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19 ottobre 2009

Attenti al lupo cinese

a cura di Cinematografo.it

"La politica nel mio film? Nel mio paese non se ne può parlare", dice Zhuangzhuang. Fuori concorso a Roma con l'epica fantasy di The Warrior and the Wolf

"Un film inedito per me, dal respiro più ampio e dallo stile diverso. Ma come per i precedenti, la cosa veramente interessante sono i caratteri e le reazioni in grado di suscitare nel pubblico di altre culture". Così Zhuangzhuang, mirabile esponente della cinematografia cinese nata all'indomani della rivoluzione culturale, già a Roma nel 2006 con The Go Master (in concorso) e ora fuori competizione con l'epico fanta-melò The Warrior and the Wolf, "un film tratto da un romanzo giapponese incentrato sui temi del destino, delle forme di esistenza primordiali e delle relazioni umane". Una storia ricca di elementi leggendari e di riferimenti storici, ambientata duemila anni fa, all'epoca dell'impero cinese e delle sue lotte intestine contro le tribù locali. Lu - interpretato dall'attore di Katsuhiro Otomo, Joe Odagiri - è un pastore che si converte all'arte della guerra col tramite del generala Zhang (Tou Chung-Hua) che gli offre amicizia e precetti. "Da non violento a comandante in capo delle truppe" il passo è breve, e conduce Lu dritto tra le braccia di una vedova (Maggie Q) appartenente agli Harran, una tribù maledetta presso la quale trova ospitalità l'esercito in ritirata. Sugli Hurran grava una maledizione che colpisce i membri del gruppo e gli stranieri con i quali entrano in relazione: se si accoppiano vengono trasformati in lupi. Proprio quello che accade a Lu e signora. "Mi piace l'intreccio di superstizioni, storia e leggenda. - confessa Zhuangzhuang - Quanto più andiamo indietro nel tempo, tanto più siamo incapaci di raccontarne i dettagli. Dobbiamo allora stimolare la fantasia e reinventarci il passato". Anche a costo di complicare la narrazione, che in certi momenti sembra sfugglirgli di mano. Ma "anche l'aspetto visivo ha la sua importanza - protesta il regista - . Quando studiavo cinema, io e i miei compagni vedevamo molte pellicole straniere di contrabbando: arrivavano i film del Neorealismo e della Nouvelle Vague, ma senza i sottotitoli. Così dovevamo soffermarci esclusivamente sulle immagini, un apprendistato che mi ha segnato". E sull'assenza di violenza nel film ribadisce un vecchio concetto: "Non amo Hong Kong e il suo cinema cruento. E poi c'è la censura che impedisce di girarle certe scene". La stessa censura che impedisce di vedere i chiari riferimenti politici del film?"Non sono poi così chiari. Certo c'è un impero che cerca di sottomettere le minoranze, ma questo avviene da sempre e dappertutto. Comunque mi fa piacere parlarne, nel mio paese non sarebbe possibile".

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