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Tutti a Rapporto - Foto Pietro Coccia

26 maggio 2011

Cinema a Rapporto

"Sempre più industria, nonostante precarietà e crisi", dice il presidente FEdS Dario E. Viganò. Che presenta il report 2010 sullo stato dell'arte in Italia

"Nonostante la precarietà lavorativa che ancora caratterizza il sistema, il Rapporto 2010 ci consegna l'immagine di un'industria profondamente vitale, nonostante il periodo economicamente difficile, con ottimi risultati al botteghino. Particolarmente rilevante, il ruolo che il privato sta assumendo negli ultimi anni, a confermare che il cinema italiano è sempre più un'industria capace di dare ritorni e risultati convincenti".Così Dario E. Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, ha presentato oggi all'Università Luiss di Roma il Rapporto 2010. Il Mercato e l'Industria del Cinema in Italia, realizzato da FEdS in collaborazione con Cinecittà Luce e il sostegno della DG Cinema del Mibac. Giunto alla sua terza edizione, il Report fotografa il complesso e variegato mondo del cinema italiano, dal punto di vista della produzione, del lavoro, del successo al botteghino e delle prospettive future, con un risultato di salute e vitalità: l'Italia è oggi il secondo produttore europeo (dopo la Francia) e il settimo al mondo (dopo India, Stati Uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e, appunto, Francia). Uno stato dell'arte che ci consegna una teroia di dati interessanti: 141 i film prodotti in Italia nel 2010, uno dei traguardi più elevati degli ultimi 30 anni, dopo i 154 del 2008 e i 163 del 1980; record assoluto di investimenti privati italiani - 276,9 milioni di euro nel 2010, il 65,3% delle risorse totali – mentre continua a calare il sostegno del Fus: -19,5% rispetto al 2009. Se nel 2003 le risorse pubbliche erano il 35,7% del totale, oggi toccano appena l'11%, mentre il  48% dei film italiani fa ormai ricorso al product placamento. Sul fronte occupazionale, poi, solo il 21% del totale degli addetti impegnati nel cinema ha un contratto a tempo indeterminato e, specularmente, l'universo delle imprese appare decisamente frastagliato: solo l'1,9% ha un fatturato superiore a 5 milioni, mentre la maggioranza (il 42,5%) va dai 5mila ai 250mila euro.Interamente consultabile anche su www.cineconomy.it, si snoda attraverso sei capitoli dedicati alle diverse anime del cinema italiano: la mappa delle aziende e la composizione societaria, la comunità professionale alle prese con un mercato flessibile e frammentario, i business futuri legati alla digitalizzazione delle sale, il ruolo sempre più marginale del contributo pubblico e i tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo.Dopo il saluto di apertura del Direttore del Centre for Media and Communication Studies "Massimo Baldini" della Luiss, Michele Sorice, sono intervenuti, tra gli altri, il Direttore Generale del MiBac Nicola Borrelli, l'ad di Cinecittà Luce Luciano Sovena, l'ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco e il presidente di Anica, Riccardo Tozzi, nonché il curatore scientifico del Rapporto Redento Mori.Per Paolo Protti, presidente dell'Agis, "il ruolo della sala nel mercato è primario. Il suo 30% di ricavo è fondamentale per il restante 70. A tal proposito, il reintegro del Fus è un punto di partenza: non assistenzialismo, servono incentivi e certezze". Da parte sua il DG Cinema Borrelli parla di compiacimento per bilancio 2010, che ci ripaga dei periodi difficili. Il Fus oggettivamente si è ridotto, ma con l'apporto delle agevolazioni fiscali il contributo statale nel 2010 si è attestato sui 135 milioni di euro, e più o meno sarà così anche nel 2011. E' diminuito l'apporto diretto dello Stato, ma le agevolazioni fiscali hanno più che compensato questo decremento. L'intervento dello Stato è 1 a 5 rispetto a quello francese, 1 a 3 con i tedeschi: ce la battiamo con gli austriaci, ma in posizione di sfavore, e loro hanno 6 milioni di abitanti".Un respiro di sollievo condiviso anche da Sovena di Cinecittà Luce: "Sono stati quattro anni vissuti pericolosamente, noi avevamo due piedi nella fossa, e ne siamo usciti grazie all'appoggio trasversale di cinema e politica. Noi lavoriamo con le opere prime e seconde: i finanziamenti sono necessari. Ma qualcosa è cambiato: Anica e Cinecittà Luce insieme a Cannes; un ministro molto presente, al posto del precedente disinteresse; sinergia tra Cinecittà Luce e Rai Cinema per le opere prime e seconde".Elogi al Rapporto vengono anche da Tozzi: "Un inedito e significativo passo avanti nella ricerca". Ma qual è lo stato dell'arte? "Alla fine degli anni '90, il cinema italiano aveva una quota di mercato del 12%: ci si è ribellati all'idea di morire con vergogna, ed è consolante per il Paese, che anche al cinema ribadisce di essere migliore della propria classe dirigente. Passando dal riconoscimento delle nostre colpe, dal 12 siamo arrivati al 50% di quota di mercato, e a fine 2011 ci assesteremo al 40-45%. Ma questa fetta non può essere ulteriormente ingrandita, indi dobbiamo allargare la torta: noi abbiamo 3200 sale, la Francia 6mila, inoltre, perdiamo le sale urbane e gli spettatori, dai 115mila del 2009 ai 100mila con cui chiuderemo il 2011".Qual è la ricetta del neopresidente Anica? "Dobbiamo:produrre più film e rilanciare il circuito urbano, con l'intervento di Regioni e comuni", prosegue Tozzi, sottolineando come si debba "puntare su digitale e satellite per ricostruire le sale dei piccoli centri e riportare il cinema in tv, facendo capire come possa essere un autentico sostegno per la televisione generalista, e non solo". Ultima parola a Del Brocco: "Ci sono 23 milioni di italiani che non vanno mai al cinema, a causa delle sale e del modello di fruizione del prodotto, ma le recenti difficoltà hanno dato lo sprint al nostro cinema: l'evasione del canone Rai è stimabile in 600 milioni di euro e colpisce anche l'industria, perché di questi 18-20 milioni andrebbero al cinema".

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