NEWS a cura di Cinematografo.it

Lee Chang-dong

30 marzo 2011

Cinema in versi

"Un film sulla poesia della vita", dice Lee Chang-dong di Poetry, premiato a Cannes per la sceneggiatura. Da venerdì in sala, stasera a Firenze

"La poesia sta morendo". Quello di Lee Chang-dong è un grido d'allarme appena sussurrato, ma scuote. Proprio come il suo film, Poetry - premio alla sceneggiatura all'ultimo Festival di Cannes, da venerdì 1 aprile in 30 sale con Tucker Film e stasera a Firenze, evento speciale del Florence Korea Film Festival - delicata tessitura d'immagini dalla quale affiora tutta la bellezza e tutto l'orrore di cui la vita è capace: un'anziana sudcoreana di 66 anni, Mija (Yun Junghee), si mette in testa che è arrivato il momento di scrivere in versi, tanto da frequentare un corso per aspiranti poeti; la sua ricerca di parole nuove coincide però con la lenta ma inesorabile perdita delle vecchie, che svaniscono inghiottite dall'Alzheimer. Questo non scoraggia la signora, cui basta un fiore, un albero, il cinguettio degli uccelli per riconciliarsi col mondo e assaporarne lo splendore. Ma l'ispirazione arriverà solo quando Mija conoscerà anche le sue brutture: una ragazzina delle scuole medie si è suicidata dopo aver subito per mesi le violenze di un gruppo di coetanei, di cui faceva parte anche il nipote che Mija sta crescendo da sola: "Questo tipo di violenze - dice il regista di Oasis - accadono dappertutto e sono il frutto di una distanza crescente tra le generazioni. La nonna guarda il nipote e si chiede cosa possa mai passare per la sua testa. E la stessa cosa succede non di rado a me, con mio figlio".Non è solo un problema di generazioni divise, ma anche di generi: "Casi di violenza come questi, non nascondiamoci, sono dovuti perlopiù agli uomini. Vedo il genere femminile come più sensibile e capace di cogliere la bellezza". La stessa che definisce, secondo Chang-dong, la lirica nascosta della vita: "La poesia di cui si parla nel film - spiega - non è solo nei versi, ma è soprattutto quella invisibile delle cose. Tutto il film è costruito sul non detto, ogni cosa viene lasciata sospesa, abbandonata al suo enigma: chiedo allo spettatore d'intervenire direttamente riempiendo le caselle vuote del racconto". Infine una confessione personale: "Anch'io prima di fare questo mestiere mi sono cimentato con la scrittura. Accadeva all'inizio degli anni '80 quando nel mio paese c'era un regime militare e la vita era molto difficile. Mi sono sempre chiesto a cosa potessero servire le parole in una realtà diventata sorda. Il dubbio mi è rimasto". Parafrasando un vecchio adagio di Dostoevskij, la bellezza salverà il mondo? Chang-dong non risponde, ma spera. E che almeno il cinema salvi la poesia.

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