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Kodi Smit-McPhee e Chloe Moretz in <i>Let Me In</i>

31 ottobre 2010

Legami di sangue

"Straordinaria lettura sull'orrore dell'adolescenza", dice Matt Reeves. Che presenta il remake Let Me In e confida: "I ricordi dell'infanzia mi uniscono a Lindqvist"

"Il romanzo di John Ajvide Lindqvist e il successivo film di Tomas Alfredson raccontano l'orrore dell'adolescenza in maniera straordinaria: per realizzare il remake di Lasciami entrare ho provato in alcuni momenti a riproporre alcune situazioni 'scena per scena', ricontestualizzando il testo di partenza anche sulla base dei miei ricordi di adolescente nell'America degli anni '80". Così Matt Reeves, già regista di Cloverfield, traccia il filo che unisce il suo Let Me In, oggi Fuori Concorso al Festival e nelle sale italiane da febbraio con Filmauro, all'originale fenomeno svedese datato 2008, incentrato sul particolare rapporto d'amicizia tra un dodicenne isolato e vittima di bullismo e una dolce coetanea, in realtà vampiro assetato di sangue, qui interpretati da Kodi Smit-McPhee (The Road) e Chloe Moretz (500 giorni insieme): "Dovevamo trovare interpreti bravi almeno quanto quelli del film svedese - dice ancora Reeves - e riuscire a non tradire la struttura del racconto di partenza, veramente fantastico, che mi lega a Lindqvist per quello che riguarda il riaffiorare di memorie legate alla mia infanzia e che in più di un'occasione mi ha riportato alla mente atmosfere e suggestioni tipiche dei lavori di Stephen King. Arrivato nelle sale USA con la benedizione dello stesso scrittore ("Non solo un film horror, ma il miglior horror americano degli ultimi 20 anni"), Let Me In (primo titolo della gloriosa Hammer Films inglese ad uscire dopo oltre 30 anni di inattività) è ambientato in una piccola città tra le montagne del New Mexico, nel 1983, in piena guerra fredda e al terzo anno della presidenza Reagan: "All'inizio del film ho voluto inserire il discorso di Reagan sul cosidetto 'Impero del male', con il quale il Presidente disse al paese che il male era qualcosa che proveniva dall'esterno, alludendo ovviamente ai sovietici, perché volevo metterlo in contrapposizione con l'elemento portante del romanzo, ovvero l'impossibilità di individuare in maniera così netta il bene dal male", racconta il regista. Che spiega: "Il ragazzino protagonista, Owen, è schivo e vittima di ripetuti episodi di bullismo, nel libro si insiste anche molto sulla conseguente ossessione nei confronti di questi bulli e allora mi sono chiesto quali sarebbero potuti essere gli scenari per un bambino del genere in un paese dove il Presidente parlava di concetti come bene e male in maniera tanto semplicistica: in fondo il film prova a concentrarsi proprio su quel delicato momento di passaggio tra l'innocenza e la scoperta, in quell'età del contrasto tra luce e tenebre".Caratterizzato dal freddo di una neve perenne e dal buio di crepuscoli apparentemente eterni, Let Me In è interpretato anche da Richard Jenkins, nei panni del padre della giovane Abby: "Il personaggio di Jenkins fa cose terrificanti - racconta ancora il regista - e all'inizio non possiamo che provare repulsione nei suoi confronti. Poi però, e qui non ho potuto non pensare al Delitto perfetto di Hitchcock, dopo aver capito che lui è costretto ad uccidere tutte quelle persone per procurare il sangue necessario alla ragazza-vampiro, ci ritroviamo quasi a fare il tifo per lui quando, scoperto, tenta di fuggire a bordo dell'auto di quella che doveva essere la sua nuova vittima".Amico fraterno di J.J. Abrams (produttore del suo precedente Cloverfield), Matt Reeves rivela di aver incassato i complimenti del collega e svela: "Il suo nuovo film, Super 8, con Steven Spielberg produttore, prende le mosse dalle nostre esperienze di ragazzini, quando realizzavamo i nostri primi lavori proprio in quel formato... Ma non ditelo troppo in giro, altrimenti J.J. mi uccide!".

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