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Kasia Smutniak:<br/><i>Tutta colpa di Giuda</i>

31 marzo 2009

Kasia della libertà

a cura di Cinematografo.it

"Mi sentivo più sicura lì dentro che fuori", rivela la Smutniak. In carcere per Tutta colpa di Giuda

"Nessuna sceneggiatura, Davide me ne ha parlato, e io… "Beh, ci sto!"". Così Kasia Smutniak ha accettato il ruolo di protagonista in Tutta colpa di Giuda, la commedia musical-carceraria di Ferrario, in uscita venerdì 3 aprile con Warner Bros. Classe 1979, figlia di un generale dell'aviazione polacca, chiamata (gli spot Tim) dal cinema italiano a diventare il volto più interessante della nuova generazione, la Smutniak - a cui la Rivista del Cinematografo in edicola dedica la copertina - non vuole sottrarsi alle "prigioni" di Ferrario, nonostante avrebbe i numeri per farlo – protagonista al fianco di Travolta e Rhys Meyers dell'action prodotto da Luc Besson From Paris with Love, "attrice sfigata" nel britannico Goal! III con Beckham e "30enne senza idee" nello Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, in predicato per Venezia. Com'è nata la tua regista teatrale? Ce lo siamo inventati con Davide al parco: "Facciamo che è serba?" Ok. "Che si chiama Irena?" Ok. Due giorni prima del ciak, mi ha chiesto: "Ma se suonasse la fisarmonica?". Non l'avevo mai fatto… Esperienza unica… Sono pignola e rompiscatole, ma mi piace lavorare in libertà: qui non era recitare, ma vivere. Davide mi buttava in mezzo, e la troupe girava di nascosto con la Genesis, la stessa digitale usata da Gibson in Apocalypto. Non era un set, ma l'interno di un carcere, con crew ridotta all'osso e zero camerini. Primo impatto? Lascio tutto fuori, si aprono enormi porte d'acciaio, sono finalmente dentro a Le Vallette, tranquilla. Mi vengono incontro due ragazzi enormi, con le facce tutto un programma: mi faccio sempre più piccola, "Oddio, oddio…". Mi dicono "Buongiorno", e se ne vanno per i fatti loro. Mi sono sentita stupida... E poi? Dopo un mese, li conoscevo tutti per nome, mi sentivo più sicura dentro che fuori. Ma non posso parlare della situazione carceraria in Italia: ho visto solo un carcere, anzi un blocco di un carcere, un gruppo di ragazzi agevolati per buona condotta, con celle singole e cucina. Pensavamo di entrare lì dentro e fare del bene, ma alla fine ci siamo sentiti un po' degli intrusi: per noi era un film di due mesi, per loro la vita uguale oggi, domani, tra un anno, tra venti… Sono uscita confusa: il carcere mi sembra il purgatorio, tempo in attesa, dove non diventi né più buono né più cattivo. Dopo Nelle tue mani di Peter Del Monte, un altro ruolo scomodo? Ogni volta ti metti in gioco: interpretare personaggi che non ti assomigliano è la cosa più bella di questo lavoro. Se portassi sullo schermo quel che sono davvero, che cosa potrei dare, che cosa imparerei? La sfida è trovare qualcosa di interessante. Ancor più per una donna? Sono pochi i registi che sanno raccontare le donne al di fuori dei cliché: la signora perbene, la ragazza drogata, le teenager yéyé. Per Nelle tue mani, ho dato carta bianca a Peter, regista geniale, che esplora le donne con estrema disinvoltura. Viceversa, nella fiction Il Commissario De Luca di Antonio Frazzi, altro grande regista, ho fatto un'enorme fatica a vestire i panni di una dark lady anni '30, bella e seducente… Il tuo idolo Moretti in Caos calmo, Del Monte, Ferrario, ora con chi vorresti lavorare? Dal primo film, adoro Matteo Garrone - ma lo sa... - e poi Saverio Costanzo: mi piacciono i registi che giocano tra realtà e finzione per rendere la verità. Nel cinema italiano troppo spesso ci sono solo battute, pause, e ancora pause: ma nella vita nessuno parla così. Problema d'attori… Il limite dell'attore è che è attore: la cosa più difficile è ricercare quel che eravamo prima di diventarlo.

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