano Cesare deve morire, fresco reduce dall'Orso d'Oro della 62esima Berlinale e dal 2 marzo in sala con la Sacher Distribuzione di Nanni Moretti. Non un docu-film – "espressione orribile", dice Paolo – ma "un'opera cinematografica su una delle più grandi emozioni che abbiamo provato negli ultimi anni", ovvero la rappresentazione del Giulio Cesare di Shakespeare nel teatro del carcere di Rebibbia, messa in scena dal regista Fabio Cavalli, direttore artistico del Centro Studi Enrico Maria Salerno e interpretato dai detenuti, tra cui Fabio Rizzuto (Stratone), Giovanni Arcuri (Cesare) e Salvatore Striano (Bruto), che libero con l'indulto del 2006 ha già recitato in Gomorra. Con lui e gli altri, dice Vittorio, "il rapporto è stato di complicità, come sempre succede quando si cerca una scheggia di verità attraverso un'opera. Come nel testo di Shakespeare, là dentro sono quasi tutti "uomini d'onore" e nella loro quotidianità di detenuti non sono estranei a quei sentimenti: nei loro occhi, nel loro agire e reagire, portavano una memoria drammatica, un passato colpevole, che li ha resi bravi attori in maniera diversa  dal solito. In loro, l'umanità si aggiunge al talento". E, aggiunge Paolo, "è vero, si sono macchiati di omicidi e colpe, ma sono e restano uomini".Anche per questo, è arrivato l'Orso d'oro: "Una vittoria di questo film, non del cinema italiano", precisa Moretti, mentre Paolo ricorda "il tavolo con su gli orsetti, finché solo soletto è rimasto quello d'oro, il nostro. Oggi ci fermano, ci telefonano: "Grazie per l'Italia". Ed è il sogno del cambiamento". Sulla stessa lunghezza d'onda, anche il ministro dei Beni culturali Ornaghi, che s'è complimentato coi Taviani per la vittoria a Berlino di Cesare deve morire, che ci "aiuta nel cambiamento": "Gli abbiamo risposto che ora serve un cambiamento di rotta del ministero per il cinema: Ornaghi s'è detto d'accordo, sebbene "i soldi son quelli che sono"". Nel film non è entrata una folgorante battuta suggerita dall'esperienza di un detenuto, "quando recito mi sembra di potermi perdonare", viceversa, l'opera si conclude con "dopo l'arte, questa cella mi sembra una prigione", pronunciata per davvero dall'interprete di Cassio, Cosimo Rega: "L'ha detta – osserva Striano – perché ora, grazie al teatro, sa dove si trova, la sua è una presa di coscienza. Per questo, invito a mandare dei libri al carcere di Reggio Calabria, che ne è drammaticamente sprovvisto".

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