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Il regista con Huang Yi,<br/>Tainá  Müller e Bonassi

30 agosto 2008

Un Brasile di plastica

a cura di Cinematografo.it

"Volevo raccontare la Cina fuori dalla Cina", dice Lik-Wai. In Concorso a Venezia con Plastic City

"Noi cinesi dobbiamo far conoscere il nostro cinema. Siamo membri di un Paese emergente che la società internazionale ancora non conosce". Così Nelson Yu Lik-Wai che, dopo una carriera passata al fianco di di Jia Zhang Ke (è stato direttore della fotografia di numerosi film del maestro cinese), porta in concorso alla Mostra Plastic City, "una rivisitazione in chiave metaforica del gangster-movie di Hong Kong", secondo la definizione dello stesso regista. Storia complessa quella di Plastic City. Storia di cinesi in Brasile che lucrano con la contraffazione, storia di padri materialisti e di figli devoti e sognatori (Anthony Wong e Joe Odagiri), di radici cercate in un Paese lontano, di ambizioni e rovina. "La sceneggiatura è cambiata più volte in corso d'opera - conferma l'autore dello script Fernando Bonassi - ma il punto focale è la mafia della falsificazione che opera in Cina come in Brasile, un problema che tocca i vertici politici e i rapporti tra gli Stati, e che anche voi in Italia conoscete bene". "E' vero, siamo partiti dall'intrigo mafioso ma poi siamo andati oltre", controbatte Lik-wai che, alla domanda se il film piacerà al "giurato" Johnnie To, risponde: "Lo spero, anche se i suoi film sono stati solo la cornice entro la quale inserire una vicenda più sfaccettata". E sulla scelta di ambientare il film in Brasile: "Rappresenta per me il Paese utopico, così diverso dal mio eppure così simile. Da un lato m'intrigava l'idea di un mio connazionale che cerca d'affermarsi in una terra e cultura lontana, dall'altro Cina che Brasile condividono molto: sono le due realtà emergenti dello scenario internazionale". Una scelta che ha regalato a tutta l'operazione una dimensione multiculturale: "Abbiamo girato con attori cinesi e brasiliani, taiwanesi e giapponesi. Una delle difficoltà delle riprese è stata proprio la lingua, ma gli attori in questo sono stati bravissimi imparando a memoria battute e dizione", confessa Lik-wai. Che non accetta l'accusa di discontinuità narrativa e stilistica affibbiatagli dalla critica: "Ho cercato di raccontare e mettere insieme le diverse dimensioni della storia, adeguando di volta in volta la forma al contenuto".

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