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<i>Nient'altro che noi</i>

15 aprile 2009

Nient'altro che la scuola

a cura di Cinematografo.it

"Nessuno punisce i ragazzi", dice Antonucci. Che racconta il fenomeno del bullismo e accusa le istituzioni

Dalla cronaca al grande schermo, la scuola non smette di far discutere di sé e dei suoi problemi sempre nuovi ma eterni, come quello del bullismo. Venerdì uscirà nelle sale per Elite Group International il film Nient'altro che noi, diretto da Angelo Antonucci e interpretato da Francesca Rettondini, da Philippe Leroy e da un gruppetto di adolescenti veraci (quasi tutti non professionisti) scelti attraverso un annuncio on-line. "Nel 2007 un ragazzo, uno studente modello, si è tolto la vita perché oppresso dai compagni di classe. La rabbia provata allora mi ha spinto a scrivere questa storia, in cui o messo molto della mia biografia e dei miei ricordi del liceo", ha spiegato il regista, che con un trama e uno stile piuttosto elementari, ha voluto portare in scena il dramma diffuso degli studenti vessati dai coetanei all'interno delle mure scolastiche. "Non bisogna però dimenticare che le vittime sono sempre due: anche il bullo subisce la situazione familiare e sociale in cui è costretto a vivere", ci tiene a precisare l'autore, che nel film tira in ballo non solo i rapporti giovanili ma anche l'inerzia dei genitori e delle strutture educative. "C'è uno svuotamento del potere istituzionale: né gli insegnanti né le famiglie si prendono la responsabilità di punire certi comportamenti e i ragazzi si sentono liberi di agire come vogliono", specifica l'attore Claudio Botosso, nel film padre (assente e cocainomane) del teppistello di turno. Difficile dunque attribuire colpe e lanciare accuse nei confronti di un problema diffuso e, forse, neanche troppo recente. "Una volta si parlava di nonnismo; oggi il fenomeno è uscito dall'ambito militare ed è stato messo in luce dalle nuove tecnologie", prima di tutto internet e telefonini, a cui però, assicura il regista, "non biogna attribuire sempre una valenza negativa". Come si vede nel film, "i blog servono a confessarsi pubblicamente", mentre i video girati col cellulare possono trasformarsi "da mezzo di aggressione a mezzo di denuncia". Una piccola stoccata, quella di Antonucci, alle "compagnie telefoniche che non sono volute entrare a far parte dei tanti privati che hanno sponsorizzato il film col product placement", ma anche un suggerimento per porre argine al fenomeno. "Molti ragazzi che hanno già visto il film nei propri istituti, dopo le proiezioni hanno dichiarato di aver vissuto episodi simili, ma solo in pochi trovano il coraggio di denunciare quanto gli accade ogni giorno fuori e dentro la scuola".

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