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Il regista Ermanno Olmi

28 aprile 2009

Olmi chiama Terra

a cura di Cinematografo.it

"Un segnale d'allarme", dice il regista. Tra elogio della biodiversità e inconfessabili aporie, la Madre di tutti i doc

"Quando si parla di crisi tutti pensano a quella finanziaria, ma la più grave è quella alimentare", ammoniva a Berlino il giurato, scrittore, Henning Mankell. L'occasione? Terra Madre, l'unico titolo italiano in rassegna (dall'8 maggio in sala con BIM), diretto da Ermanno Olmi, classe 1931, Palma d'Oro a Cannes (L'albero degli zoccoli) e doppio Leone d'Oro a Venezia (La leggenda del Santo Bevitore e quello alla carriera all'ultima Mostra). Prodotto da Slow Food, Cineteca di Bologna e ITC Movie (Beppe Caschetto) con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, anima e corpo del documentario sono i contadini di tutto il mondo, riuniti a Torino – primo incontro nel 2006, secondo a ottobre 2008, 150 Paesi rappresentati, 10mila presenze – al Forum di Terra Madre promosso da Slow Food di Carlin Petrini: "Spogliandomi di pregiudizi e bugie, con cui oggi ci sommergono i media, ho chiesto loro quale sia lo stato di salute del nostro pianeta», dice Olmi, che con il mondo rurale ha antica (L'albero degli zoccoli) e profonda (Il segreto del bosco vecchio) affinità. La risposta? "Chi lavora la terra è in ansia, e avrebbe tutto il diritto di alzare la voce e battere i pugni contro gli scempi e gli imbrogli dell'industria alimentare. La classe dirigente non ha compreso quanto la terra sia un valore indispensabile per la salute di ogni uomo, piuttosto che opportunità di profitto per alcuni. La differenza tra alimenti naturali e industriali è sotto gli occhi di tutti: obesità, diabete, altre gravi malattie iniziano a colpirci sin dall'infanzia. Terra Madre è un segnale d'allarme". All'insegna della biodiversità, con "uomini e donne che nelle loro terre resistono strenuamente a una politica di sfruttamento devastante dei suoli fertili: una testimonianza eroica di leale alleanza con la natura", che il documentario circoscrive con i versi delle Georgiche di Virgilio lette nell'incipit da Omero Antonutti e le note finali di una vecchia canzone di Adriano Cementano, Un albero di 30 piani. In mezzo, lo schermo accoglie speranze e disforie nel rapporto uomo-natura - dall'arcipelago ghiacciato delle Svalbard, dove è stata creata la Banca Mondiale dei Semi, allo sterminio delle api avvelenate dai pesticidi – grazie anche al contributo fondamentale dei ragazzi di Ipotesi Cinema, la "scuola" fondata dallo stesso Olmi, che con sette troupe leggere hanno ripreso in digitale i vari momenti del Forum torinese, e di due "inviati speciali", amici e collaboratori di lungo corso del regista bergamasco: Maurizio Zaccaro, che nell'ottobre 2008 si è recato a Dehradun, regione di Uttaranchal nell'India settentrionale, per seguire la raccolta di riso nella fattoria di Vandana Shiva, a capo della commissione internazionale per l'alimentazione, dove sono custoditi i semi tramandati di generazione in generazione, e Franco Piavoli, in viaggio a Quarto d'Altino, frazione di Roncade in provincia di Treviso, dove un manipolo di esperti (economisti, storici e nutrizionisti) ha visitato la casa, anzi il rudere, di un contadino che nel suo appezzamento non ha mai usato antiparassitari e ha vissuto per 40 anni in totale simbiosi con le stagioni, morendo in uno degli ultimi, rigidi, inverni. Exemplum occidentale in rapida estinzione, perché – attacca Olmi – "si sta facendo della civiltà tecnologica un utilizzo sconsiderato. Per questo, ad avere migliori condizioni di terreno e indi a stare bene sono i Paesi meno sviluppati, mentre in Occidente la fertilità è stata rimpiazzata dalla chimica". Fin qui tutto bene, anzi male, ma neppure la nobile esortazione di Olmi è esente da aporie e (in)confessabili debolezze, quale una certa agiografia dei contadini: ecologicamente intesi senza se e senza ma, come non sempre, grazie a Dio, sono. La situazione, non solo italiana, è più grave e una volta tanto pure seria – Flaiano se ne dispiacerebbe… - perché questo documentario bucolico, spirituale e filantropico possa smuovere qualche zolla, senza il necessario sostegno della politica, in colpevole fuoricampo. Rimangono la poesia di Olmi e dei sodali di Ipotesi Cinema, i volti dei contadini "che si assomigliano in tutto il mondo", gli "armatevi e partite" di Petrini e un interrogativo inamovibile, come condivisibilmente espresso da Davide Turrini su Liberazione: "Basteranno Celentano (…), Olmi e Diavoli a rimirare le api con una focale lunga come in Microcosmos e Petrini con gli ottimi prodotti slow food a costi proibitivi, per invertire il trend internazionale del totale disinteresse per la difesa dell'agricoltura tradizionale?". Se una volta per fare un tavolo ci voleva un fiore, oggi per fare eco-politica non ci vuole (solo) un film…

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